Conoscere le religioni - I Bahá’í
La figura di Baha’ù’llàh.

di Filippo Angileri

12.11.2007, 190o anniversario della nascita di Bahà’ù’llàh.


Bahá’u’lláh, il Cui nome in arabo significa "La Gloria di Dio", nacque il 12 novembre 1817 a Teheran. Figlio di un facoltoso ministro, Mirzá Buzurg-i-Nurí, ebbe il nome di Husayn-’Alí e la Sua famiglia poteva vantare ascendenze fino alle grandi dinastie del passato imperiale dell’Iran. Giovane, Bahá’u’lláh, condusse una vita principesca, ricevendo un’educazione rivolta essenzialmente all’equitazione, scherma, arte calligrafica e poesia classica.

Nell’ottobre 1835, Bahá’u’lláh prese in moglie ’Asíyih Khánum, figlia di un altro nobile. Ebbero tre figli, un maschio, ’Abdu’l-Bahá, nato nel 1844, una figlia, Bahíyyih, nata nel 1846 ed un altro maschio, Mihdí, nato nel 1848.

Bahá’u’lláh rinunciò alla carriera ministeriale a Lui aperta nel governo e scelse, invece, di devolvere le Sue energie ad azioni filantropiche che Gli valsero, fin dei primi anni quaranta, l’appellativo di "Padre dei Poveri". Questa esistenza privilegiata finì bruscamente dopo il 1844, quando divenne uno dei principali sostenitori del movimento Bábí.

Il movimento Bábí, precursore della Fede Bahá’í, si diffuse in Iran come un turbine e provocò dalla classe clericale una intensa persecuzione. Dopo l’esecuzione capitale del suo Fondatore, il Báb, Bahá’u’lláh fu arrestato e portato a piedi ed incatenato, a Teheran. Membri influenti della corte e del clero richiesero la Sua condanna a morte.

Bahá’u’lláh, comunque, fu protetto sia dalla Sua reputazione personale e dal rango della famiglia, sia dalle proteste delle ambasciate occidentali.

Fu perciò gettato nel famoso "Buco Nero", in persiano il Siyah-Chal. Le autorità speravano così di provocarne la morte. Al contrario, la segreta divenne il luogo di nascita di una nuova rivelazione religiosa.



Bahá’u’lláh passò in prigione quattro mesi, durante i quali meditò sulla grandezza della Sua missione. "Non ero che un uomo come gli altri, addormentato nel Mio letto, quand’ecco le brezze del Gloriosissimo furono alitate su di Me, e Mi insegnarono la sapienza di tutto ciò che è stato" scrisse più tardi. "Questo non proviene da Me, ma da Uno Che è Onnipotente e Onnisciente. Ed Egli mi ingiunse di levare la voce fra terra e cielo..."

L’Esilio

Dopo il rilascio, Bahá’u’lláh fu bandito dalla Sua terra natale e iniziò quarant’anni di esilio, prigionia e persecuzioni. Prima fu inviato nella vicina Baghdad e, dopo circa un anno, partì per le selvagge montagne del Kurdistan, dove visse completamente solo per circa due anni. Trascorse il tempo meditando sulle implicazioni del compito a cui era stato chiamato. Questo periodo ricorda il ritiro adottato dai Fondatori delle altre grandi religioni mondiali, le peregrinazioni del Buddha, i quaranta giorni e le quaranta notti che il Cristo passò nel deserto, e l’appartarsi di Maometto nella caverna sul monte Hira.

Nel 1856, a seguito della pressante richiesta dei Bábí esiliati, Bahá’u’lláh ritornò a Baghdad. Sotto la Sua rinnovata guida, la statura della comunità bábí crebbe e la reputazione di Bahá’u’lláh quale capo spirituale si diffuse per tutta la città. Temendo che il Suo successo potesse riaccendere la fiamma del movimento in Iran, il governo dello Scià fece pressioni ed ottenne che le autorità ottomane lo esiliassero in un luogo più remoto.

Nell’aprile 1863, prima di lasciare Baghdad, Bahá’u’lláh ed i Suoi seguaci, dal 21 aprile al 2 maggio, si accamparono in un giardino sulle rive del Tigri, dove rese noto ai bábí in Sua compagnia ch’Egli era il Promesso preannunciato dal Báb e da tutte le sacre scritture del mondo.

Il Giardino fu conosciuto col nome di "Ridván" che in arabo significa Paradiso. L’anniversario di quei dodici giorni è celebrato nel mondo bahá’í col nome di festa di Ridván, che è quella più gioiosa.

Il 13 maggio 1863 Bahá’u’lláh partì da Baghdad per Costantinopoli, la capitale dell’impero, accompagnato dalla Sua famiglia e da amici prescelti. Era divenuto un personaggio amato e molto popolare. Testimoni oculari hanno descritto la Sua partenza con parole assai commosse, mettendo in risalto le lacrime di molti spettatori e i tributi riconosciutiGli dalle autorità.



Dopo aver trascorso quattro mesi a Costantinopoli, Bahá’u’lláh fu inviato, virtualmente prigioniero, ad Adrianopoli (l’attuale Edirne), ove giunse il 2 dicembre 1863. Durante i cinque anni che vi trascorse, la Sua fama continuò a crescere, attraendo l’intenso interesse di studiosi, ufficiali governativi e diplomatici.

Dal settembre 1867, Bahá’u’lláh scrisse una serie di lettere ai capi del mondo della Sua epoca, indirizzandole, tra gli altri, all’Imperatore Napoleone III, alla Regina Vittoria, al Kaiser Guglielmo I, allo Zar Alessandro II di Russia, all’Imperatore Francesco Giuseppe, al Papa Pio IX, al Sultano Abdul-Aziz e al regnante di Persia, Nasirid-Din Shah ed in esse dichiarò apertamente il Suo rango e proclamò l’albeggiare di una nuova epoca.

Prima di tutto avvertì che vi sarebbero stati rivolgimenti catastrofici nell’ordine politico e sociale del mondo. Per favorire il cambiamento dell’umanità, esortò i capi della Terra a perseguire la giustizia, levò un appello perché facessero sforzi collettivi per il disarmo e li invitò a riunirsi per formare una specie di federazione di nazioni. Soltanto agendo collettivamente contro la guerra, disse, si sarebbe potuta raggiungere una pace durevole.

Le continue agitazioni degli oppositori fecero sì che il governo turco inviasse gli esiliati ad Akká, colonia penale nella Palestina Ottomana. Akká era la fine del mondo, l’ultima destinazione per i peggiori assassini, ladri incalliti e politici dissidenti. Città circondata da mura, con strade fetide e cose cadenti, non aveva alcuna sorgente d’acqua fresca e l’aria, nella tradizione popolare, era considerata così impura che un uccello volandovi sopra, sarebbe caduto morto.

Bahá’u’lláh e la Sua famiglia arrivarono in questo luogo, ultima tappa del Loro esilio, il 31 agosto 1868. Egli avrebbe trascorso il resto della Sua vita, altri ventiquattro anni, ad Akká e dintorni. Dapprima furono confinati in alcune celle della caserma e più tardi, Bahá’u’lláh ed i Suoi compagni, furono trasferiti in una casa diroccata all’interno delle mura cittadine. Gli esiliati, dipinti come eretici pericolosi, dovettero fronteggiare l’animosità degli altri cittadini e perfino i bambini, quando si avventurarono fuori, erano scherniti e presi a sassate.

Col passare del tempo, comunque, lo spirito degli insegnamenti di Bahá’u’lláh sopraffece sia la bigotteria che l’indifferenza finché molte autorità civili e religiose della città, dopo aver esaminato i principi della Fede, divennero devoti ammiratori. Come a Baghdad e ad Adrianopoli, la statura morale di Bahá’u’lláh si guadagnò rispetto, ammirazione e perfino autorità sulla comunità cittadina.

Ad Akká fu scritta l’opera più importante di Bahá’u’lláh. Conosciuta tra i bahá’í con il suo titolo in persiano, il Kitab-i-Aqdas (Il Libro Santissimo), traccia le leggi essenziali ed i principi che i Suoi seguaci devono seguire e pone le basi per l’amministrazione bahá’í.).

Nei tardi anni ’70, fu riconosciuta a Bahá’u’lláh la libertà di spostarsi al di fuori delle mura cittadine e i Suoi seguaci furono in grado di incontrarLo in relativa pace e tranquillità. Stabilì la Sua residenza in una villa abbandonata e fu in grado di dedicarSi ulteriormente allo scrivere.

Morì il 29 maggio 1892. I Suoi resti mortali furono messi a riposare in una stanza con giardino adiacente alla villa restaurata, oggi conosciuta come Bahjí. Questo luogo, è per i bahá’í, il luogo più sacro della terra.



Lunedě, 12 novembre 2007