Die Zeit, n° 07/2003, 10/16 febbraio 2003
Conflitto in Iraq: Il puzzle del Pentagono

L’Iraq accumula armi di distruzione di massa? L’America presenta nuovi indizi. Storia di una spasmodica ricerca


traduzioni dal tedesco di José F. Padova

Adesso tutto il mondo parla di “prove” e spera di vedere la “Colt fumante” che Saddam Hussein terrebbe in mano ancora calda dello sparo. Di questi tempi complicati ciò sarebbe già mirabilmente inequivocabile: gli americani presentano fatti, inconfutabili e pronti per il tribunale, mentre il dittatore di Bagdad è colpevole nel senso dell’accusa di George W. Bush. E già si districa la contorta discussione sulla legittimità di una guerra contro l’Iraq.
Eppure, ahi!, soltanto il desiderio e non la realtà è di questo mondo. Perché George W. Bush non ha mai promesso “prove”, come viene scritto a destra e a manca. Nel suo discorso sullo Stato della Nazione ha annunciato, molto più modestamente, “informazioni dei servizi segreti” – una differenza importante. Infatti nulla di ciò che proviene dal mondo dei cappelli flosci (ndt.: ital. delle barbe finte) è automaticamente impermeabile, antiurto, a prova di stupido. Al contrario.  È di “totale incertezza e indefinitezza”, come ha scritto nel fine settimana Bruce Berkowitz, uno scienziato dell’Istituzione Hoover, di parte conservatrice. L’uomo lo deve saper bene, perché ha iniziato la sua carriera come agente della CIA. Perciò giunge alla ragionevole conclusione che una società democratica non dovrebbe “decidere la questione della pace o della guerra soltanto sulla base di informazioni dei servizi segreti”.
Tanto per l’impostazione. E adesso esaminiamo quello che dall’inizio della settimana gli americani rendono pubblico a spizzichi e bocconi (e che il ministro degli Esteri Colin Powell ha voluto presentare al mondo il mercoledì – poche ore dopo la chiusura di questa edizione). Si tratta di un mosaico di resoconti di transfughi e di elementi incarcerati perché sospettati di terrorismo, di immagini da satellite e di conversazioni intercettate.
Tutto questo dovrebbe provare:
- che il regime di Saddam Hussein mantiene stretti contatti con il gruppo terroristico Al-Quaeda
- che l’Iraq nasconde agli ispettori dell’ONU armi di distruzione di massa vietate
- che l’Iraq non soltanto accumula vecchie armi di distruzione di massa, ma ne fabbrica di nuove.
I laboratori per le armi biologiche sarebbero trasferibili e in caso di necessità spostabili su ruote qua e là per il Paese. Essi si troverebbero, si dice, su quegli autocarri Renault acquistati dall’Iraq, sul cui uso da mesi si discute pubblicamente. Ciò lascerebbe intendere alla pari di un buon documento. D’altronde le informazioni provengono da tre transfughi, come il presidente Bush ha rivelato nel suo discorso sullo stato della Nazione, e risalgono al 1999. Oggi per gli americani è chiaramente difficile localizzare gli autocarri: “Li troverei benissimo, se i laboratori si aggirassero nel deserto. In questo caso potremmo facilmente identificarli e distruggerli”, ha detto Richard Armitage, il vice ministro degli Esteri. “Ma crediamo invece che quegli arnesi se ne stiano in uno di quei numerosi tunnel o in magazzini sotterranei, forse anche nei garage”. Inoltre gli iracheni ritengono che i mezzi di trasporto siano impiegati per proteggere generi alimentari e cereali da funghi e muffe. Se questo è vero, ci si chiede perché gli iracheni non hanno mostrato le loro stazioni mobili antiparassitarie agli ispettori ONU.
Da quando gli ispettori sono di nuovo sul posto, la National Security Agency (NSA) sorveglia elettronicamente tutto quello che in Iraq si dice. L’orecchio dell’America ha evidentemente colto al volo come un intera squadra di funzionari dello Stato iracheno prenda per il naso Hans Blix e la sua troupe. Coloro che hanno già ascoltato le registrazioni riferiscono sul settimanale Newsweek che gli imbroglioni al servizio dello stato si vantano delle loro imprese. “Spostalo!” griderebbe un tale. Un altro dà istruzioni: “Non parlare di questo!” E un altro ancora: “Ehi, credete davvero che non lo abbiano trovato?” Anche per questi indizi qualcosa resta poco chiaro. Ciò che gli iracheni sembrano nascondere non deve necessariamente essere un’arma. Potrebbero essere materie stupefacenti o documenti o CD-Rom. Occultarli sarebbe in ogni caso illegale e indicherebbe alla comunità internazionale la volontà di ingannare.
Particolarmente importante per il governo americano è la dimostrazione che il regime di Saddam Hussein collabora con l’organizzazione terroristica Al-Quaeda più intensamente di quanto conosciuto finora. Il collegamento dovrebbe essere tenuto dal suddito giordano Abu Mussab al-Zarqawi. Si tratta di uno dei capi della cellula terroristica al-Tawhid, una sorta di filiale della holding del terrore Al-Quaeda. La sua specialità sembrano essere le miscele venefiche di ogni genere. Prima di recarsi, lo scorso anno, nell’Iraq settentrionale, si è fatto curare in un ospedale di Bagdad. Infatti è probabile che sia stato ferito durante i combattimenti con gli americani in Afghanistan. Al-Zarqawi avrebbe anche organizzato lo scorso ottobre in Giordania un attentato mortale contro un diplomatico americano. Così avrebbero in ogni caso confessato i due presunti attentatori alle autorità giordane dopo la loro cattura. Tuttavia: fino a martedì (ndt.: 5/2/03) gli americani non avevano sostenuto che autorità irachene avessero cospirato con Al-Quaeda nel complotto per l’assassinio.
Se riuscisse a delineare una relazione col regime di Bagdad, il partito della guerra a Washington si ritroverebbe là dove vuole arrivare dall’11 settembre. Un attacco all’Iraq non dovrebbe più passare come una offensiva preventiva, ma sarebbe giustificato come una guerra di autodifesa contro Al-Quaeda. Che il despota di Bagdad si celasse dietro all’attentato contro il World Trade Center, per i prodi nemici di Saddam Hussein al Pentagono già dal mattino dell’11 settembre 2001 è diventato un’ineluttabile convinzione. La dimostrazione della loro certezza è diventata per costoro la massima aspirazione.
Per prima cosa la CIA dovrebbe individuare le impronte digitali di Saddam Hussein fra le macerie del World Trade Center. Eppure non se ne è trovata traccia. Cosa che ha spinto il consulente del Pentagono Richard Perle ad osservare che “la CIA sarebbe inadeguata alla questione Iraq”. A questo proposito era per lo meno corretto rilevare che le spie degli Stati Uniti per anni avevano sottovalutato il pericolo costituito dal regime di Saddam. Fino alla Guerra del Golfo del 1991 essi avevano una visione d’insieme dell’intero programma atomico dell’Iraq e anche del programma di fabbricazione delle armi biologiche, scoperte nel 1995 da un transfuga e dagli ispettori dell’ONU.
Allora il Pentagono aggirò la CIA e incaricò Jim Woolsey di un’indagine riservata. L’uomo infatti era stato direttore della CIA e presso i falchi neoconservatori ha fama di fiancheggiatore. Woolsey addirittura si ostinava ancora sull’ “Iraq connection”, quando il presidente ceco Václav Havel espose il più importante indizio di informazione errata: proprio l’ipotesi che l’attentatore di New York Mohammed Atta avrebbe potuto incontrare a Praga un agente iracheno.
Per la frustrazione il partito della guerra mise in piedi il proprio servizio segreto nel cuore del suo baluardo, nel Pentagono. Dall’autunno 2001 al quinto piano opera un gruppo di lavoro di cinque persone sotto la guida di un neoconservatore ideologicamente ferrato. Esso elabora quotidianamente i dati grezzi della CIA. Quando nell’autunno 2002 il gruppo segreto per un caso venne alla luce, il Pentagono dovette ammettere che si trattava solamente di cercare prove circa la correlazione fra Iraq e Al-Quaeda – un nesso che migliaia di analisti della CIA da anni ostinatamente tengono d’occhio. “La lente, attraverso la quale si osserva, influenza la direzione verso la quale si guarda”, ha detto il vice capo del Pentagono Paul Wolfowitz.
La piccola unità evidentemente è odiata in tutta la comunità dei servizi segreti, come comunque riferisce nell’anonimato una barba finta. Il gruppo potrebbe essere preso a simbolo per l’abuso delle informazioni segrete. Effettivamente la “cellula irachena” fa rammentare gli sforzi dell’allora capo della CIA William Casey, che nel 1981 tentò di collegare il “regno del Male” (ndt.: indicava l’URSS) all’attentato al Papa: “I primi che trovano gli indizi di una partecipazione sovietica avranno l’avanzamento”, gridò allora. Alla fine ci furono promozioni a iosa, la bramata prova del fatto nessuno la trovò.
Alla luce di questi antefatti non può stupire che il presidente Bush, dal momento in cui espresse le sue ultime esternazioni sulla “Iraq conection” di Al-Quaeda, riscuota energica opposizione da analisti e agenti sul campo. Gli analisti della CIA si lamentano che il governo esageri il significato di singoli indizi. E uno specialista dello FBI rilascia questa dichiarazione al New York Times: “Abbiamo esaminato la questione da più di un anno e volete saperlo? Non crediamo che dentro si trovi alcunché”. Messo di fronte a ciò, il vice ministro degli Esteri Richard Armitage alla fine della settimana ha dovuto ammettere che il governo ha basato le sue argomentazioni sull’Iraq “occasionalmente in passato” su informazioni non certe. Resta da vedere se le scoperte di questa settimana provengono dai “moderati” della CIA o dai “guerrafondai” del Pentagono.
In Germania sarà compito del BND (Bundesnachrichtendienst=Servizio Segreto federale) valutare la fondatezza degli argomenti americani. Proprio in Iraq il BND mantiene da anni le sue proprie fonti d’informazione. Il 13 novembre 2002 il capo del BND August Hanning ha informato la Commissione Esteri del Bundestag (=Parlamento) su ciò che sapeva. Ha confermato alcuni timori americani e e li ha integrati con le proprie informazioni, dalle quali risultano evidenti i laboratori mobili per le armi biologiche. Singoli componenti – dichiarati come attrezzature per l’agricoltura - sarebbero stati forniti da imprese tedesche. Il regime sarebbe in possesso di droni (ndt.: aerei teleguidati) senza equipaggio per spruzzare le sostanze velenose su grandi superfici. Il BND stima in molte centinaia di tonnellate le sostanze per la guerra chimica accumulate da Saddam Hussein.
I deputati erano scioccati. Quello che vennero a sapere è stato fino ad oggi ignorato dalla pubblica opinione, perché in novembre i parlamentari erano stati impegnati a mantenere il silenzio. Se ora gli americani hanno presentato le loro informazioni, lo hanno fatto nel momento in cui il Governo federale tedesco si tira indietro e lascia ai suoi servizi segreti libertà di informare (per lo meno limitatamente). Esso vuole evitare il sospetto di usare le sue informazioni segrete a scopi politici, come fa il partito della guerra a Washington. A Berlino il cattivo uso consiste nel tacere.
Collaborazione: Bruno Schirra



Mercoledì, 12 febbraio 2003