COMMENTO E RECENSIONE AL LIBRO DI FERDINANDO CAMON
“LA MALATTIA CHIAMATA UOMO”, EDITO DALLA GARZANTI NEL 1981.
di CARLO CASTELLINI.
Alcuni mesi fa, usciva, abbinato a “Il Mattino di Padova”, il libro-romanzo di Ferdinando Camon dal titolo “La malattia chiamata uomo”, edito dalla Garzanti nel 1981, e nell’arco di una mattinata, è divenuto praticamente introvabile. Non si tratta ne’ della stesura di una cronaca e nemmeno di un diario, ma di un romanzo, piuttosto dolce e profondo. Quindi gli episodi raccontati, non contengono allusioni reali, ma diventano solo il pretesto per sottintendere storie vere, che si possono leggere dentro le righe.
I libri di Camon, non sono mai asettici ed astratti, non ti lasciano cioe’ indifferente, ma prima o poi ti prendono e ti inseriscono nel sottile gioco delle emozioni e dell’intreccio delle vicende fantastiche e ti costringono a far riemergere, anche controvoglia, ricordi lieti, sogni strani, incontri fantastici o reali, che oscillano tra il sogno e la realtà, della tua vita passata o presente, e che hanno lasciato dentro di te un qualche segno efficace. Allora riemergono dalla memoria, ad uno stadio piu’ cosciente.
1. I primi ricordi che affiorano, a lettura finita, sono quelli legati ai sentimenti ed idee provocati dalla lettura di libri, analoghi o con tematiche omogenee, a quelle trattate da Camon, sia pure narrati in maniera romanzata; che hanno inciso sulla cultura e immaginario collettivo di allora. Mi corre alla mente il libro di Herbert Marcuse “L’uomo a una dimensione”; oppure “Essere e avere” di Erich Fromm; o dello stesso autore “Fuga dalla libertà”; e la carica ideale che allora tali libri riuscivano a comunicare all’immaginario studentesco collettivo, agli insegnanti di scuola ed ai commenti degli intellettuali di allora.
Ricordo che, in quel periodo, ero da poco laureato ed avevo fatto le prime esperienze, in un giornale di Milano e poi di Brescia, in qualità di dimafonista-stenografo, in cui ero stato tra i fondatori in un giornale nuovo, di nome “Bresciaoggi”, presente fin dall’uscita del primo numero “zero”. Ricordo la mia carica umana e professionale e il mio desiderio di far bene, trovandomi io alla prima esperienza professionale. E notate bene, senza raccomandazione alcuna. Ben presto pero’ la mia formazione umana, culturale di matrice cattolica, si scontro’ con la laicità di un giornale che voleva trovare una propria strada politica, culturale e di empatia con nuovi lettori, rispetto al democristiano e conservatore “Il Giornale di Brescia”. Con tutto quel carico di novità culturale di rottura e di simbolo, di valenza politica, che doveva,a modo suo, scoppiare e sfociare, piu’ tardi, 28 maggio 1978, nelle bombe di Piazza Loggia a Brescia.
Non avrei mai pensato alle difficoltà organizzative, interne e d esterne, di un giornale, che vuole farsi spazio da solo, senza raccomandazioni; e questo spirito di ricerca, di giusta indipendenza, che ho respirato a piene mani dentro questa testata, che e’ ancora rimasta in forma di cooperativa, mi ha accompagnato per sempre dentro il giornale come pubblicista, e nella scuola pubblica come docente; immaginatevi con quanta simpatica adesione di colleghi e dirigenti! Quando uscii nel 1981 ed entrai nella scuola pubblica, come docente di lettere, mi sembrava di camminare su un prato erboso a piedi nudi.
2. La seconda serie di riflessioni che mi sono sorte spontanee, durante e dopo la lettura della “Malattia” di Camon, sono le osservazioni psicologiche sul suo libro. E’ difficile, che qualcuno, in qualche periodo della sua vita, di amore, di professione e di lavoro, di gruppo, si sia sottratto ad uno o piu’ incontri con lo psicologo o psichiatra. A me e’ capitato di frequentarne, per breve tempo s’intende, piu’ di uno, mai “mea sponte”, quasi sempre trascinato dalla moglie, che si sentiva condizionata dal mio comportamento, forse piu’ definito, ma anche piu’ sclerotizzato, dalla mia formazione cattolica ed educazione seminariale. Ricordo in questo senso la psichiatra, brava e solerte, che mi chiese subito, al primo incontro, se fossi andato da lei di mia spontanea volontà oppure se vi fossi stato costretto da altri, quali che fossero. Alla mia risposta sincera, oriento’ il suo consiglio professionale, nei miei confronti, in ben altra direzione.
In questo romanzetto di Ferdinando Camon, si possono trovare, tanti piccoli o grandi punti di identificazione o immedesimazione, fra esperienze narrate dallo scrittore e quelle vissute dal lettore. Ne ricordo solo alcuni, quali le pazienti attese, i tic e le manie degli psicoterapeuti; ad es. lo scoccare dell’ora, i momenti di silenzio e di attesa della parola, gli interventi di lui. Ricordo ad es: piu’ volte come, ad un giovane psichiatra a cui mi ero rivolto, a metà colloquio, si era addormentato. Con meraviglia da parte mia e di sollievo, specie quando avevo piu’ timore nel riferire confidenze intime, o per paura inconscia del giudizio di lui. Ma da allora non ebbi piu’ in grande considerazione tale professione.
Ma ne ebbi anche un altro accorto e presente, il quale, dentro una piccola stanzetta, silenziosa, orologio e tavolino in centro, ascoltava con attenzione parola per parola, e notava ogni movimento non deciso da lui. Ricordo ad es. che io chiudevo la porta cosi’ per moto spontaneo e lui gentilmente la riapriva senza dirmi nulla. Un secondo aspetto importante e’ il numero delle sedute psicoanalitiche; le mie non sono mai state numerose; raccontavo la mia storia, venivo ascoltato, ma si concludeva con la data dell’appuntamento del prossimo incontro; ma senza consigli tipici di una direzione spirituale.
3. Una cosa che mi ha incuriosito molto e’ l’attenzione dell’Autore verso la parola, che ci permette di esprimerci ma anche di esercitar il nostro multiforme potere sulle cose, sugli altri, nella religione, in politica e sul lavoro. Per cui la parola che si logora richiamata dall’autore nell’Ecclesiaste, e’ una delle chiavi di lettura, se non la principale di queste sedute psico-analitiche, vere o solamente pensate, di questo romanzo. Ed i due lottatori di lotta libera, nudi ma con l’organo pendente e nasi lunghi, acquistano valore piu’ simbolico che reale.
L’autore padovano, mentre fantastica sulle paure, ansie e complessi, ci fa entrare in noi stessi e pensare alle nostre paure, ansie e fobie nella vita personale, sessuale, familiare e di gruppo, che ci impediscono di vivere una vita armoniosa e serena scevra da problemi con gli altri, la nostra identità fisica e psicologica. In un certo senso non ci si puo’ sottrarre al confronto; anche se eccessiva mi e’ sembrata l’attenzione dello scrittore di Montagnana, per il valore simbolico o reale del suo Pene ( o Bene), o per il suo Naso reale o simbolico, assunto a simbolo di oggetto sessuale reale o simbolico, come si puo’ notare nel frontespizio dei due uomini nudi in copertina.
Ma la malattia –uomo di Ferdinando Camon mi richiama alla mente, il libro saggio di un altro scrittore veneto, valente dottore e psichiatra, cioe’ di Vittorino Andreoli dal titolo “L’uomo di vetro”, edito dalla Rizzoli. Un opuscoletto di facile lettura, ma per nulla banale; nel quale l’autore racconta come nella sua professione di psichiatra, aiuta le persone che a lui si rivolgono, a trovare il bandolo della matassa, talvolta aggrovigliata della propria esistenza, con la ricerca di unità, ma anche di senso e di progetto.
Trattandosi di un romanzo a carattere psicologico, lo scritto sembrerebbe non avere limiti di età. In realtà se Camon lo riscrivesse oggi, il linguaggio potrebbe essere diversificato, come pure i contenuti, aperti sui delitti a sfondo sessuale e passionale,sulla perdita di identità religiosa e culturale,sul nuovo modo di concepire il sesso e la vita di relazione,sulla famiglia, sul rapporto con il partner,sull’omosessualità e gli omosessuali, potrebbero offrire abbondante materia prima di narrazione e riflessione; come del resto anche il problema della violenza consumata dentro il “sacro recinto” delle mura domestiche ed i vari significati fisici e simbolici di nuove malattie come l’anoressia e la bulimia, ed in senso culturale piu’ ampio, le mutilazioni genitali femminili su donne straniere, con vari significati culturali ed etnici, nei loro paesi di origine e nei paesi di accoglienza.
I libri di Camon sono fecondi e provocatori, a condizione pero,’ che non vengano interpretati in maniera fredda e asettica, dai critici di professione e giornalisti obbedienti; che usano strumenti critici e letterari che applicano a tutti in maniera indistinta. Camon, di padre contadino e di madre cattolica fervente, di frequenza, cultura e convinzione, puo’ e deve trovare il coraggio di pubblicare anche il commento di lettori non eruditi e le loro impressioni; perche’ questi sono capaci di riflessioni acute ed inattese di notevole spessore e sorpresa.
In questo senso il romanzo di Camon è strumento valido per stimolare risonanze psicologiche sopite, analogia di vicende, empatia di sentimenti, in questa epoca di omologazione intellettuale e sottomissione politica, con perdita di capacita’ progettuale. Da questo punto di vista, la nostra epoca si trova appiattita su una continua psico-analisi, nella quale i pazienti cittadini, sono degli eterni adolescenti, che succhiano dalle mammelle pendenti dello psico-analista (madre).
Ma questa psicoanalisi si deve interrompere, come i nostri sogni nella notte e lo psico-dipendente deve imparare a camminare con le proprie gambe, accettando i propri limiti e le proprie fragilità, nella ricerca della propria unità esistenziale e valoriale perduta, proprio come avviene nel mito egiziano di Iside e di Osiride.
(CARLOCASTELLINI) Martedì 17 Marzo,2009 Ore: 11:31 |