IL DONO DELLA TORAH

di Marco Morselli (Università di Modena e Reggio Emilia)

            Nel terzo mese dall’uscita dall’Egitto i figli d’Israele arrivano nel deserto del Sinai (Es 19,1). «Al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi e una nube densa calò sul monte mentre il suono dello shofar era molto forte e tutto il popolo che era accampato fu colto da spavento» (Es 19,16). Il Signore scende sul monte, Mosè sale, e dopo un’ulteriore discesa e risalita da parte di Mosè «Elokim pronunciò tutte queste parole dicendo» (Es 20,1) ha inizio il matan Torah, il dono della Torah.

            Tutte le parole che il Signore pronuncia tuttavia non finiscono in Es 20,14, non si limitano all’enunciazione del Decalogo, ma proseguono per ben undici capitoli, da Es 20,19 fino a Es 31,17. Gli ultimi cinque versetti sono dedicati a Shabbat, poi il Signore termina di parlare con Mosè sul monte Sinai e gli consegna le luhot ha-edut, le tavole della testimonianza, «tavole di pietra scritte con il dito di Elokim» (Es 31,18).

            Dopo il drammatico episodio del vitello d’oro e le terribili punizioni che ne conseguono, Mosè pianta la sua tenda fuori dall’accampamento e la tenda diventa ohel ha-moed ,la tenda dell’adunanza. Quando Mosè entra nella tenda la Shekhinah entra con lui e il Signore parla con lui come uno parla con il suo amico (Es 33,11).

            Mosè si nasconde nella cavità della roccia quando passa la gloria del Signore (Es 33,22) poi taglia due tavole come le precedenti e di nuovo sul far del mattino sale sul monte (Es 34,4). Per quaranta giorni digiuna e scrive sulle tavole dell’Alleanza (Es 34,28), poi scende dal monte con le tavole in mano e il volto raggiante (Es 34,29).

            La festa di Shavuot si situa cinquanta giorni dopo Pesah. Il filo che unisce le due feste è il conto dell’omer. Le sette settimane permettono di riparare le middot, le qualità che consentono di ricevere la Torah. Secondo il Rabbi di Gur (1847-1905) Shavuot costituisce la fine e il fine di Pesah[1].

            Le feste della Torah, Pesah, Shavuot e Sukkot, costituiscono il “risveglio dall’alto”, e a loro corrispondono rispettivamente Yom Asmaut, Purim e Hannukah come “risveglio dal basso”. Purim è in corrispondenza con Shavuot perché i figli d’Israele accettarono volontariamente a Purim la Torah che in qualche modo erano stati costretti ad accettare a Shavuot.

            2. A partire dalla pubblicazione del classico del Deismo inglese Il cristianesimo vecchio come la creazione (1730) di M. Tindal (1653-1733) tra i filosofi si diffonde l’idea che le religioni positive (ossia storiche) non siano altro che contraffazioni e corruzioni dell’unica vera religione, quella naturale. Ritengono infatti assurdo pensare che D. abbia voluto rivelare se stesso e le sue leggi solo a un popolo, in un dato momento della storia. L’idea di Rivelazione diventa pertanto inutile, se non dannosa: sarebbe una copia della religione della natura a cui sono state aggiunte superstizione e violenza.

            Secondo G. E. Lessing (1729-1781) le religioni rivelate sono solo tappe dell’educazione morale del genere umano, e spariranno quando sorgerà la religione razionale. Nel tempo intermedio la migliore religione rivelata è quella che contiene il minor numero di aggiunte alla religione naturale (leggi: il cristianesimo).

             I. Kant (1724-1804) ritiene che la morale possa essere solo autonoma e non eteronoma, pertanto i postulati della ragion pratica e le formule dell’imperativo categorico si sostituiscono al Decalogo. L’entusiasmo per l’opera del suo maestro spinge J. G. Fichte (1762-1814) a scrivere il Saggio di una critica di ogni Rivelazione (1792).

            La Filosofia della Religione (1840) di G. W. F. Hegel (1770-1831) dispone le diverse forme religiose in una successione ascendente al cui vertice si trova il cristianesimo come forma di religione assoluta. L’ebraismo costituisce solo il primo grado delle “Religioni dell’individualità spirituale”, mentre solo nella triade successiva si entra, con il cristianesimo, nell’ambito della religione rivelata[2].

            La Filosofia della Rivelazione (1854) di F. W. J. Schelling (1775-1854) considera «già incomprensibile come D. possa entrare in un rapporto tanto immediato con un individuo umano da parlare con lui, da esigere qualcosa da lui».[3] Ma l’aspetto più problematico è un altro: «Il vero D. nell’Antico Testamento è dunque mediato attraverso quello falso e legato con questo, per così dire. Questo è, in generale, il limite della rivelazione veterotestamentaria».[4] Questo grande limite della Rivelazione sinaitica spiega perché essa vada abolita: «Se nella rivelazione stessa veterotestamentaria non ci fosse un tale presupposto, non ci sarebbe nessuna ragione perché l’ordine veterotestamentario fosse abolito da Cristo proprio come il paganesimo. Entrambi vengono superati insieme ed uno eodemque actu».[5]

            La contestazione del matan Torah costituisce un Leitmotiv della filosofia moderna europea.

            3. Se dai filosofi passiamo ai teologi le cose non migliorano. L’episodio del vitello d’oro viene interpretato come «il tradimento d’Israele nell’atto stesso in cui viene scelto».[6] Colpevole di ingratitudine e tendente al tradimento e all’apostasia, Israele perde la sua elezione: «Il contrasto tra benefici ricevuti e trasgressione è così stridente che lo stesso racconto del peccato originale impallidisce, per tono e contorni, confinato com’è nella distanza primordiale del mito, rispetto alla crudezza circostanziata della narrazione della prima apostasia d’Israele».[7]

            La polemistica cristiana sfrutta l’episodio per argomentare l’irreparabilità della caduta d’Israele sin da subito. Israele si dimostra indegno dell’elezione, che si trasforma in maledizione. Già la Lettera di Barnaba (II sec.) proclama: «Vi chiedo inoltre, come uno di voi, amandovi uno per uno e tutti più di me stesso, di badare a voi stessi e di non diventare simili a certuni, accumulando i vostri peccati col dire che la nostra alleanza è anche di quelli. E’ nostra, certo: invece essi l’hanno perduta già quando Mosè la ricevette».[8]

            Giovanni Damasceno (675-750 ca) opera il collegamento tra Pesah e Pasqua, tra episodio del vitello d’oro e deicidio, entrambi espressioni di un unico rinnegamento: «Avete rinnegato il vostro Re: rimanete dunque d’ora innanzi senza Re, trascinando in eterno il giogo della schiavitù».[9] La festa della liberazione si trasforma nel suo contrario.

            E così via, di secolo in secolo, il Sinai suscita la sinah, l’odio, di coloro che si ritengono esclusi dall’elezione.

            4. «In questi giorni ho pubblicato Cinque conferenze sulla Pentecoste, le quali fan parte di una serie di discorsi da me tenuti in un periodo di oltre trent’anni e che sono tuttora inediti».[10] Era il 1886 e Benamozegh, dopo i grandi lavori dedicati alle origini ebraiche del cristianesimo intrapresi e conclusi negli anni Sessanta,[11] si dedicava alla stesura di Israël et l’Humanité,[12] della quale aveva pubblicato l’anno precedente l’Introduction.[13]

            Egli intende esporre la parte non scritta, ma tradizionale della storia della Rivelazione sinaitica, con la sua «pleiade bella, edificante, graziosa di fatti minori, di eloquentissimi particolari». Il luogo fu un deserto, perché gli ebrei non potessero dire ai gentili: «Andate, voi non avete parte veruna nella parola di D.». Il sito fu un monte, a significare le fatiche e i pericoli che accompagnano la conquista della virtù. La scena: tuoni e lampi, a indicare la duplice forma della Parla di D.:Tradizione e Scrittura. Il suono dello shofar era alto, fragoroso, assordante, un suono continuo e sempre crescente, a indicare «non solo la perpetuità della Legge, ma la continuità ed anche il progresso (…) il progresso ch’è quanto dire un aumento, uno sviluppo, una efflorescenza sempre maggiore non già in lei, che è sempre la stessa e sempre assoluta, ma negli uomini che la posseggono, nella sua intelligenza, nella sua pratica, nella sua diffusione».

            Il velo di Mosè indica che «tutta la luce mosaica non c’era allora nessuno al mondo che potesse per intero contemplare» e che Mosè non fosse consapevole del suo volto raggiante significa che «Mosè non aveva coscienza di tutta la sua grandezza. Non conosceva tutto quel che voleva, non sentiva tutta la forza, la scienza, la vita, la verità di cui era latore agli umani».

            Erano presenti non solo tutti i Profeti, ma tutte le anime passate, presenti e future d’Israele, e la Voce era diretta a ognuno singolarmente. La Voce si esprimeva in settanta lingue (= in tutte le lingue) perché tale è l’orizzonte universale di una religione che deve essere «larga, sintetica, umanitaria, cosmopolitica e liberamente accettata».

            L’attenzione all’universalità della Rivelazione è costante in Benamozegh, fino a vedere nella Rivelazione del Sinai non un fatto isolato senza precedenti ma «Mosè sta in mezzo tra due tradizioni, una sua madre, l’altra sua figlia, una che lo precede, l’altra che lo segue» rappresentate da Aharon e da Hur. Il mosaismo precede e segue Mosè e le pratiche mosaiche non sono «quel portato serotino, quella tardiva vegetazione che molti s’immaginano (ma) una verità antica quanto il mondo, l’anima, anzi il pensiero, il verbo, lo spirito dell’universo».

            Sia nel dogma che nel culto «la Tradizione avanti e quella dopo Mosè si stendono amica la mano a traverso a tanti secoli», «Mosè nulla ha innovato in fatto di dogma, ma tutto ha ordinato, restaurato, rimesso in onore».

            Sono le tesi di Israël et l’humanité, enunciate già nel sottotitolo dell’opera: Démonstration du cosmopolitisme dans les dogmes, les lois, le culte, la vocation, l’histoire et l’idéal de l’Hebraïsme.

            5. Secondo la Tradizione Mosè ricevette sul Sinai e nei colloqui nella tenda dell’adunanza la Torah sia scritta che orale, ossia non solo il Pentateuco, ma tutto il Tanakh, la Mishnah, il Talmud, la Qabbalah e tutte le domande che gli allievi avrebbero un giorno posto ai loro maestri. Il che non toglie però che le storie dei Patriarchi fossero già conosciute da lui e dai suoi contemporanei in quanto tramandate di generazione in generazione.

            Benamozegh stampa le sue Conferenze proprio nell’anno in cui l’hegeliano evangelico J. Wellhausen (1844-1918) pubblica a Berlino Composition des Hexauteuchs und der historischen Bücher des Alten Testament, destinato a dominare per decenni gli studi “scientifici” sulla Bibbia. Già da tre secoli i filosofi avevano dato inizio alla critica biblica. T. Hobbes (1588-1679) nel Leviatano (1651) aveva affermato che i Cinque libri di Mosè non erano stati scritti da Mosè, il quale si era limitato a redigere il Libro della Legge (Dt 11-26). B. Spinoza (1632-1677) nel Trattato teologico-politico (1670) sosteneva che «il Pentateuco non è autografo». Furono seguiti da R. Simon (1638-1712), J. Astruc (1684-1766) e innumerevoli altri.

            Certamente, il mondo dell’ortodossia e il mondo della critica biblica possono continuare a ignorarsi vicendevolmente. Ma Rav Benamozegh non si sottrae al dibattito. Dopo aver combattuto coloro che hanno reso vana la tua Torah (Sal 119,128), dopo aver denunciato il formidabile errore di voler separare il Decalogo dalle 613 miswot, dopo aver mostrato l’orizzonte universale della Torah, egli era pronto al confrontocon la scienza.

            Dopo più di un secolo le ipotesi si sono susseguite numerose, ed è oggi difficile trovare due studiosi che concordino tra loro. Forse le tesi di Benamozegh sulla anteriorità della Torah orale sulla Torah scritta potrebbero indicare un luogo nel quale tradizione e scienza possono incontrarsi.

            6. «Israele e Umanità non solo a vicenda si stringono, ma s’integrano e completano a vicenda senza smarrirsi né dissolversi l’uno nell’altro». Se fosse vero che D., il quale ha creato tutti i popoli, non si prendesse cura poi che di uno solo «questa sarebbe la più scandalosa delle ingiustizie, il più crudele dei capricci, la più flagrante violazione dei doveri paterni».

            Ma la Torah è duplice «ha due leggi, due religioni, due regole, due discipline, la noachide riassunta nei sette capitoli che si dicono Sheva miswot bene Noah [i sette precetti noachidi] e la mosaica intessuta dell’elenco ricchissimo dei precetti mosaici; la prima ad uso delle genti, la seconda d’Israele».[14] E così la Rivelazione è dimostrata con l’argomento stesso con cui si voleva negarla.

Marco Morselli

Università di Modena e Reggio Emilia

Desidero ringraziare Rav David Gianfranco Di Segni, del Collegio Rabbinico Italiano, che mi ha aiutato a controllare i riferimenti alla Torah (scritta e orale) e a modernizzare le traslitterazioni dall’ebraico.



[1] Le Rabbi de Gur, La langue de la vérité, a c. di C. Chalier, Albin Michel, Paris 2004.

[2] G. G. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, a c. di E. Oberti e G. Borruso, Zanichelli, Bologna 1973, II, pp. 50-100.

[3] F. G. G. Schelling, Filosofia della rivelazione, a c. di A. Bausola, Zanichelli, Bologna 1972, II, p. 221.

[4] op. cit, II, pp. 222-3.

[5] op. cit, II, p. 223. L’argomentazione va naturalmente ribaltata. Il D. del matan Torah non è affatto legato al “falso D.”, non vi è in effetti nessuna ragione perché “l’ordine veterotestamentario” debba essere abolito, e i cristiani che fanno di Cristo l’abolitore della Torah fanno falsa testimonianza (cfr. Mt 5,17-19).

[6] P. C. Bori, Il vitello d’oro. Le radici della controversia giudaica, Boringhieri, Torino 1983, p. 10.

[7] ibidem.

[8] op. cit., p. 24.

[9] op. cit., p. 26.

[10] Così scriveva Benamozegh nella sua Autobiografia, pubblicata, nella traduzione dall’ebraico di D. Lattes, in E. Benamozegh, Scritti scelti, a c. di A. S. Toaff, La Rassegna Mensile d’Israel, Roma 1955, pp. 16-23.

[11] E. Benamozegh, L’origine dei dogmi cristiani, Marietti, Genova 2002; Id., Morale ebraica e morale cristiana, Marietti, Genova 1997; Id., Storia degli esseni, Marietti, Genova-Milano 2007.

[12]Id., Israele e l’umanità, Marietti, Genova 1990.

[13] Id., Israele e Umanità. Il mio credo, ETS, Pisa 2002.

[14] Cfr. Id., Il noachismo, Marietti, Genova-Milano 2006. Esiste ora un gruppo di noachidi italiani, si veda il sito www.benenoach.info.



Martedì, 27 novembre 2007