Nel mirino di Ilda la Rossa
In lotta contro il tempo, il magnate e presidente del Consiglio fa modificare l’intero sistema giudiziario per salvare sé stesso da una condanna

di Cristiane Kohl (traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Milano, settembre – La donna, della quale il capo del governo italiano Silvio Berlusconi ha paura, è di piccola statura e ha capelli rossi. Alla maniera dei gatti ella si aggira nell’atrio del Palazzo di giustizia milanese, mette guardinga le sue scarpe da tennis dalla suola spessa una davanti all’altra, come se fossero zampe, e fa ondeggiare la sua lunga ed ampia toga da avvocato come una pantera la sua pelliccia nera. Rivolgerle la parola sembra cosa vana. Già dal momento in cui soltanto ci si avvicina a lei sul bianco pavimento di marmo passato a cera Ilda Boccassini fa uno scarto come selvaggina che si spaventa facilmente. Il Pubblico ministero più famoso d’Italia non vuole ora concedere alcuna intervista – “non su processi in corso”.
Più tardi, nell’aula delle udienze, inarca aggressivamente il dorso e avanza irrequieta da una domanda all’altra di un match di tennis all’altro. Ella fissa l’imputato attraverso la nera montatura dei suoi occhiali e gli infila nelle orecchie ogni genere di numeri nelle più diverse valute: “Può documentare gli investimenti che asserisce di aver fatto?”, domanda alla fine con una soffice ma affilatissima voce di fanciulla, e mentre l’uomo sul banco degli accusati farfuglia prolisso una risposta ella ha già da tempo preparato il prossimo attacco: “Perché ci racconta oggi una versione diversa da quella dell’interrogatorio del 1996?” – “Perché allora ero disturbato psicologicamente”, l’imputato fa marcia indietro e guarda impotente verso il giudice: “Ero sotto pressione per le continue minacce della Boccassini”.
No, chi parla dal banco degli accusati non è Silvio Berlusconi. È un vecchio uomo con i capelli bianchi, il suo nome è Attilio Pacifico e ricorda in un certo qual modo un vecchio piccolo contadino che ne sa una più del diavolo. Per la verità il settantaquattrenne è stato di professione avvocato, secondo il Pubblico ministero Boccassini era piuttosto in attività come postino di denaro in contanti. Non per conto proprio, ma per incarico di Berlusconi. Secondo l’accusa l’attuale capo del governo avrebbe anni fa corrotto diversi giudici romani, attraverso il suo amico e avvocato Cesare Previti, più tardi anche suo ministro della Difesa, e lo spallone di vlauta Pacifico, perché annullassero i contratti di acquisto di un concorrente poco gradito; Berlusconi in persona entrò in azione per l’acquisto della più grande casa editrice italiana, Mondatori, come pure di un’importante catena di supermercati, che a quel tempo apparteneva ad un gruppo statale.
Il conto Ultima Cena
Erano affari bomba, per i quali devono essere passati di mano milioni in mazzette [ndt.: in ted. Schmiergeld, denaro lubrificante]. Per anni e anni il Pubblico ministero Boccassini, 51 anni, ha indagato, da mesi si tratta ora di tutto questo in due procedimenti penali a Milano, uno dei quali è nel frattempo già caduto in prescrizione, mentre per le altre attività criminose potrebbero essere emesse le sentenze. Ed è proprio questo che evidentemente fa paura a Berlusconi: una sentenza nel momento attuale sarebbe per il presidente del Consiglio una pitra d’inciampo nella sua folgorante carriera politica. Per questo motivo dalla sua salita al governo nel giugno 2001 egli fa il tutto per tutto per bloccare i processi. Allora è stato già modificato il diritto penale in tema di falso in bilancio e resa più difficile la collaborazione anticrimine internazionale. Con leggi e decreti sempre nuovi il governo Berlusconi ha finora cercato di mettere le barricate sulla strada del Tribunale. Tuttavia “Ilda la rossa”, come è chiamata la Procuratrice non soltanto per il colore dei suoi capelli, non si è fatta rallentare.
Nell’aula delle udienze tiene ora in mano una busta marrone e la sventola in aria: “Questa lettera, che dovrebbe comprovare un presunto affare immobiliare, nel 1996 lei l’ha consegnata ad un portiere d’albergo a Montecarlo, perché?” – “L’originale doveva essere in mani sicure”, è la penosa risposta di Pacifico. “In quelle di un portiere?”, domanda imperiosamente a sua volta il Pubblico ministero. Pacifico, che nel suo abito scuro ha l’aspetto di un uomo di campagna in visita in città, nell’aula del Tribunale si dipinge come un illustre frequentatore dei tavoli da gioco. Sarebbe stato senz’altro almeno 800 volte nel Casinò di Lugano – “Essi pagavano per me quando sedevo al tavolo da gioco”. In più avrebbe fatto passare denaro dall’Italia alla Svizzera per diversi suoi conoscenti e poi portato in direzione contraria, soprattutto i giudici di Roma facevano parte della sua clientela. Pretende di aver spostato per costoro importi di milioni.
La Procuratrice Boccassini, che sa bene di essere nella categoria dei mal pagati dipendenti dello Stato, non crede alle sue dichiarazioni. Considera esatta la via inversa: attraverso numerosi conti bancari, dai nomi di fantasia come “Ultima Cena”, “Pavone” o “Master”, Pacifico avrebbe corrotto i giudici. Il denaro sarebbe pervenuto perlopiù dall’avvocato di Berlusconi, Previti, talvolta anche direttamente dalla Holding finanziaria di Berlusconi stesso, Fininvest. Sulla base dei movimenti di conto corrente la Procuratrice ha accertato che Pacifico ha effettuato i suoi versamenti sempre contemporaneamente alle operazioni bancarie del giudice Renato Squillante, già capo dei giudici per le indagini preliminari romani, accusato di corruzione. “Siete sempre stati in banca assieme?”, chiede ora Boccassini, dai rossi capelli ricci. “No, mai!”, replica deciso l’imputato. Fuori, in corridoio, l’avvocato di Squillante si farà più tardi di nascosto il segno della croce – sarebbero per così dire “interpretazioni”, egli crede.
Mentre nel Palazzo di Giustizia di Milano Ilda Boccassini si scontra su ogni singolo estratto conto bancario, nel Parlamento romano si affila contro di lei l’ultimo e forse più velenoso dardo: una legge secondo la quale un imputato su un non meglio definito “legittimo sospetto” circa la prevenzione del giudice nei suoi confronti può ottenere che il processo riparta a nuovo ruolo in un’altra località. Questa regolamentazione potrebbe avere effetti esiziali, non solamente per entrambi i processi milanesi, ma per l’intero sistema giudiziario italiano. Infatti “La legge porterà a procedimenti ancora più lunghi e a costi molto superiori”, profetizza Gerardo D’Ambrosio, capo della Procura di Milano e diretto superiore del Pubblico ministero Boccassini: “Alla fine la Giustizia affogherà nelle richieste di risarcimenti dei condannati”. In Italia gli imputati possono chiedere l’indennizzo in caso di procedimenti troppo lunghi in rapporto all’entità della pena prevista. Non pochi processi con la nuova norma non saranno per nulla terminati – e questo è proprio quello che l’imputato Silvio Berlusconi vuole soprattutto ottenere. Il suo avvocato difensore Gaetano pecorella in questi giorni viaggia costantemente avanti e indietro fra Roma e Milano, più o meno come il capo del governo egli si sente obbligato da due nomine, che secondo il concetto del diritto mitteleuropeo non possono davvero per nulla essere compatibili. A Roma l’avvocato dirige la Commissione Giustizia nella Camera dei Deputati, attraverso la quale devono passare tutti i progetti di legge. Pecorella è deputato per la coalizione di Berlusconi, Forza Italia (FI), uno dei 78 avvocati del gruppo parlamentare di FI, molti dei quali sono stati per lunghi anni al servizio della impresa di Berlusconi, la Fininvest.
Il giorno successivo a Milano Pecorella si infila la toga avvocatesca con la nappa dorata. La sua bianca corona di capelli si arriccia disordinatamente sul colletto nero, per un signorile avvocato d’affari essa è anche troppo lunga. Un tempo Pecorella ha difeso i terroristi di sinistra della razza delle Brigate Rosse, nel giornale del movimento “Lotta Continua” si vantò una volta che potrebbe essere opportuno per un rappresentante della Legge far scomparire un poco gradito elemento di prova. Fino ad oggi il sessantaquattrenne non è diventato neanche un po’ di ampie vedute. Con ampi movimenti delle braccia argomenta in aula delle udienze sui motivi per i quali i giudici del processo Berlusconi in nessun caso devono emettere sentenza fino a quando non sarà deciso se il processo debba essere spostato lontano da Milano.
Massima attività in Parlamento
La performance di pecorella non è ancora un’anticipazione delle nuove regole. In primavera egli e gli avvocati del coimputato Previti avevano già richiesto la rimessione degli atti al Tribunale di Brescia secondo il diritto ancora vigente. Siccome questa richiesta non ha molte prospettive di riuscita presso la Corte di Cassazione italiana, da mercoledì a Roma la legge sul sospetto è mandata avanti a tutta forza in Parlamento. L’opposizione ha avanzato oltre 300 emendamenti, che già in Commissione Giustizia sono stati tutti respinti senza esclusioni. La legge dovrebbe essere approvata alla Camera al più tardi nella seconda settimana di ottobre. Pecorella ha perfino già accennato che se necessario si dovrebbe sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni se il governo non ottenesse in questa circostanza la maggioranza dei voti.
Tuttavia il pericolo c’è appena. In ogni caso il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi potrebbe sollevare problemi. Quando Berlusconi gli fece visita poco tempo fa nella sua sede ufficiale sul colle del Quirinale, il piccolo uomo con le sopraciglia cespugliose ha fatto capire di non ritenere conforme alla Costituzione il progetto di legge nell’attuale formulazione. Disturba, come si usa dire, Ciampi soprattutto il fatto che, dopo l’introduzione della nuova legge, un processo in corso debba essere automaticamente sospeso, ancora prima della vera e propria decisione circa la sospensione. Perciò molti processi potrebbero finire silurati nella prescrizione, l’ordinaria giurisprudenza costante in materia sarebbe aggirata.
A Roma le istituzioni del Potere abitano le une molto vicine alle altre e come in un buon romanzo criminale italiano tutto è intrecciato a tutto: proprio in faccia al Palazzo di Ciampi ha la sua sede la Corte Costituzionale italiana, che al 22 ottobre si riunirà per stabilire in merito ad una questione di principio sollevata già da tempo: se vi è assoluta necessità di regolamentazione per il cosiddetto “legittimo sospetto” contro una intera sede giudiziaria. Nel paragrafo 45 del diritto processuale penale italiano è infatti stabilito quando un giudice può essere ricusato perché prevenuto. E inoltre secondo una deliberazione emessa precedentemente dai giudici costituzionali nelle questioni di incompatibilità per pregiudizio del giudice si deve procedere sempre nei confronti di persone fisiche. Di conseguenza i custodi della Costituzione nella guerra di posizione giuridica fra Berlusconi e “Ilda la rossa” potrebbero statuire dalla parte della Procuratrice e votare contro la legge – per il governo ci mancherebbe proprio anche questa.
Per questo motivo è necessaria una così grande fretta, per questo la legge dovrebbe entrare in vigore immediatamente dopo la sua approvazione, anche a rischio che i giudici costituzionali più tardi la respingano. Fino ad ora in Italia il trasferimento (“rimessione”) di processi da un distretto giudiziario è stato disposto soltanto in pochi procedimenti, fuori dell’ordinario per dei motivi di ordine pubblico. Nel dopoguerra a Milano è accaduto soltanto due volte. Una prima volta, quando nel 1972 si dovette avviare un processo per un attentato, eseguito da estremisti di destra e costato 16 morti, in una filiale della Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana. A quel tempo la tensione era tanto alta che parve impossibile il mantenimento dell’ordine pubblico. Un’altra volta si trovava davanti al Tribunale per corruzione un generale della Polizia Tributaria, ai cui ordini si erano trovati molti dei funzionari che avrebbero dovuto deporre contro di lui.
Nelle loro richieste di remissione al Tribunale di Milano gli avvocati di Berlusconi e del coimputato Previti videro minacciato l’ordine pubblico da un attempato cantastorie. Il vecchietto, siciliano di origine, in piazza del Duomo a Milano per oltre vent’anni ha strimpellato le sue ballate, nelle quali talvolta affiorava qualcosa di disdicevole per l’impresario dei media. Nel frattempo il cantastorie di strada è scomparso. Ma intanto gli avvocati indignati asseriscono che “Milano è il punto d’appoggio della resistenza giuridica” in Italia e che alla fine la maggior parte dei processi contro Berlusconi e la sua Fininvest si svolgono a Milano: complessivamente 60 negli anni scorsi, con 84 manager imputati. Ma soprattutto affibbiarono alla Procuratrice Boccassini una “aggressività ormai patologica”.
Lassù in alto, al quarto piano del Palazzo di Giustizia di Milano, ha il suo ufficio il superiore di Boccassini, il Procuratore capo Gerardo D’Ambrosio. Nella sua spaziosa sala delle riunioni tappeti persiani attutiscono il rumore dei passi fino alla sua scrivania, alle pareti pendono quadri ad olio, in un angolo c’è una piccola riproduzione della Statua della Libertà americana. “Milano è governata da anni da Forza Italia”, dice D’Ambrosio rigirando fra le dita una penna stilografica, “nelle ultime votazioni più del 50 percento dei cittadini hanno votato per Berlusconi. Sono forse queste le tracce di un covo di comunisti?”. D’Ambrosio è attivo al servizio della Giustizia da 45 anni, ma “non ho ancora né mai vissuto una situazione come quella attuale”, dice. Ciò che egli anche scrive sempre al ministero della Giustizia a Roma – “Da lì non torna indietro mai nulla”.
In tempi passati egli manteneva un intenso dialogo con le autorità competenti sulla possibilità di accelerare e migliorare il corso dei processi. Ma oggi dall’alto arrivano soltanto ordini: “Non c’è colloquio”, dice D’Ambrosio. Dalla Pubblica Accusa di Milano se ne vanno in massa i procuratori e passano al mondo dell’industria, di 90 posti disponibili e necessari sono occupati soltanto 72. Oltre a ciò mancano 100 funzionari e impiegati, che sono stati applicati a lavori accessori. Il Procuratore alza gli occhi dalla sua stilografica: “Ora comprende perché sono alquanto frustrato?”. Un momento dopo impugna nuovamente la penna. “Si sarebbe forse dovuto congelare i processi finché Berlusconi è capo del governo”, osserva D’Ambrosio meditabondo, “più tardi si sarebbe potuto riprenderli”. Probabilmente in questo modo sarebbe stato possibile mettere in salvo il sistema giudiziario durante l’era Berlusconi, così mormora fra sé e sé.
Appreso da Falcone
E allora che cosa avrebbe fatto “Ilda la rossa”? La procuratrice Boccassini sarebbe una “donna molto dura”, racconta un altro PM – “non vorrei mai averla come giudice”. D’Ambrosio prende le difese della sua collaboratrice: “È un’investigatrice straordinaria, forse la migliore in tutta Italia”. Ella avrebbe raggiunto i suoi successi investigativi su Berlusconi e il suo impero Fininvest perché avrebbe operato con strumenti che sono stati impegati anche nella lotta contro la Mafia. Intercettazioni telefoniche, controlli contabili sui conti correnti e lo sforzo continuo di rompere il muro del silenzio dei singoli incriminati e portarli a parlare.
Boccassini ha imparato questo mestiere da Giovanni Falcone, il leggendario indagatore sulla Mafia, che ha perso la vita nel 1992 in un attentato. Dopo la sua morte Boccassini, napoletana di nascita, si trasferì temporaneamente in Sicilia, per dirigervi le indagini. Ella visse nella solitudine e ruppe il suo rapporto sentimentale, ma mandò avanti il suo compito in modo ferreo – oltre 40 indagati furono portati davanti al Tribunale. Eppure Boccassini è ancor oggi dell’idea di non aver ancora trovato i veri amndanti: “Finché resterò al mondo”, ha dichiarato ad una giornalista di La Repubblica, “questi falsi amici, i [veri] nemici, mi devono guardare in faccia e non potranno dimenticare”.
Nella sala delle udienze del tribunale di Milano l’esile Boccassini si mette in agguato sul suo grande seggio marrone di PM come un cucciolo di pantera che scruta la preda. Quando l’imputato Pacifico per un momento si ingarbuglia nelle sue montagne di cifre, ella gli sibila fulmineamente l’importo esatto. Il governo le ha tolto la scorta, i politici della coalizione l’hanno insultata e diffamata. Tuttavia Boccassini vuole iniziare il più presto possibile la sua arringa qui nel processo, Berlusconi deve sperimentare ancora questo. Lei potrebbe anche sbagliarsi, talvolta, ha detto la Procuratrice alla giornalista, “Ma io non retrocedo di un passo”.



Martedì, 01 ottobre 2002