L'editoriale:

«Sapremo mai la verità sui fatti dell'11 settembre?»

A proposito della necessità di assicurare alla giustizia i responsabili degli attentati dell'11 settembre

Di Giovanni Sarubbi

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Le critiche, personalmente, fanno sempre piacere, sia quelle fatte con spirito costruttivo, sia quelle fatte con animosità o con animo cattivo. Probabilmente quelle fatte con animosità e, meglio ancora, quelle con animo cattivo, aiutano a precisare meglio la propria posizione perché manifestano inequivocabilmente i punti deboli di chi quelle critiche esprime. Sono stato criticato aspramente in questi giorni, per il titolo dato ad uno degli ultimi editoriali de "Il Dialogo". "I due talebani", ho titolato la riflessione sulla contemporanea apparizione televisiva di Bush e Bin Laden la sera del 7 ottobre scorso, subito dopo l’avvio della guerra anglo-americana in Afghanistan. Con quell’editoriale, questa era l’accusa, avrei sostenuto la tesi del "conflitto fra le civiltà" o fra le religioni. Accusa del tutto infondata come chiunque può rendersi conto leggendo semplicemente l’articolo. E, infatti, è bastato rileggere quell’articolo per dimostrare che l’amico che con tanto fervore mi accusava di "aver fallito come giornalista", non aveva semplicemente letto l’articolo, ma si era, tutt’al più, limitato a leggere il titolo, senza neppure interpretarlo correttamente. Sono gli scherzi della guerra.

Quel titolo voleva mettere in evidenza il fondamentalismo religioso di quelli che un’accorta regia televisiva ha teso a presentare come i contendenti della guerra in corso: da un lato Bush, rappresentante della "civiltà occidentale", dall’altro il "selvaggio e feroce Bin Laden". Il regista di quelle trasmissioni, cioè il servizio segreto anglo-arnericano, aveva lo scopo di provocare l’identificazione dei cittadini occidentali con il presidente Bush. E, infatti, i commenti dei giorni successivi hanno teso ad attaccare Bin Laden e a magnificare Bush. Nessun commentatore, neppure in ambito cristiano, si è permesso in Italia di criticare il discorso di Bush. Qualcuno ha discettato sulla scenografia dei due discorsi, sulle rocce finte, fatte di polistirolo, davanti alle quali ha parlato Bin Laden, o sullo studio da dove ha parlato Bush. Nessuno ha detto che i discorsi, di Bush e Bin Laden, sono entrambi inaccettabili perché entrambi fanno appello al sentimento religioso e a un dio costruito a proprio uso e consumo. Io mi sono permesso di dire che entrambi quei discorsi sono una bestemmia per chi vive la religiosità come distacco totale dalle cose terrene, come subordinazione totale a Dio (questa volta con la "d" maiuscola) che chiede all’umanità atti di amore e non di guerra.

Prendo lo spunto da quel titolo e dalle critiche che mi sono state rivolte, per sottolineare l’approssimazione, la superficialità, l’analisi all’ingrosso che prevale nella società e nei mass media in questi giorni. Nonostante la drammaticità della situazione attuale, la superficialità regna sovrana. Nonostante i milioni di morti in guerra, e con il termine morti intendo non solo quelli che hanno cessato di vivere ma anche i profughi, i feriti, gli storpi quelli cioè morti nell’animo, viviamo tutti immersi nella fiera della banalità. Ma è meglio parlare con un esempio concreto.

Questo stesso amico, nella concitazione della discussione, mi ha posto all’improvviso una domanda che gira prepotente-mente su tutti i mass-media e che, di fatto, serve a giustificare la guerra. «Ma tu - mi ha chiesto - sei d’accordo che bisogna punire e assicurare alla giustizia i responsabili degli attentati dell’11 settembre?». Domanda apparentemente innocente, banale e con risposta scontata. Ma è una domanda con il trucco perché rispondendo con un si o affermando, nel contesto di una dichiarazione più ampia, che "bisogna assicurare alla giustizia i responsabili delle stragi", si viene iscritti d’ufficio fra i sostenitori delle azioni belliciste anglo-americane. La risposta giusta non è un semplice si, ma un si ma prima diteci la verità.

Se è prioritario assicurare alla giustizia i responsabili delle stragi - questo il ragionamento sottinteso alla domanda trabocchetto - comunque lo si faccia va bene. E no, non va proprio bene. Se bisogna assicurare alla giustizia qualcuno per gli attentati dell’11 settembre, bisogna innanzitutto sapere chi è che ha fatto quegli attentati, con prove certe e che reggano al contraddittorio davanti ad una corte di giustizia. Corte di giustizia che non può essere organizzata da chi ha subito l’atto criminale perché altrimenti non è più giustizia ma vendetta certa. Nessuno si sognerebbe, infatti, di far giudicare un omicida dai parenti della vittima.

Ebbene è proprio sul fronte delle prove che c’è il primo grande problema. Gli investigatori USA e Inglesi, a quasi due mesi dagli attentati, brancolano nel buio più totale e lo dimostrano in tutti i modi possibili. Lo dimostrano, per esempio, avanzando l’ipotesi del ricorso alla tortura, per convincerli a parlare, nei confronti di coloro che l’FBI americana ha arrestato subito dopo gli attentati e da cui non è riuscita ad ottenere alcuna informazione utile all’indagine. Lo testimonia, ancora, l’incredibile richiesta formulata dalla CIA sui giornali americani. Non è uno scherzo: la CIA ha chiesto, attraverso un bando di concorso, ai cittadini americani di fornire delle "buone idee" per sconfiggere il nemico. "Non risulta - scrive Il Manifesto del 26 ottobre - che Roosevelt e Eisenhower abbiano bandito pubblici concorsi per progetti su come sconfiggere Hitler". Ciononostante, a fronte del nulla per quanto riguarda le prove, si è scatenata una guerra, condannando milioni di persone innocenti a morte certa, fisica e morale.

Abbiamo quindi innanzitutto un bisogno di verità, di dire tutta la verità su quanto è successo l’11 settembre. Bisogno che il pastore Byron E. Shafer della Chiesa Presbiteriana Rutgers di New York, ha posto con forza in una predica tenuta il 23 settembre scorso. «Prima di ogni altra cosa - ha affermato il pastore Byron E. Shafer - è di sciorinare davanti a tutto il mondo le nostre ragioni su chi sia colpevole dell’attacco al World Trade Center. E dobbiamo farlo senza nasconderci dietro la pretesa che non lo possiamo fare per "ragioni di sicurezza". Mi rincresce che come nazione non abbiamo ancora detto la verità rendendo pubbliche le basi della nostra accusa». (Da Riforma, settimanale delle chiese Battiste, Metodiste, Valdesi, n° 40 del 19 ottobre 2001). In quello stesso sermone, per inciso, il pastore Byron E. Shafer, critica apertamente il Bush "religioso", quello che avrebbe "pregato" prima di scatenare la guerra o che pensa che Dio dovrebbe benedire solo l’America.

Allora la domanda sul condividere o meno la necessità di assicurare alla giustizia gli autori degli attentati dell’11 settembre, serve a coprire innanzitutto la mancanza di verità su quegli attentati, serve a coprire il giudizio sommario, la vendetta, l’occhio per occhio dente per dente, la guerra. Ma questa domanda nasconde anche il fatto che gli attentati dell’11 settembre sono stati presentati immediatamente, dall’amministrazione Bush, come un’azione di guerra. La reazione immediata è stata, quando le Twin Towers erano ancora in piedi, "siamo in guerra". Immediatamente quegli stessi servizi segreti USA che sono stati incapaci di prevenire gli attentati, hanno indicato in Bin Laden e nella sua organizzazione gli autori degli attentati. Almeno Hitler e i nazisti dopo l’incendio del Reichstag, che consentì loro di prendere il potere in Germania nel 1933, si inventarono un autore materiale reo confesso che in due giorni venne processato e condannato a morte. Si dovette aspettare la fine della Seconda Guerra Mondiale, al processo di Norimberga, per sapere che quell’attentato era stato organizzato dagli stessi nazisti. Sapremo mai la verità, questa la domanda vera da porre, su quello che è successo l’11 settembre? Sapremo mai la verità, in questo mondo occidentale di cui si magnificano valori come democrazia e libertà, sui veri rapporti fra Bin Laden e gli USA, fra i Talebani e gli USA, fra Bin Laden e la stessa famiglia Bush? Cosa li ha resi nemici, mentre prima erano compagni di merenda?

La guerra è una cosa tremendamente seria. Prima di imbarcarsi in una contesa occorre chiedersi quello che si è chiesto Gesù: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?» (Luca 14,31). «Siamo pronti», ha ripetuto più volte Berlusconi in questi giorni parlando della guerra. Immediato il ricordo del "milione di baionette" di mussoliniana memoria. Una rodomontata, quella di Mussolini, che il popolo italiano ha pagato duramente, ed in modo drammatico, durante la seconda guerra mondiale.

Allora l’invito è di affrontare tutte le questioni con serietà, ponderazione, senza fretta, senza giudizi avventati, senza farsi prendere dall’emotività o dalla semplificazione nell’analisi della realtà. Ne va della nostra stessa vita, dei rapporti di amicizia, del nostro vivere civile.


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

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