Domenica 17 novembre 2002 in appello, la corte dassise umbra (2 giudici togati, 6 popolari) condanna Giulio Andreotti a 24 anni quale mandante dellomicidio Pecorelli, essendo ignoti i sicari: sentenza suicida, dicono glintenditori (è termine tecnico); e letti i motivi, ribadiscono la prognosi; meno dun anno dopo, infatti, la Cassazione annulla tout court. Caso chiuso. Losservatore equanime ha poco da dire: lerrore, anche vistoso, appartiene al possibile; limportante è rimediarvi e i meccanismi processuali italiani offrono larghe garanzie. Cera da aspettarsi una fiera mediatica. Forse stupisce che vi salti il presidente del Senato. La lettera gratulatoria allassolto (31 ottobre) è unenciclica sulla mala giustizia politica: dieci anni fa lorco in toga, mandato dalla sinistra, divorava una virtuosa classe politica; perdura lincubo; usciamone, et coetera. Ma lo stupore svanisce quando misuriamo lo speaker. Poi costerà poca fatica confutarlo nel merito. Prima dessere folgorato dalla stella dArcore, Marcello Pera, allora plaudente a Mani pulite, coltivava filosofia della scienza: mestiere arduo, richiede mente fredda, acume analitico, rispetto dei fatti; e risulta poco compatibile con la politica militante, tanto meno nel Barnum forzaitaliota. Post conversione vitupera le procure, indi diventa guardasigilli del governo ombra, incarnatosi il quale, ascende al vertice del Senato. Sentiamolo nelle occasioni climateriche. Le Camere «hanno lavorato molto e bene» (Corriere della Sera, 10 marzo 2002). Forse conveniva avere meno fretta sulle rogatorie. Fosse lui larbitro, sospenderebbe i processi milanesi affinché non diventino arma anomala contro il voto del 13 maggio. Discorso poco filosofico. Era casistica criminale in colletto bianco e sarebbe capitolo chiuso se mille trucchi non lavessero impedito. Nossignori, magnate o povero diavolo, limputato ha diritti inalienabili. Vero, ma i poveri diavoli non scatenano costosi pandemoni avvocateschi sostenuti da tempeste mediatiche (500 miliardi in parcelle). Forse voleva sottrarsi al giudizio, insinua linterlocutore. Ancora no, esercitava sacrosante facoltà: la colpa è del «clima giacobino», «devastante e diffuso»; da 10 anni congreghe togate perseguitano una «sola persona» Retorica da trombone dassise, e poco prima lamentava che glitaliani non sappiano discutere freddamente. Sogna un modello dEuropa "strong" (economia, difesa, esteri), "but light". Sullo scacchiere interno ama lesecutivo forte, repubblica presidenziale o almeno premier eletto. Detesta «lillusione centrista» ossia le rifiorite democristiane. Peccato non avere oppositori “professional”: ascoltano voci dal basso; nefasti i professori. Ogni tanto raccomanda passi sperimentali, "trial and error", citando K.R. Popper, sebbene luniverso Mediaset stia agli antipodi della «società aperta»: lipnosi omologa i cervelli; e invocare lautore dun famoso referto sulla lue televisiva, stando nel giro berlusconiano, è come se sotto Pio IX lEminentissimo Giacomo Antonelli, invitato a qualificarsi, rispondesse «mazziniano», o Sidney Sonnino indicasse lautore prediletto in Carlo Marx. Tuttavia, pro "open society" auspica due vendite che rompano il monopolio: una rete pubblica, una Mediaset; e chi lo sa, forse gli salva lanima questa proposta. Esile chance, se la gioca tra luglio e agosto, quando va in scena un guignol parlamentare: limpresario talmente ricco da comprarsi quante anime vuole, le spedisce a votargli nottetempo una legge che sospende i processi dove figura o figurava corruttore dei giudici; gli yes-men ubbidiscono; ognuno adempie la sua parte, prode come nemmeno Baiardo; e presiede un filosofo della scienza, issatovi dal monarca. Mercoledì 31 luglio 2002 tiene comizio nella cerimonia del ventaglio: sotto i fari, imputa agli oppositori dessere tali, anziché chierichetti; condannale proteste fuori dellaula, forse ignaro dun costume anglosassone del dissenso gestuale, da Trafalgar Square alla Casa Bianca; chiama «giustizialismo» lidea ovvia che le norme valgano anche rispetto ai re daffari; accusa il Centrosinistra dintese con i tribunali, contro gli elettori; insomma, reindossa la maglia da scudiero sotto cui menava fendenti; né risparmia lex-democristiano presidente della Camera. Incredibile dictu, sè autodefinito «uomo della trasparenza»: «non scendo in campo»; «non sposo parti»; «non sono» capopartito e nemmeno della parte dun partito o corrente; «sono uomo delle regole», ecc. (ivi, 1° agosto). Al meeting Cl riminense, 18 agosto, coglie rintocchi totalitari nei girotondi che dei dissidenti oppongono ai riti zannuti del potere: almeno fosse autoparodia; no, parla sul serio, anche contro Platone cattivo maestro. Forse scenderà dun anello nella dimora infernale, perché i diavoli erano angeli e conservano gusti intellettuali: quella che chiama piazza, nel mondo greco è lagorà, luogo della disputa; non avendo reti televisive, i disgustati protestano con discorsi, slogan, pantomime, pacifiche beffe. Dovè il «tic totalitario»? Quando poi sullo spudorato ddl votano anche gli assenti, denuncia lantiparlamentarismo (26ottobre). Lunedì 18 novembre loda il monopolio televisivo berlusconiano: le due aziende, pubblica e privata, lavorano in piena armonia; una diffonde cultura; laltra alleva unItalia «laica» (innamorato dellaggettivo, lo spende senza risparmio né discernimento). In visita ufficiale a Parigi, deplora che laria incandescente impedisca un confronto sulla giustizia, «laico», naturalmente: la fortuna politica berlusconiana non dipende dal dominio mediatico (classica antifrasi: dire lopposto duna cosa evidente); «nessun timore», e sorride; la «società dellimmagine» ammette lalternanza; sbaglia chi agita lo spauracchio del «pensiero unico»; non esistono dittature occidentali, tanto meno telecratiche (ivi, 4 febbraio 2003). Riconosciamogli unimmagine felice: Mani pulite era una banderilla; il toro, id est quel sistema consortile, stramazzava già nellarena. Quale campione dun laicismo ad usum Berlusconis, adempie benissimo la sua parte ma non basta: ignobilmente caduto il Cda Rai, deve rinominarlo col presidente della Camera; e quando vi provvede, Re Sole, sensibilissimo alle sfumature, coglie il sentore duna vaga fronda nella posa pontificale; crede dessere caduto da Marte? «Non lo riconosco più». Poi, però, lavora a regola darte sul lodo dimmunità. Infine, nella cerimonia del ventaglio 2003, 1 agosto, deplora «luso politico della giustizia» e col più letale dei sorrisi ammonisce lEuropa refrattaria al «fattore B.». Tre giorni dopo, Sua Signoria racconta dessere tedesco nel culto del lavoro: infatti, aveva sofferto liniqua aggressione dal socialdemocratico Martin Schulz; la battuta sul Kapo era un lieve mot desprit. Lo scandalo è colpa della sinistra italiana: rectius, «una certa sinistra»; fortunatamente esistono oppositori gentiluomini dal dialogo scorrevole. Contro lEconomist sfrena gli avvocati. Infine, nellintervista allo Spectator, riabilita Mussolini e manda in manicomio chiunque abbia scelto il mestiere del giudice (meno i malleabili, così utili nel mercato dei favori tra gentiluomini). Detto da lui, non stupisce: stupra fonetica, lessico, logica, storia, norme dogni specie; ed essendo ventriloquo, tra le varie ugole adopera un filosofo della scienza seduto sullo scranno alto (se mai il Capo dello Stato avesse bisogno dun supplente, quod Deus avertat, sarebbe lui). Né filosofica né scientifica, lenciclica da Palazzo Madama rimesta retoriche dArcore.
Martedì, 11 novembre 2003
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