Si fa un gran parlare, in questi ultimi tempi, della possibilità di coesistenza tra cristianesimo e comunismo. Io faccio la questione generale. Se il cristianesimo non potesse coesistere con qualsiasi movimento e in qualsiasi condizione dell’uomo, non sarebbe più il cristianesimo, cioè non sarebbe più quella forza divina che ha la funzione di salvare ogni uomo. Per me, quindi, non si pone il problema della coesistenza, perché il cristianesimo è coesistito nei secoli con movimenti di qualsiasi genere. Si dice che il dialogo col comunismo è difficile o addirittura impossibile. Mi sorprenderebbe che non fosse così. Il primo dialogo - e il più costoso - è quello che si compie dentro di noi: quel dialogo interiore che porta ogni giorno il suo dovere di conversione. Se il cristianesimo ha tale potenza da inquietare ogni coscienza, ed interpretarla, il che è dialogare con essa, tanto più potrà avere la forza di coesistere, soprattutto nel senso di «agire dentro». Il dialogo, per me, è soprattutto « agire dentro ». Del resto, anche il comunismo può agire, sotto un certo aspetto, dentro di noi, in quel che ha di vero e di buono. Dinanzi alla realtà comunista penso sia necessario avere idee chiare. Il mondo comunista, nonostante la fissità di natura materialista, suscita nell’anima bisogni sconfinati, per cui, a un certo momento, non può essere che la parola cristiana capace di completare l‘attesa. La mia più grande sofferenza nei riguardi del comunismo è data dal constatare questa sua contraddizione: un infinito che si chiude violentemente nel finito. Quando li sento parlare di giustizia, di fraternità, di solidarietà, non posso non pensare a Qualcuno che risponde a quel senso d‘infinito che ognuno di noi porta dentro. Il materialismo comunista è per me un assurdo nei rapporti stessi dei bisogni umani che esso accentua. Io non posso accettare il comunismo, pur discutendo e cercando con esso un « modus vivendi »‚ proprio per questo suo disumano limite; non, come alcuni credono, per quello che il comunismo ha fuori del limite. Io il comunismo lo assumo soltanto per superarlo e per completarlo. Lo assumo come esperienza, come sofferenza, come aspirazione, indipendentemente dalla sua ideologia. La forza del comunismo è questo « peso umano » che ha saputo esprimere sostituendo a volte la stessa nostra funzione di cristiani. Non escludo che il comunismo, nella sua fase politica attuale, possa rappresentare un pericolo e un grave pericolo: ma chi accetta il momento dell’espiazione, come un momento fondamentalmente cristiano, soffre ma non si turba. Il mio rifiuto a certe alleanze contro il comunismo (alleanze spesso spaventose come il «male» che si vuole colpire), nasce da questa elementare considerazione: alleandomi a quel modo contro il comunismo, diventerei infedele alla mia vocazione cristiana, mentre il primo dovere del cristiano è quello di rimanere fedele alla propria vocazione, costi quello che costi. Voglio essere chiaro, perché questa è l‘ora della chiarezza: io non posso chiedere in prestito a un fascista lo strumento per impedire al comunismo di passare; né posso chiedere in prestito al mondo capitalista lo strumento per abbattere il comunismo. Questa forma di resistenza al comunismo non entra nello stile cristiano, indipendentemente dalle lezioni della storia. Io voglio trovare dentro di me e nell’ordine cristiano la giusta opposizione al comunismo. Mi rendo perfettamente conto che questa linea di opposizione al comunismo è diversa da molte altre, però oso affermare che è una linea cristiana. Uno dei nostri torti è appunto quello di avere rinnegato tale linea per contingenze o meglio probabilità che per me non sono neanche di buon calcolo. Come cristiano, rifiuto ogni forma di violenza contro un movimento che se ha un aspetto politico ed ideologico riprovevole ha però aspetti umani contro i quali io non marcio, dovesse costarmi la vita. Questa mia posizione è confortata da due indicazioni: quella del Vangelo, il quale non ammette equivoci, e quella della storia della Chiesa, la quale, anche nei suoi aspetti negativi finisce per confermare il Vangelo. Tutte le volte che i cristiani, nella storia, hanno preso certi atteggiamenti da crociati, la Chiesa ne ha sofferto. Quando va bene ai cristiani, va male alla Chiesa; quando va male ai cristiani, va bene alla Chiesa. A questo punto mi si può obbiettare che sottovaluto la realtà comunista. Io non nego tale realtà. Essa mi è evidente, oggi, soprattutto per due ragioni: per l‘aspetto che il comunismo ha assunto in campo internazionale, dove il motivo umano e spirituale che gli ho riconosciuto prima minaccia di essere pietrificato, isterilito e fermato da necessità o interessi contingenti; per la sbagliata interpretazione dei comunisti che considerano la religione come impedimento all‘affermazione storica del loro movimento. Ho questa impressione: come noi cristiani sbagliamo quando crediamo che la missione della Chiesa o del cristianesimo possa essere realizzata attraverso una determinata forma temporale; così, secondo me, i comunisti sbagliano confondendo il trionfo di quelle che possono essere le esigenze umane del comunismo solo attraverso una determinata realizzazione storico-temporale. Come sento d‘aver superato la posizione dell’anticomunismo indiscriminato in quanto ho una visione di fede nella storia, così sento di poter superare qualsiasi fallimento momentaneo della mia visione per una ragione di fede. Oggi, fra il mondo borghese e quello comunista c‘è un dislivello pauroso, e spetta al cristianesimo il compito di fare da mediatore. Cristo, del resto, non fu « il mediatore »? Prima di tutto fra il cielo e la terra, e poi fra gli uomini. Il giorno in cui il cristiano non è più mediatore, quel giorno egli non è altro che un masso erratico. Ma io debbo fare un appunto ai comunisti. Mi sono accorto che non siamo da essi compresi in questa posizione di mediazione cristiana. Forse non sono ancora riusciti a pesare la nostra sofferenza, o non capiscono il nostro dramma, che si svolge fra una duplice fedeltà: fedeltà alla Chiesa e fedeltà a quelle istanze umane cui il comunismo dà voce. Essi debbono sentire - e quel giorno sarà compiuto un gran passo avanti nei nostri rapporti - che noi siamo missionari dello spirito cristiano nel mondo comunista, e che rimarremo sempre cristiani a costo della vita. La migliore maniera per voler bene ai comunisti è la nostra fedeltà alla Chiesa. In fondo, noi vogliamo soltanto dare quello che il comunismo non può dare perché non lo possiede. Il vero travaglio che noi vogliamo determinare non vuole impedire ai comunisti di arrivare dove vogliono arrivare per realizzare le loro giuste rivendicazioni, ma per dare ad essi ciò che ad un certo momento s‘accorgeranno di non avere. Il problema dei nostri rapporti col comunismo è tutto qui. Questi sono - a mio parere — i cardini di una posizione tanto poco capita oggi, ma che in fondo ha una sua logica di fede non soltanto cristiana ma anche umana. C‘è un duplice movimento che noi cristiani oggi dobbiamo fare, e vorrei che i comunisti, proprio nello spirito di quel dialogo che essi chiedono, ci aiutassero a fare: superare e approfondire. Superare, vuol dire non fermarsi alle briciole che inceppano il funzionamento del nostro incontro; approfondire, vuol dire purificare l‘animo da ogni settarismo e da ogni faziosità per poter arrivare a dei riconoscimenti onesti. A che punto siamo? Si può rispondere col grido della sentinella: « Viene il giorno; viene la notte »‚ a seconda dell’animo. Oggi, siamo in una di queste ore della notte: può venire più buio, come può venire l‘alba. Dipende da noi, dal nostro occhio: « Se il tuo occhio è puro, tutto è puro ». (1954)
Mercoledì, 02 giugno 2004
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