P. Angelico Lipani

Frate cappuccino da Caltanissetta


di Giuseppe Castellese, Palermo


Ogni essere umano, a parte la componente genetico-ambientale, io credo venga, quasi inesorabilmente, “segnato” e, quindi, “sarà” secondo eventi (magari semplici “incidenti di percorso”) che danno la “dritta” ovvero la giusta sterzata. Le opzioni dell’individuo, tuttavia, danno esiti ottimali quando “alta” è l’idea che avvince: se no il “destino” (o più modestamente il risultato) è l’aurea mediocrità con l’anonimato senza ricordo.

Ecco, p. Angelico, a parte la “buona razza”, è uno di quelli che hanno avuto, nelle buone occasioni, la forza di cogliere la dritta e di non voltarsi mai più indietro. Quelle situazioni il più delle volte (e si badi bene anche quando siamo noi, “persone normali”, col senno di poi a vagliarle) sembrano di sventura: ma qui sta la “dritta”; quelli (i nostri eroi) hanno scelto contro corrente, contro ogni calcolo di prudenza o di opportunismo e non per questo saranno, come è vezzo nelle agiografie, i “prescelti”. Anzi, altri, senza mezzi termini, direbbero che, poveri fessi, hanno dato un calcio alla fortuna per seguire una strada in bella evidenza tutta piena di pericoli e irta di croci: mi viene in mente che le croci te le ritrovi, poi, pesantissime magari quando hai creduto di fare scelte “furbe” e di comodo!

Vincenzo Lipani nasce a Caltanissetta il 28 dicembre 1842; quinto di sei figli, la famiglia dovette essere di livello non infimo per potersi permettere di tenere agli studi, di sicuro, due dei 4 figli maschi. Lo sappiamo perché il fratello maggiore Pietro, morto ancor giovanissimo prete, era stato causa di una iniziale resistenza e non entusiasmo della madre alla vocazione di Vincenzo. C’era voluto il fatidico 1860 con il compimento del 18° anno di età, per vedere Vincenzo decidere di presentarsi presso i cappuccini di Palermo come postulante di noviziato. E qui noi, saggi calcolatori, ci si straccia le vesti: ma non vedi, povero cocco, che i tempi sono cambiati? È arrivato Garibaldi e la sua rivoluzione! da ora in avanti c’è spazio per avventurieri, non per tosati fraticelli di madonna povertà. Ma perché, ragazzo, non startene a casa a goderti i tuoi 18 anni già corroborati da studi “seri e promettenti” compiuti in Caltanissetta presso il Collegio dei Gesuiti (allora scuola Elementare, Normale, di Grammatica e Filosofia)? Avresti fatto carriera: saresti stato sicuramente uno dei tanti uomini della neodirigenza nello Stato liberale e massonico!

 

Fra’ Angelico novizio e studente…

Invece il giovane sceglie di essere fra’ Angelico e tra il 1860 e l863 compie la gran parte dell’itinerario di formazione e studi che lo caratterizzerà per l’avvenire come “fine intellettuale” dal taglio particolarissimo e, tra i suoi confratelli cappuccini, “stridente” come se fosse andato lui… “fuori dal seminato”! egli invece, magari con sparuta compagnia, si era messo nel solco del santo Francesco. A volerlo, possiamo vedere qui una delle prime “dritte” che avevano giocato a favore del p. Angelico caratterizzandolo così fortemente: vedi caso gli studi (non solo di approfondimento teologico) in cui egli si era buttato a pesce erano quelli previsti, formulati e ordinati appena nel 1854 dal riformatore p. Salvatore da Ozieri, generale dei Cappuccini, secondo i nuovi “Regolamenti”, dati proprio a Palermo in Sacra Visita! Ebbene proprio tra i suoi (mentre possiamo pensare che, da “superman”, lo commiserassero beffardi) fra’ Angelico ebbe il torto di essere il migliore! anzi emerse come la punta di diamante che faceva onore al suo Ordine ed ai Regolamenti, appena entrati in vigore; ovvio che tra i confratelli molti non gradissero e, da allora in poi, è risaputo come fosse costantemente preso di mira con “fratesche” sottolineature e ammiccamenti volendosi ridimensionarne, se non distruggere, meriti e iniziative “rimproverate”, in crescendo nel tempo, come compiute a non esclusivo favore del “convento”: la solita miserabile, faziosa, “farisaica” visione di “regno di Dio”! Nacque da allora il processo denigratorio e di rimozione dell’opera e della stessa vita e persona del p. Angelico per cui, a tutti gli anni novanta (1998… ), all’interno del suo Ordine, nessuno seppe o volle ricordare. Anzi sorprende ancor oggi, da parte di qualche vecchione (che si trincera nel…vago ricordo) l’interrogativo pudicamente insinuante: “ma è morto in convento, il p. Lipani?!” E non deve trattarsi di cosa da poco se poi, quasi a livello subliminale, riaffiorano, magari bisbigliate, le stesse “perplessità”, ultimamente nel frate che dovrebbe pure occuparsi di promuovere il processo canonico. Mentalità del “cappuccino” secondo riverberi di chiusura del più truculento tra i fondatori (fra’ Ludovico da Fossombrone detto l’autarca)? Per fortuna, tuttavia, c’è chi percepisce che quelli intravisti come “punti deboli” nella storia del frate sono in realtà punti di forza che favoriscono l’emergere della immagine di uomo colto, aperto nella carità autenticamente francescana, quasi profeta che pregusta temi e linguaggio del Concilio in ordine sia ad una “rilettura” del Nuovo Testamento che per le nuove sensibilità, tutte da sviluppare, nella risorgente “fraternità cappuccina”[1].

A parte ciò, direi che l’alveo di serena, personale libertà in cui “cresce” il giovane p. Angelico, consentirà nel tempo lo sviluppo di attitudini che gli permetteranno di spendersi, “concretamente” e non a parole, in quelle che nei processi di canonizzazione vengono identificate come “virtù eroiche”.

 

Il giovane p. Angelico esule e pellegrino

Correva dunque l’anno 1866 e p. Angelico, in seguito alle leggi di soppressione degli ordini religiosi (legge 28 giugno 1866)[2], appena sei mesi dopo la ordinazione a presbitero, lascia la sicurezza ovattata della sua “celletta” a Palermo e si immette, privato del suo saio, sulla “regia trazzera” per Caltanissetta. Il frate, per volontà del legislatore della nuova Italia, tornava a casa presso i suoi e ci tornava, se proprio lo voleva, come un “don” Vincenzo Lipani, “cittadino”. Possiamo, ora, immaginare che egli non gongolasse di gioia, né dovesse intravedere per sé, ma anche per i suoi familiari, “certezze”: ritornava, da esule e pellegrino, giovane di 24 anni e non era, di certo, un navigato diplomatico; quindi tornava, compagna la tristezza e interrogativi a non finire, e tuttavia a Caltanissetta non tornava un disperato! Egli va con la fiducia di essere protetto dalla presenza e dalla misericordia di Dio.

Puntando su un tale “innesto” (presenza e misericordia di Dio[3]), “sebbene, ci dice il frate cronista, quelli tra il 1860 e il 1875, siano anni i più arrabbiati dell’epoca, cui venne ad aggiungersi, più tardi, anche il flagello del colera”, p. Angelico giunto a Caltanissetta prenderà, poco per volta, atto della realtà nuova e vi si inserirà… ma sempre “francescanamente” tanto da… “francescanizzare”, in seguito, la Diocesi del cui clero sarà, tra i più incisivi, maestro e formatore. E dunque da una visione pessimistica, quasi piagnucolosa (un fraticello… implume che lascia il suo convento), perveniamo alla considerazione ardita che, senza tanto putiferio (la soppressione degli ordini religiosi), non avremmo avuto il p. Angelico che ci apprestiamo a conoscere; ne avremmo avuto uno diverso che non vogliamo indovinare di che tempra.

Ma quali supporti “spirituali” (o veri e propri “capisaldi ecclesiali”) avranno alimentato quelle che nel tempo si rivelarono precise scelte di p. Angelico?

E qui ci piace pensare, secondo il suggerimento del già postulatore p. Gaspare Lo Nigro, che p. Angelico trovasse “motivazioni” fondamentali nella rilettura di S. Paolo (ci serviamo della guida di S. Giovanni Eudes, sacerdote): “il Cristo cresce e giunge alla sua maturità nella Chiesa e noi contribuiamo a questo processo di sviluppo. Noi effettivamente cooperiamo a creare l’uomo perfetto e a portare a piena maturità il Cristo (Cfr. Ef. 4,13); e quindi che p. Angelico scegliesse di spendersi in impegni che appariranno sempre più “francescani” malgrado le “titubanze di parte” dello storico della “provincia cappuccina” di Palermo.

La situazione che p. Angelico trova al suo arrivo a Caltanissetta, era stata, quasi prodigiosamente “fotografata”, secoli prima, da S. Gregorio di Nissa (“Discorsi sull’amore verso i poveri”) che riportiamo in nota[4].

P. Angelico nuova recluta del clero di Caltanissetta

«Dal novembre 1867 alla primavera del 1872, il vescovo Giovanni Guttadauro certamente studiò questa nuova recluta del clero diocesano di Caltanissetta. Egli, da uomo navigato e accorto, scoprì gli aspetti positivi e costruttivi di questo fraticello ex cappuccino; lo pesò in tutte le direzioni, lo trovò positivo: non chiacchierone, non fannullone, non scansafatiche; lo scoprì uomo di preghiera, di studio, amante della buona cultura; non un bibliomane ma un lettore accorto e intelligente. Aveva tra le mani, egli Giovanni Guttadauro, un personaggio di valore in grado di coprire ruoli formativi a livello scolastico ma molto più extrascolastico.

Vincenzo Li Pani risultava uomo che poteva fare molta strada nel servizio della Chiesa e soprattutto in quella Chiesa Nissena che, proprio perché di nuovissima istituzione, aveva bisogno di gente laboriosa, tenace, intraprendente a tempo e a luogo.

I vescovi di Caltanissetta (Giovanni Guttadauro, il successore, il Vescovo Zuccaro che si trovò ad esercitare il suo ministero a cavallo tra l’ultimo Ottocento e il primo Novecento, e poi Intreccialagli uomo di Dio e ministro del popolo di Dio) tutti si trovarono in sintonia col giovane p. Angelico il quale non disilluse le loro aspettative pastorali, pedagogiche, didattiche. Dovunque il vescovo lo chiamasse, Angelico Li Pani rispondeva: "adsum". Per questo giovane, formato alla scuola dei lettori cappuccini di vecchio stampo, tutto con la grazia di Dio poteva affrontarsi senza grettezza e meschinità.

 

La figura di p. Angelico, nel pieno dell’attività apostolica in cui lo ha collocato la Divina Provvidenza, risulta “polivalente”: c’è l’interesse del Francescano per il Terz’Ordine, ma anche l’interesse del presbitero che si è messo a disposizione del Vescovo per la buona formazione spirituale e intellettiva degli allievi del santuario; c’è, in primo piano, la sollecitudine verso la povera gente trascinata nel baratro dell’indigenza a causa della serie di disgrazie che colpirono in quegli anni le miniere di zolfo: vedove, orfani, bimbe per le strade, la fame più nera, e poi… lutti, pianti, vergogne da ricoprire di stracci.

Ed ecco ora il cappuccino p. Angelico questuante di alimenti sottratti spontaneamente alle mense dei ricchi e dei fortunati; ecco p. Angelico che, con la forza delle anime miti, trascina nell’avventura ecclesiale caritativa anime nobili e generose: qui le sue premure e le sue preoccupazioni diventano patrimonio cittadino e si trasformano in pasti caldi a cadenza giornaliera o settimanale.

Ci incontreremo col versatile p. Angelico sui banchi di scuola a servizio della Chiesa locale; un servizio fatto quasi sempre in punta di piedi, senza baraonda, nell’umiltà propria di chi ha sempre presente la raccomandazione di Gesù: "siamo servi inutili". Nella psicologia di p. Angelico fu sempre presente "l’ultimo posto" che per lui non fu inutile, formale raccomandazione ma il precetto principe di tutti i suoi comportamenti. Nel pieno vigore dei suoi giovani anni p. Angelico non si sbilanciò mai verso i primi ranghi, ma silenziosamente preferì lavorare verso gli ultimi posti» [5].

E da ciò possiamo concludere che in tutta la poliedrica attività di p. Angelico prevale e domina la nota caratteriale del frate comunque e dovunque “in servizio” ma… in punta di piedi e senza mai pretendere ranghi di risalto personale, preferendo sempre l’ultimo posto.

Ora, ecco le direttrici di servizio (via via più organicamente collegate) in cui scruteremo lo snodarsi della vita di p. Angelico:

·               l’attività formativa a favore del seminario diocesano;

·               l’attenzione verso i poveri, povertà in senso pieno per la situazione di disastro in cui versa soprattutto il Nisseno: qui il frate interviene concretamente facendosi “tramite” ma senza pretese e soprattutto mai qualificandosi come “parte”. Per l’assistenza organizzata e continuata alle fanciulle rimaste “orfane” in seguito alle disgrazie nelle miniere di zolfo in degradato smantellamento, si profilerà lentamente il progetto di costituire, nell’ambito del terz’ordine, un nucleo di donne consacrate;

·               la dedizione del cappuccino verso i suoi confratelli per i quali predispone il ritorno in un “nuovo conventino” in Caltanissetta.

 

P. Angelico insegna latino per 35 anni…

Agli inizi si trattò più che di “scuola di latino fatta nel ginnasio del seminario” di una sorta di cenacolo di pochi ragazzi, altrimenti sbandati, radunati in casa di p. Angelico e presso la Chiesetta del Crocifisso “Signore della Città” a lui affidata sin dal suo incardinamento come prete diocesano (1872). Qui il p. Angelico dovette utilizzare nei confronti degli allievi (tra 5 e 7 in tutto) l’esperienza e la metodologia della tradizione cappuccina: egli si fece, perciò, “padre lettore” e quindi promotore e referente di tutto il lavoro di formazione e crescita dei suoi pochi discepoli che, magari esonerava la mattina perché potessero andare a lavorare a sostegno della famiglia. Dovette essere questo, p. Angelico giovane, il periodo d’oro del suo “insegnamento”: da qui uscirono le migliori leve del clero nisseno (formatori a loro volta e poi alcuni tra i più appassionati “preti sociali” e un paio di futuri vescovi) e, quelli che non furono preti, alcuni tra i più aperti e lungimiranti professionisti o funzionari del nuovo Stato che, temuti come aberrati massoni, ritroveremo “dolcissimi sponsor” dell’antico, amato maestro nella sua opera di carità.

Questo il periodo in cui la scuola di p. Angelico divenne “fucina” di elaborazione dei tre testi “Epitome” di grammatica latina, poi regolarmente editi e messi a disposizione degli studenti dei licei italiani: se il Durando, latinista di cui resta famoso il Dizionario, o il Vallauri ebbe a disturbarsi a recensire i tre volumi provenienti da Caltanissetta, vorrà dire che il professore Lipani doveva avere spazio nell’opinione dei cultori del tempo e possedere “nerbo” di vero maestro. A tale proposito, ho espresso a vari livelli l’opinione e ribadisco che, per conoscere a fondo (ai fini processuali canonici) le sfaccettature della personalità di Angelico Lipani, dovrebbe essere affidato a un collegio tecnico e di cultori di chiara fama uno studio critico anche degli scritti didattici.

 

L’attività caritativa verso le orfanelle e, in contemporanea, verso i confratelli

Il M.R.P. Angelico per 25 anni aveva fatta scuola di latino nel ginnasio del seminario; ora mons. Guttadauro, volendo gratificare il lungo ed ottimo servizio prestato dal p. Angelico, accondiscese di concedere l’uso, semplice per allora, della chiesetta di S. Michele coll’annesso seminario di campagna ai Cappuccini paesani.

Abbiamo voluto dare parola al cronista cappuccino per rendere ragione del “brodo culturale” in cui si innesta l’attività caritativa di p. Angelico. Egli anzitutto si applicò alla vera “emergenza” e cioè l’assistenza delle orfane abbandonate, e ciò fece prima con la disponibilità di alcune, anche nobildonne, madri di famiglia, poi formando una comunità di religiose (all’inizio appena due suore) con uno statuto del 15 ottobre 1885; ma qui il grido di dolore del “cappuccino integrale” (il cronista) che si crede defraudato risulta “fraudolento”: non risulta verità che devono passare “25 anni di insegnamento” perché il p. Angelico metta mano anche alla costruzione del nuovo conventino… Infatti, già l’8 dicembre 1885 p. Angelico, pensando ai propri confratelli, aveva acquistato il primo lotto di terreno presso S. Michele; un altro lotto l’aveva acquistato il 15 ottobre 1888 e ancora un mese dopo, il 20 novembre 1888, anche con l’aiuto del Vescovo di cui sopra, aveva posto la prima pietra del futuro “conventino”: tant’è che la provincia cappuccina di Palermo, essendo provinciale p. Gaspare Lo Nigro, il 20 ottobre 1988, ne potè celebrare “il centenario”.

Il conto dei 25 anni di insegnamento torna solo quando si considera la data del 4 dicembre 1904 quando i frati possono tornare, proprio nel conventino di S. Michele, alla tanto agognata (almeno da p. Angelico) vita comunitaria.

Dunque le due opere di p. Angelico si muovono in contemporanea, ma con ciò pur potendo dimostrare l’infondatezza del risentimento fratesco, mi piace pensare che p. Angelico prediligesse i poveri e le orfanelle.

Le orfanelle in effetti dovettero essere sempre il primo pensiero di p. Angelico e la Congregazione delle Suore francescane del Signore della Città fu la creatura prediletta per la cui sopravvivenza si batterà impegnando le ultime sue risorse. Quell’opera, a dire di Cataldo Naro[6], "era talmente piccola cosa" che già al suo nascere ebbe a rasentare la soppressione da parte dello stesso vescovo Intrecciatagli. La soppressione rientrò perché il p. Angelico, già paralitico e ormai prossimo alla fine, riuscì a fare breccia nell’animo del vescovo.

La sensazione, anche se da più parti si glissa sull’argomento nel tentativo di sopire l’occhiuto risentimento dei frati, è che p. Angelico ebbe chiaro che la Congregazione non avrebbe potuto avere vita in un “contesto cappuccino” e quindi predispose la successione della “direzione” affidandola a preti diocesani, primo don Michele Gerbino, il seminarista part-time della prima ora.

Talune polemiche che giravano su presunte “distrazioni di elemosine” dal convento dei frati verso le orfanelle, sono stroncate dall’estratto di rendiconto che segue:  dal maggio 1903, giorno in cui i pp. Cappucini (il M.R. p. Angelico Lipani da Caltanissetta, presidente ed ex definitore, e il p. Gaetano Li Pani da Caltanissetta, predicatore) si stabiliscono nel nuovo convento di S. Michele:

- dall’8 maggio 1903 sino al 31 dicembre 1904 il necessario al vitto fu apprestato dai suddetti. Però l’olio dall’8 maggio 1903 sino a tutto novembre dello stesso anno, fu apprestato “dall’IstitutoTerziariie francescane cappuccine del Signore della Città”. Dal novembre 1903 fino al presente, pane, olio, cacio e legna, è stato apprestato dalla Divina Provvidenza. Nel mese poi di novembre 1904 salme 2 e tumuli 6 di frumento pervenne dall’Ospizio di S. Spirito, abbandonato dai pp. Cappuccini con la morte (11/11/1904) del M.R.P. Daniele Amico ex Provinciale.

Nota 1ª: il presente libro di introito ed esito incomincia dal gennaio 1905.

Nota 2ª: le tre celle d’oriente furono terminate e rese abitabili l’anno 1903, a spese dei suddetti PP Li pani in lire 600. Altre 3 di ponente l’anno 1904: si fecero le soffitte a spese dei suddetti padri in £ 200. Così pure la compra della mula nell’anno 1903 in £ 350.

 

 

Parte II

Ed infine un cappuccino… difese p. Angelico

L’anno centenario della posa della prima pietra

Il resoconto, talvolta spigoloso, dello storico della provincia (p. Antonino da Castellammare) trova la sua conclusione nell’anno centenario della posa della prima pietra del seminario dei Cappuccini in S. Michele di Caltanissetta, cioè il 20 novembre 1988. Quella data, un secolo prima, a dire di p. Gaspare Lo Nigro, fu profetica e, come tale, deve trovar posto nella storia della Provincia dei Cappuccini di Palermo. Non deve essere considerata una frattura ma un coraggioso rilancio, frutto di illuminata intuizione, dovuto all’iniziativa dell’energico p. Angelico.

 

Nel solco del primo Francescanesimo…

Tutto ciò, possiamo permetterci di dire, venne realizzato nel solco tracciato dal primo francescanesimo e dal nuovo Ordine Cappuccino, beninteso escludendo le esasperazioni iniziali quando cioè imperversavano soggetti come fra’ Ludovico da Fossombrone detto l’autarca. Pertanto ci piace qui ricollegare l’azione del nostro p. Angelico alla linea dei Cappuccini più dinamici, aperti, intelligenti, colti, quali il nuovo beato fra’ Marco da Viano e la fulgida figura di fra’ Fedele da Sigmaringen, santo protomartire della Propagazione della Fede.

E dunque la opzione, fatta da p. Angelico in quel di Caltanissetta nel periodo storico dimensionato dai fatti sopra cennati, trova riscontro e piena giustificazione, anche teologica, primieramente nel dilemma posto da Francesco a sorella Chiara. Eremitaggio o convento dei Cappuccini?

 

Eremitaggio o convento dei Cappuccini?

L’umile servo di Cristo santo Francesco, poco tempo dopo la sua conversione, avendo già raunati molti compagni e ricevuti all’Ordine, entrò in grande pensiero e in grande dubitazione di quello che dovesse fare: ovvero d’intendere solamente ad orare, ovvero alcuna volta a predicare; e sopra ciò disiderava molto di sapere la volontà di Dio. E però che la santa umiltà ch’era in lui non lo lasciava presumere di sé nè di sue orazioni, pensò di cercarne la divina volontà con le orazioni altrui. Onde egli chiamò frate Masseo e dissegli così: «Va’ a suora Chiara e dille da mia parte ch’ella con alcune delle più spirituali compagne divotamente preghino Iddio che gli piaccia dimostrarmi qual sia il meglio: ch’io intenda a predicare o solamente all’orazione. E poi va’ a frate Silvestro e digli il simigliante». Quello era stato nel secolo messere Silvestro il quale avea veduto una croce d’oro procedere dalla bocca di santo Francesco, la quale era lunga insino al cielo e larga insino alla stremità del mondo; ed era questo frate Silvestro di tanta divozione e di tanta santità che di ciò che chiedea a Dio e’ impetrava ed era esaudito, e spesse volte parlava con Dio; e però santo Francesco avea in lui grande divozione.

Andonne frate Masseo e, secondo il comandamento di santo Francesco, fece l’ambasciata prima a santa Chiara e poi a frate Silvestro. Il quale, ricevuta che l’ebbe, immantanente si gittò in orazione e orando ebbe la divina risposta e tornò a frate Masseo e disse così: «Questo dice Iddio che tu dica a frate Francesco che Iddio non l’ha chiamato in questo stato solamente per sé, ma acciò che faccia frutto delle anime e molti per lui sieno salvati». Avuta questa risposta, frate Masseo tornò a santa Chiara a sapere quello ch’ella aveva impetrato da Dio. Ed ella rispuose ch’ella e l’altre compagne aveano avuta da Dio quella medesima risposta la quale avea avuta frate Silvestro.

 

…che tu vada per lo mondo a predicare

Con questo ritorna frate Masseo a santo Francesco e santo Francesco il riceve con grandissima carità lavandogli li piedi e apparecchiandogli desinare. E dopo ’l mangiare, santo Francesco chiamò frate Masseo nella selva e quivi dinanzi a lui s’inginocchia e trassesi il cappuccio, facendo croce delle braccia e domandollo: «Che comanda ch’io faccia il mio Signore Gesù Cristo?» Risponde frate Masseo: «Sì a frate Silvestro e sì a suora Chiara colle suore, che Cristo avea risposto e rivelato che la sua volontà si è che tu vada per lo mondo a predicare però ch’egli non t’ha eletto pure per te solo ma eziandio per salute degli altri». E allora santo Francesco, udito ch’egli ebbe questa risposta e conosciuta per essa la volontà di Cristo, si levò su con grandissimo fervore e disse: «Andiamo al nome di Dio». E prende per compagno frate Masseo e frate Agnolo, uomini santi.(Da I Fioretti, CAPITOLO XVI [1845]).

 

P. Angelico coerente con il DNA francescano

Dovendo parlare di p. Angelico Li Pani "costruttore" del terzo convento sorto nella storia dei Cappuccini di Caltanissetta, si impone il riferimento al "DNA", al codice genetico, al "depositum" fondamentale del francescanesimo.

Come vediamo direttamente dai "Fioretti", S. Francesco, reduce da malattia e da crisi angosciante di coscienza, sentì il bisogno di chiedere l’aiuto di preghiera alle anime a lui più vicine. La crisi di Francesco era la stessa che ricorre in tanti altri santi francescanie in p. Angelico: il Signore mi ha chiamato per me solo, o anche perché io e la famigliola umile e dimessa che nasce da me, ci mettiamo a servizio di tutta la Comunità cristiana?

Perciò egli mandò fraticelli fidati perché ponessero la domanda a sorella Chiara, la quale pregasse per lui il Signore che lo illuminasse sulla scelta che si proponeva alla sua coscienza. “Sorella Chiara, la chiamata di Dio è solamente per me o per tante altre anime?”

E sorella Chiara, rinviando qualche giorno dopo il messaggero al mittente: "il Signore non ti ha chiamato solamente per te, ma per tantissime altre anime".

Ed ancora:

 

E perciò scelse di vivere per tutti anziché per se solo…

«Mentre saldi nel santo proposito affrontavano la valle Spoletana, si misero a discutere se dovevano passare la vita in mezzo alla gente oppure dimorare in luoghi solitari. Ma Francesco, il servo di Cristo, non confidando nella esperienza propria o in quella dei suoi, si affidò alla preghiera per ricercare con insistenza quale fosse su questo punto la disposizione della volontà divina. Venne così illuminato con una risposta dal cielo e comprese che egli era stato mandato dal Signore a questo scopo: guadagnare a Cristo le anime che il diavolo tentava di rapire.

E perciò scelse di vivere per tutti anziché per se solo, stimolato dall’esempio di Colui che si degnò di morire, Lui solo, per tutti gli uomini». [1Cel.35.] ( FF. Legenda Maggiore –IV –[1066] 2.)

E infine:

«Si domandavano ancora e seriamente, da persone che si erano impegnate a vivere sinceramente nella santità, se dovevano svolgere la loro vita tra gli uomini o ritirarsi negli eremi. E Francesco che, non fidandosi mai di se stesso, in ogni decisione cercava ispirazione da Dio nella preghiera, scelse di vivere non per sé soltanto ma per Colui che morì per tutti, ben consapevole di essere stato inviato da Dio a conquistare le anime che il diavolo tentava di rapire» (FF. Celano – Vita prima [381]

 

Non era un codice cifrato per i due interlocutori a distanza. Francesco capì che egli per i suoi frati non poteva scegliere l’eremitaggio ma un servizio apostolico nella Chiesa di Dio. Risposta simile ebbe Francesco da altri fraticelli invitati a pregare per lui: "il Signore non ti ha chiamato soltanto per te". La convergenza di queste risposte gli suggerirono apertamente la vita evangelica. E infine il dubbio di Francesco fu risolto nella Regola Bollata approvata da Papa Onorio 3°.

Tuttavia l’interrogativo, affiorato alla coscienza di Francesco, restò di fatto immanente nella coscienza di tutti i Francescani succedutisi nei nove secoli di storia.

Che Francesco e il suo Ordine sentissero l’urgenza di mettersi nell’apostolato della predicazione, a noi arriva ancora dalla lettera che il Santo Fondatore inviò a frate Antonio (di Padova) con l’autorizzazione ad istituire una cattedra di teologia per i frati del seguente tenore: "ho piacere che tu insegni la Sacra Scrittura e la teologia ai frati, purché in essi non si estingua lo spirito della santa orazione e devozione al quale spirito tutte le altre cose devono servire". È chiara e salva la intenzione di S. Francesco che i frati, qualunque fosse l’attività che svolgevano o di lavoro manuale o studio e lavoro intellettuale, coltivassero innanzitutto la preghiera e la meditazione personale. Pertanto l’affermazione che Francesco fosse nemico dei libri e dello studio è falsa. La presenza poi di tanti santi studiosi e oranti nell’Ordine, ci fa capire che le intenzioni del santo fondatore non furono mai tradite.

 

E poi Antonio di Padova…e Bonaventura…

Primo tra tutti, santo e studioso, è precisamente Antonio di Padova, dottore di Santa Romana Chiesa oltre che maestro dell’Ordine nell’insegnamento della Scrittura e della Teologia.

Nel medesimo secolo in cui prorompe per le piazze d’Italia e Francia la voce di Antonio, da Parigi, precisamente dalla Sorbona, ci è dato di ascoltare la voce di Bonaventura da Bagnoreggio, anche egli santo, dottore e maestro nella celebre facoltà europea.

 

…e il beato Duns Scoto

Non possiamo tacere inoltre del beato Duns Scoto, doctor subtilis: tutti questi certamente non scelsero la via del romitorio, ma si avviarono giornalmente alle aule scolastiche universitarie, lodarono Dio, inneggiarono alla sua bontà e misericordia come tanti altri fraticelli facevano con la vanga in mano negli orti sparsi in tutta Italia. Questo gruppo di Frati letterati, teologi, maestri della parola di Dio, non esaurirono la sorgente francescana della cultura delle scienze sacre che ha accompagnato tutta la storia francescana di qualunque denominazione.

 

…poi il Quattrocento e Bernardino

Il Quattrocento portò sulle piazze d’Italia e d’Europa uomini come Bernardino da Siena al quale non bastavano le piazze più grandi d’Italia per accogliere gli uditori che venivano per ascoltarlo e tutta una sequenza di santi frati ai quali il romitorio serviva da rifugio spirituale, da luogo di preghiera, di studio, di ammaestramento. Nacquero in queste fucine tanti santi fratelli che furono ambasciatori di Papi, di Principi, portatori di pace per le vie dell’Europa.

Chi potrà negare a Bernardino da Feltre la santità (beato) e l’apertura sociale e la lungimiranza in favore dei poveri con i così detti Monti Di Pietà che batterono vigorosamente la usura?

 

A Caltanissetta si ripropose il dilemma

Il dilemma arrivò durante il periodo tristissimo della soppressione (27 luglio 1866), anche a Caltanissetta. Sul declinare del secolo decimonono il problema fu agitato, discusso, dibattuto: S. Francesco non ci ha voluti eremiti, ma frati nel popolo; non solitari nelle caverne o nei pagliai fatti di frasche. Ci ha voluti fratelli dei tribolati, dei sofferenti, dei lebbrosi; di tutti gli uomini che cercano Dio e lo possono trovare nel fratello francescano.

A Caltanissetta, ancora una volta la storia dell’Ordine incrociava il dilemma: i Cappuccini nell’eremitaggio o in Convento di fraternità francescana?

Si ebbero due posizioni o risposte contrastanti:

-dal romitorio di Santo Spirito sito a tre kilometri da Caltanissetta fu emessa, in maniera sentenziosa, la proposizione: “abbiamo avuto affidato dalla Divina Provvidenza, per mano episcopale, il romitorio di Santo Spirito. Il vescovo gradisce la nostra presenza in questo luogo; stiamoci buoni e lavoriamo come possiamo”. Questa sentenza era impersonata soprattutto dall’ex provinciale di Palermo p. Daniele da Caltanissetta, pressoché settantenne;

-da occidente, dalla chiesina di S. Miceli, il giovane p. Angelico Li Pani fece una proposta "contraddittoria": “presso la chiesa di S. Miceli abbiamo con i dovuti permessi comprato un tumulo di terra come area edificabile; il vescovo attuale, Guttadauro, oltre che cederci la chiesa anzidetta ci mette a disposizione un gruppo di stanze che fanno da seminario estivo per i chierici diocesani. Qui avremmo la duplice possibilità:

a) costruire ex novo quanto ci occorre;

b) gestire debitamente la chiesina del patrono della Città, S. Michele Arcangelo; mettere a disposizione del vescovo la nostra preparazione culturale e apostolica e riacciuffarci la tradizione francescana legata alla chiesina di S. Miceli[7]”.

 

Angelico Lipani vecchio e stanco

P. Angelico,

Dio ti ha dato una grande sapienza: eri fedele nell’apprenderla, generoso nel donarla (dalla liturgia del 28 gennaio). La Sapienza che viene dall’alto è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di Giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace (G.c 3,17-18).

P. Angelico, dunque, fu uomo prudente, accorto, perspicace che non sfruttò i suoi 40 anni di servizio nella Diocesi di Caltanissetta per accattivarsi le simpatie dell’ambiente nisseno in favore delle suore di sua istituzione. P. Angelico non deviava offerte anche cospicue verso l’Istituto del Signore della Città, ma con sagacia accoglieva e distribuiva. Ci si potrebbe chiedere: questa sagacia era infallibile? Era aliena da parzialità? Oppure riceveva e distribuiva senza lo spirito di Dio? Io credo che p. Angelico quasi naturaliter avesse coltivato “lumi di accortezza” sorretti dallo Spirito Santo.

 

Dire o ripetere che egli avrebbe dovuto tenere criteri diversi nell’attribuzione delle offerte e delle elemosine in maniera che il nuovo convento di S. Michele potesse avere una crescita più vigorosa e celere, questa è accusa insostenibile; per lui le due creature erano portate avanti equivalentemente. Quindi con buona pace dell’autore della storia della Provincia dei Cappuccini di Palermo, p. Angelico autore di due opere murarie nella stessa città, non soltanto va scusato ma va difeso nelle sue scelte. Peraltro i superiori più volte lo avevano nominato fabbriciere della provincia: gli facevano credito di saggezza, di sapienza, di perspicacia; in una parola credevano in lui. Chi poteva borbottare nei corridoi della distribuzione disuguale?

 

Le contumelie di un p. Ammatuna…

Un p. Serafino Ammatuna da Modica, divenuto guardiano del conventino di S. Michele in Caltanissetta, ebbe a sottolineare sia a parole che con le petulanti lettere ai Superiori Maggiori le presunte evasioni del p. Angelico. Presunte sì, poiché parlano ancora le note di resoconto del 1903/1905 già altrove citate.

Ma è facile constatare come nelle valutazioni di p. Ammatuna pesassero le turbe mentali che accompagnano tutta la sua vita sia di religioso che di prete secolare dal 1924 in quel di Modica (Diocesi di Noto – Ragusa) ove, per brevi periodi, prestò servizio.

Temi ricorrenti nella esplicazione della mania grafomane che presto i Superiori seppero ignorare, era la perentoria richiesta di elemosine di messe a 100 a 100; la pretesa che i superiori intervenissero subito ad esclaustrare il p. Angelico, colpevole a suo dire di accattivarsi le simpatie della città distraendole dal Convento a favore delle orfanelle presso l’Istituto Signore della Città. Ma tale atteggiamento ipercritico e talvolta cattivo non è riservato al solo p. Angelico poiché stesse considerazioni, stessa fraseologia troviamo ripetute (quasi intimazioni perentorie ai Superiori) nei confronti di altri confratelli sia a Caltanissetta, sia altrove (Bivona).

 

…una sorta di contrappasso?

E però, nell’evolversi della vicenda umana di p. Ammatuna, ricorre una sorta di contrappasso: egli aveva contestato a p. Angelico malato, anziano, sofferente la permanenza nella casa paterna presso le sorelle nubili Teresa e Damiana. Ebbene, dopo neppure un decennio ci ritroviamo un p. Ammatuna che chiede per sé l’esclaustrazione (scioglimento dai voti), dovendo assistere, egli, a Modica le 3 sorelle nubili, rimaste orfane e sole; ma, per quello che oggi sappiamo, le tre sorelle avrebbero potuto fruire dell’assistenza di altri 3 fratelli di cui uno, p. Gianbattista, Cappuccino a Modica fino al 1938, e due sposati.

P. Angelico invece, uomo di Dio che santamente aveva onorato l’abito cappuccino e di cui non voleva essere spogliato alla fine dei suoi giorni, resistette alle diverse e ripetute vessazioni di p. Ammatuna. Chiedeva solamente il permesso di abitare presso le due sorelle Damiana e Teresa, entrambi nubili, le quali lo avevano accudito durante gli anni più ottusi e crudeli della soppressione. Perciò egli chiedeva il permesso di abitare fuori convento per motivi gravissimi di salute.

Sul tema è da ricordare la perorazione fatta in favore del p. Angelico dal benemerito SdD mons. Augusto Intreccialagli nella sua veste di amministratore apostolico di Caltanissetta.

In seguito a tale intervento, su decreto di autorizzazione della Santa Sede di inizio 1914, p. Angelico potè restare presso le sorelle.

Tant’è che viene spontaneo tornare a domandarci quale reato avesse commesso p. Angelico nel chiedere ai suoi Superiori e per essi alla Santa Sede il permesso di farsi servire dalle sorelle; e, tanto più, quale senso avesse l’insistenza di p. Ammatuna tesa ad estromettere dall’Ordine dei Cappuccini il vecchio frate che pure aveva, da tempo, portato il "peso della giornata e del caldo" (pondus diei et aestus).

Se la posizione del p. Ammatuna fosse prevalsa, sarebbe stata consumata una forma di ingiustizia verso un confratello più anziano, instancabile lavoratore, vero francescano piantato dalla Divina provvidenza in Caltanissetta, città dello zolfo ma anche delle catastrofi minerarie con centinaia di morti, di lutti, di orfani verso i quali p. Ammatuna non aveva certamente il tempo di rivolgere un pensiero. C’era umilmente, silenziosamente, francescanamente p. Angelico. Il quale, nei confronti dell’aguzzino, poteva ripetere al p. Provinciale con lettera del 14 aprile 1914 (a pochi anni dalla morte avvenuta il 9 luglio 1920):

Io l’ho rispettato ed ossequiato ed in nulla mi morde la coscienza.

 

 

La sapienza di Dio: invocazione…

La sapienza di Dio può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso le età, entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti. Essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa. (Sap. 7, 27; 8, 1)

Dio non è un bonaccione a nostro servizio; tutto rinnova attraverso le età; entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti. Noi non dobbiamo e non possiamo aver fretta quando, secondo il nostro modo di vedere gli avvenimenti, ci stanchiamo di attendere nel portare avanti i processi di beatificazione e canonizzazione dei santi. Possiamo e dobbiamo chiedere, quasi importunare la bontà e la misericordia di Dio, senza mai stancarci da figli talora frettolosi e importuni. Mille anni davanti a Lui, sono come il giorno di ieri che è passato. Ma quest’ultima considerazione non ci proibisce la preghiera filiale, perché essa è sempre lode di Dio altissima…

…perciò ci mettiamo in attesa adoranti fino a che venga la munificenza del Padre ad esaltare il suo Servo…

 

Note



[1] vedasi fra’ Calogero Peri "I Cappuccini di Sicilia e il Concilio Vaticano 2°", atti del Convegno di Studi, Palermo 19, 20 febbraio 1998, su "I Cappuccini in Sicilia nell’Otto-Novecento", Sciascia Editore, Caltanissetta 2001.

 

[2]Legge 28 giugno 1866: ecco come viene “drammatizzata” la notizia del provvedimento. “Il Governo della nuova Italia risorgimentale aveva preparato, per le istituzioni religiose con voti, il capestro: i francescani di tutte le denominazioni (Cappuccini, Frati Minori dell’Osservanza, Frati Minori Conventuali) e poi Gesuiti, Benedettini, Cistercensi, Gluniacensi, Passionisti e moltissimi altri, vengono estromessi dalle loro case religiose: i loro beni, le loro biblioteche, le loro sacrestie con tutto quello che contengono, vengono incamerate dal Fisco. I frati… avranno appena il tempo di qualche cambio di vestiario; poi, privati del loro saio, verranno gettati, quasi uccelli implumi, in mezzo alle strade delle nostre città. La grande comunità dei Cappuccini di Palermo viene, letteralmente, depopulata”. (estratto dalla bozza di “positio” preparata dal p. Gaspare Lo Nigro, già v. postulatore, ora defunto).

 

[3]Mi viene spontaneo immaginarlo, il nostro p. Angelico, a confronto con una realtà insospettata: era una realtà nella quale egli, giovane studente e novizio cappuccino, mai si era imbattuto. Una realtà carica di ignoto che avrebbe dovuto aprirsi a lui con fare quasi sospettoso; egli è povero, tutto ciò che dovrà consegnare a chi di dovere, ancora non è passato per la sua giovanile esperienza. Egli non è uomo navigato nelle faccende politiche: gli sarà capitato magari di sentire in Comunità discorsi infarinati della politica del momento; eppure dovrà cimentarsi, partendo dal convento dei Cappuccini di Palermo, non solamente con discorsi per lui inconsueti ma, ciò che probabilmente più lo turba, avrà da misurarsi con esperienze nuove e soprattutto con decisioni incombenti. afflitto e turbato, dunque, e tuttavia sufficientemente sereno perché è in compagnia di Dio che attraverso l’Angelo Custode lo accompagnerà per le vie di questo mondo. Potrà parlare con la sua mansuetudine, con la sua pace interiore, con la certezza di trovarsi in buona compagnia angelica. Dio distribuisce ai suoi angeli le missioni più opportune per accompagnare i suoi poverelli. (estratto dalla bozza di “positio” preparata dal p. Gaspare Lo Nigro)

 

[4] «non mancano gli stranieri e gli esuli; ovunque si possono vedere mani tese che chiedono l’elemosina. L’aria è il loro tetto a cielo scoperto; il portico, i bivi e le parti più deserte della piazza sono il loro ricovero; hanno il cibo se ne ricevono da qualcuno che li avvicina; loro bevanda è quella stessa che è comune agli animali irragionevoli, cioè le fonti. Hanno per bicchieri le palme delle mani. Per dispensa la sola bisaccia. Per mensa hanno le ginocchia piegate; per letto la nuda terra, per bagno quello che Dio ha dato in comune a tutti e non è costruito dall’attività umana; cioè il fiume o la palude. Tu che digiuni provvedi loro il vitto necessario. Sii buono con i fratelli infelici: ciò che sottrai al tuo stomaco dallo a chi ha fame».

Il linguaggio di S. Gregorio di Nissa e degli altri Padri Cappadoci (San Gregorio Nazianzeno, San Basilio) è senza reticenze. Ed ecco la conclusione del santo di Nissa che, di peso, viene fatta propria dal p. Angelico:

«La ragione dischiuda ai poveri le case dei ricchi. Il pensiero del povero apra loro l’ingresso. Non sia il calcolo umano ad arricchire i bisognosi, ma la parola eterna di Dio assegni loro una casa, un letto, una mensa. Con soavissime parole da’ il necessario togliendolo dalle tue ricchezze. La moltitudine dei poveri e dei bisognosi trovi rifugio presso di te.

Ognuno abbia diligente cura dei vicini. Non permettere che un altro ti tolga il merito di essere il primo ad aiutare il prossimo. Bada che un altro non ti prenda il tesoro preparato per te.

Ama come l’oro il sofferente; cura l’ammalato come se vedessi in esso la salute tua, di tua moglie, dei tuoi figli, dei tuoi servi, in una parola di tutta la tua famiglia. Infatti, se i poveri devono essere curati e aiutati, tanto più devono essere particolarmente circondati di cure quelli che sono malati, perché chi è bisognoso e ammalato soffre doppiamente la povertà. I poveri che hanno buona salute, andando da una casa all’altra, trovano alla fine chi dà loro qualcosa; o siedono sulle strade e si rivolgono a tutti i passanti implorando aiuto. Ma quei poveri che sono ammalati, chiusi in un angusto tugurio, anzi in un angusto angolo di un tugurio, aspettano te, pieno di bontà, di cura e di amore per i poveri, come Daniele nella fossa aspettava Abacuc.

Perciò per mezzo dell’elemosina diventa compagno del profeta; va’ celermente a nutrire l’affamato e non subirai alcun danno nell’essere il primo benefattore. Non temere, molteplice e abbondante è il frutto che nasce dall’elemosina. Semina il beneficio perché tu possa mietere il frutto e riempire la casa di buoni covoni».

[5] estratto dalla bozza di “positio” preparata dal p. Gaspare Lo Nigro.

[6] caratteristica di p. Angelico è l’attenzione ai bisogni dei poveri; una attenzione che si traduceva in operosità discreta ma efficace, […] senza grandi disegni ed anche senza progetti politici o pregiudizi e preclusioni di ordine ideologico talché egli, la sua figura restava come defilata…dal tumultuoso scorrere degli avvenimenti politici e delle agitazioni sociali. Egli pur amico dei "preti sociali", quelli del Nisseno (ne contiamo una trentina) tutti suoi ex alunni, non ebbe parte attiva nel movimento cattolico: non si schierò nelle battaglie. Non si contrappose.(da introduzione ai lavori del Convegno di Studi su Angelico Lipani, Caltanissetta 1996).

Semmai, secondo un’altra penetrante analisi di mons. Cataldo Naro, ora arcivescovo, Angelico Lipani, muovendosi lungo le zone di “frattura” di quella complessa e articolata società urbana (rivendicazioni degli operai e aspirazioni della borghesia urbana ad uno stile di vita cittadina più elevata; le lotte politiche tra i notabili e il contrasto tra il movimento contadino cattolico e il movimento operaio socialista; l’emergere di nuove forme di povertà e la sperimentazione di nuove modalità di assistenza pubblica) sembrò assumersi una delicata funzione di mediazione sociale… alla cui base egli pose una funzione che la città unanimemente gli riconosceva: quella del cappuccino di santa vita che media tra cielo e terra, tra il mondo di Dio e quello degli uomini. E dunque non fu egli percepito come uomo di parte e la sua opera fu accolta come opera di tutti e come tale rispettata anche nei momenti più tumultuosi della vita del Paese.(Cataldo Naro, Presentazione di “Angelico Lipani e la tradizione cappuccina in Sicilia” di Salvatore Vacca, Caltanissetta 2001).

[7] Ecco la storia di S. Michele Patrono di Caltanissetta: S. Michele Arcangelo salvò Caltanissetta dalla peste “respingendo con la spada sguainata il tentativo di un appestato, pressoché moribondo, a penetrare nell’abitato della città” e questo secondo il racconto di un frate cappuccino che ne aveva avuto “vione notturna” e si chiamava fra’ Francesco Giarratana.

Il frate Giarratana ricevette anche l’incarico da S. Michele Arcangelo di riferire la visione alle autorità cittadine, laiche ed ecclesiastiche. Il messaggio fu consegnato e in processione, nell’anno 1625, le autorità si recarono in pellegrinaggio presso l’area della erigenda chiesina. Fu trovato il cadavere dell’appestato e fu votata l’erezione della chiesina periferica in onore di S. Miceli.

Su questa breve traccia storica in effetti sorse la chiesina che la città tutta, ecclesiastica e laica, volle erigere in onore dell’Arcangelo Michele che fu dichiarato Patrono e protettore di Caltanissetta. A tale dichiarazione venne associata anche la memoria del Cappuccino e dei Cappuccini che di fatto ha accompagnato fino ad oggi la storia civica ed ecclesiastica di Caltanissetta che, il giorno 8 maggio di ogni anno, porta processionalmente il simulacro dell’Arcangelo protettore dalla cattedrale alla chiesina sorta nel 1627.



Mercoledì, 30 marzo 2005