L'esegesi biblica

Domenica 10 Marzo 2002

"Condanniamo il male, che è nello spirito e nei fatti, senza dimenticare il comandamento di Gesù, che ci fa obbligo di abbracciare chiunque, i più lontani e i più travagliati con maggiore carità." (Don Primo Mazzolari) (Impegno con Cristo pag. 224)


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L'esegesi attuale

Inizio

"E lo cacciarono fuori."

Nella vicenda del miracolo del nato cieco, colpisce principalmente il grande accanimento dei farisei nel processare colui che ha ricevuto il miracolo. Scopo del processo quello di impedire che qualcuno potesse riconoscere in Gesù caratteristiche messianiche. Chiunque avesse affermato che Gesù era il Cristo, doveva essere cacciato dalla Sinagoga, cioè scomunicato, messo ai margini della comunità religiosa e civile.
Scomunica che per un israelita equivaleva ad una vera e propria condanna a morte. Da qui la grande paura che dei processi farisaici avevano i poveri israeliti. Paura che provoca addirittura la dissociazione dei genitori del nato cieco. "Chiedete a lui - dicono i genitori - non sappiamo come abbia oggi recuperato la vista". Alla fine del processo e di fronte alla sua volonta di tenere fede a ciò che aveva vissuto, il nato cieco viene cacciato via, la scomunica diventa operativa.
Ma quest’uomo viene accolto da Gesù. Nessuno può permettersi di scomunicare chicchessia, soprattutto quando lo scomunicato ha avuto il coraggio di testimoniare la verità, di non tradire la verità che aveva sperimentato sulla propria pelle.
Nel racconto del processo del nato cieco, sembra di rileggere i tanti episodi dell’Inquisizione, con i suoi roghi, le sue abiure per salvare la pelle, la negazione della propria coscienza da un lato e l’annullamento dell’uomo dall’altro. Annullamento perpetrato in nome di una dottrina che ha avuto l’ardire di prendere a pretesto il vangelo di Gesù Cristo. E la scomunica dei tanti eretici che hanno costellato la vita del cristianesimo da duemila anni a questa parte, ha significato la loro morte, nelle condizioni più atroci possibili.
I giudici dell’Inquisizione si sono comportati come i farisei riuniti in giudizio contro il povero cieco. La ferocia dei farisei non è stata neppure per un momento scalfita dalla povertà dell’uomo e dalle sue precarie condizioni di salute. Nulla conta, per chi ritiene di possedere tutta intera la "parola di Dio" ed il diritto di amministrarla e di giudicare chi è ortodosso o da cacciare via.
L’inquisizione, storicamente, non ha riguardato solo la chiesa di Roma. Famoso il caso di Michele Serveto, un anabattista del XVI° secolo, bruciato vivo sul rogo dal riformatore Giovanni Calvino a Ginevra. Gli anabattisti furono particolarmente perseguitati nel XVI° secolo e lo furono, con uguale furore ed identica ferocia, da cattolici romani e protestanti. Gli anabattisti erano rei di essere contro la teologia trinitaria e di praticare la vita in comune. La città di Munster, dove si erano raccolti tutti gli anabattisti del XVI° secolo, fu distrutta dagli eserciti congiunti di cattolici e protestanti tedeschi. Nessun anabattista morì di vecchiaia. Quei pochi che si salvarono emigrarono nelle Americhe.
Ma l’inquisizione esiste ancora oggi e non solo nella chiesa di Roma dove c’è un’apposita congregazione che ha ereditato i compiti dell’ex Sant’Uffizio. Nelle chiese protestanti che si rifanno alla riforma del XVI° secolo esiste, di fatto e al di la delle apparenze, un rigido conformismo, un dottrinarismo esasperato che impedisce qualsiasi ricerca di nuove strade ed in definitiva la capacità di rispondere in modo costruttivo persino alla sfida rappresentata dalle nuove generazioni. Nel mondo pentecostale, la rigidità ed il conformismo sono ancora più esasperate dal letteralismo biblico. Negli USA, per esempio, è ancora oggi proibito, in molti stati, insegnare la teoria dell’evoluzione della specie di Darwin perché sarebbe in contrasto con il "creazionismo" che sarebbe sancito dalla Bibbia. Nella stragrande maggioranza delle chiese pentecostali c’è un rigido controllo sulla vita di ogni singolo membro della comunità. In alcuni casi è stato denunciato persino il controllo della corrispondenza, nel più perfetto stile inquisitorio.
Ebbene tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’Evangelo di Gesù di Nazaret che non solo ha condannato duramente tutti gli ipocriti farisei, ma ha anche accolto immediatamente coloro che da essi venivano scacciati. La chiesa di Gesù, era una chiesa di perseguitati, di poveri, di scomunicati, di persone addolorate che hanno ritrovato la loro luce, come il cieco, e che a questa luce non solo non hanno rinunciato ma hanno difeso di fronte alle persecuzioni, pagando con la propria vita.
Il cieco è dunque il prototipo del credente, di colui che sceglie di prostrarsi davanti a Dio e solo davanti a lui, e di sfidare qualsiasi persecuzione e anche la morte. Si può tradire, commettendo peccato, ma si può anche resistere al peccato come il cieco ci insegna.



(Sergio Grande)


Testi patristici

Inizio
Letture:
1 Samuele 16,1b.4a.6-7.10-13
Efesini 5,8-14
Giovanni 9,1-41

Il cieco nato

E perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: "Prima che Abramo fosse, io ero" (Gv 8,58), Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita: "E i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché Dio sia glorificato. E’ necessario che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno" (Gv 9,2-4), fintanto che sono con voi. "Sopraggiunge la notte" (Gv 9,4), e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo, scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità. "Ciò dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece degli occhi con il suo fango" (Gv 9,6), e la luce scaturì dalla terra, come al principio, quando l’ombra del cielo, "la tenebra, era estesa su tutto" ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (cf.Gen 1,2-3). Così "egli formò del fango con la saliva", e guarì il difetto che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera che era il Figlio di colui che, con la sua mano, "formò" il primo "Adamo con la terra" (Gen 2,7): in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio corpo.
Fece ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per credere: "I Giudei cercano i miracoli" (1Cor 1,22). Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (cf.Gv 9,7.11), come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci purificano. "Unse i suoi occhi con il fango" (Gv 9,6), perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando il cieco se ne andò tra la folla e chiese: "Dov’è Siloe?", si vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono, egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si fossero aperti.
Coloro che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi. Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi. Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità del cuore.
In quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del Creatore. "Va’, lavati il viso" (Gv 9,7), per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento e mostrasse la sua fede.
La saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva, avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei ciechi: "Perché coloro che vedono diventino ciechi" (Mt 26,27); diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il fango durante il sabato (cf. Gv 9,14). Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver formato del fango. Lo stesso dissero a colui "che era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo lettuccio?" (Gv 5,5.12), e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: "Ha fatto del fango durante il sabato". E così, anzi per molto meno, non si ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico, con una sola parola, in giorno di sabato? (cf. Lc 14,1-6). Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il sabato; ma allora - si dirà - chi ha maggiormente violato il sabato, il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con gelosia?

(Efrem, Diatessaron, 16, 28-32)


Sermone per la terza domenica di Quaresima
Rendete grazie, fratelli, alla misericordia di Dio che vi ha conservati in buona salute fino alla metà di questa Quaresima. Possono tuttavia lodare Dio per tale dono, con più dolcezza e devozione, coloro che si sono applicati a vivere come è stato detto all’inizio della Quaresima, cioè coloro che si son presi l’impegno di digiunare ogni giorno in vista della remissione dei loro peccati, di elargire elemosine, di portarsi in chiesa con sollecitudine e di pregare nelle lacrime e i sospiri.
Quanto a coloro che hanno trascurato queste cose, cioè quelli che non hanno digiunato ogni giorno, che non hanno elargito elemosine o non hanno pregato con ardore e devozione, non v’è ragione per essi di rallegrarsi, hanno piuttosto, sventurati, di che affliggersi. Non si affliggano tuttavia al punto di disperare, poiché colui che ha potuto dare la vista al cieco nato (cf. Gv 9,1-38), può anche rendere zelanti e ardenti nel suo servizio coloro che attualmente sono tiepidi e negligenti, se vogliono convertirsi a Dio con tutto il cuore. Che tutti quelli che si trovano in questo stato, cioè quelli che vivono nell’impurità, quelli che covano odio contro qualcuno nel loro cuore, che si appropriano ingiustamente del bene altrui o trattengono il proprio in maniera abusiva, riconoscano dunque la loro cecità, e ricorrano al medico onde recuperare la vista.
Possiate voi, allorché cadete nel peccato, cercare il rimedio spirituale negli stessi modi con cui cercate quello carnale quando il vostro corpo è malato. Chi c’è in questo momento, in mezzo a tutta questa folla, che se dovesse non dico essere ucciso, ma solamente perdere gli occhi, non darebbe tutto ciò che possiede per potervi sfuggire? Ma se temete a questo modo la morte della carne, perché non dovreste temere quella dell’anima, soprattutto perché, mentre la morte della carne, cioè il dolore, è di un istante, la morte dell’anima, cioè il pianto e il castigo, non avrà mai fine? E se tenete tanto agli occhi del corpo che perderete ben presto con la morte, perché non amare gli occhi spirituali con i quali potrete vedere senza fine il vostro Dio e Signore?
Lavorate dunque, figli carissimi nel Signore, lavorate finché dura il giorno, poiché "sopraggiunge la notte nella quale nessuno può più lavorare" (Gv 9,4). Il giorno, è la vita presente; la notte, è la morte e il tempo dopo la morte. Se non vi è possibilità di lavorare dopo questa vita, come lo afferma la Verità, perché ciascuno non lavora finché ne ha il tempo, cioè finché vive in questo secolo? Temete, fratelli, questa notte della quale il Salvatore dice: "Sopraggiunge la notte nella quale nessuno può più lavorare". Coloro che compiono il male non temono questa notte, e per questo motivo, all’uscita da questa vita, essi trovano la notte, cioè la morte eterna. Lavorate finché vivete, ma in questi giorni soprattutto, privandovi di piatti delicati, e astenendovi dai vizi in ogni tempo. Infatti coloro che si privano del cibo e non si astengono dal male sono simili al diavolo che non mangia e tuttavia non si allontana dal male. Sappiate infine che voi dovete far passare in cielo, dandolo ai poveri, quello di cui vi private con il digiuno.
Mettete in pratica, fratelli, gli avvertimenti di questo sermone odierno, perché non cada su di voi la maledizione dei Giudei. "Essi dissero", in effetti, al cieco: "Sii tu discepolo li quell’uomo" (Gv 9,28). Che significa essere discepoli di Cristo se non essere discepoli della pietà, della verità e dell’umiltà? E’ per attirare su di lui la divina maledizione che gli dissero questo, ma grande è al contrario la sua benedizione: che egli vi conceda di riceverla, lui che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

(Anonimo IX secolo, Hom. 9, 1-5).


Preghiera
O Gesù, redentore del genere umano, restauratore eterno della luce: concedi a noi tuoi servi che, come siamo stati lavati dal peccato originale per l’immersione del Battesimo - e in ciò consiste il significato di quella piscina che restituì la vista agli occhi dei ciechi -, così pure siamo da te purificati dalle nostre colpe mediante il secondo battesimo delle lacrime; e possiamo meritare di essere divulgatori delle tue lodi, come quel cieco divenne nunzio della grazia.
E come quello fu riempito di fede per confessare te vero Dio, così noi pure possiamo essere corroborati dalla testimonianza delle buone opere. Possa tu subito venire incontro pietoso, per la tua smisurata pietà, a noi che t’invochiamo, affinché, per questo sacrificio che ti offriamo, se vivi otteniamo la medicina che salva, se defunti meritiamo di conseguire l’eterno gaudio senza fine. Amen.

(Sacramentario Mozarabico, 392 Post Nomina)