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www.ildialogo.org Martirio – Ricordando Monsignor Oascar Arnulfo Romero,di Pierpaolo Loi

Martirio – Ricordando Monsignor Oascar Arnulfo Romero

di Pierpaolo Loi

Romero con i contadini del Salvador
 
Martirio e martire sono termini che ci riportano a una storia antica di cristiani dati in pasto alle belve negli anfiteatri romani, testimoni di una fede più potente della tortura e della morte. Martire in seguito è stato attribuito a ogni persona che ha sacrificato la sua vita in difesa di una causa giusta, per esempio la liberazione di un popolo da una dominazione straniera o, nella guerra civile, da una dittatura disumana, come i martiri della resistenza e della liberazione morti per liberare l'Italia dal nazifascismo.
Il lunedì 24 marzo 1980, mentre celebrava la messa nella cappella dell'ospedale che accoglieva i malati terminali a San Salvador, capitale di El Salvador, nell'America centrale, un proiettile colpisce in pieno l'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero mentre solleva il calice invocando la benedizione sul vino. Un sicario esegue freddamente il mandato del colonnello D'Aubisson capo dell'estrema destra salvadoregna. Viene messa a tacere in modo cruento la “voce dei senza voce”; tolto di mezzo il difensore scomodo dei contadini e degli operai salvadoregni sfruttati dai latifondisti e dagli impresari. Ordinato monsignor Romero arcivescovo di San Salvador nel febbraio del 1977, l'oligarchia del Paese aveva festeggiato perché il Vaticano aveva scelto un prelato tradizionalista, come successore di Monsignor Chavez y Conzàles, vescovo che cercava di attualizzare il Concilio Vaticano II, come recepito dalla Seconda Conferenza dei Vescovi latinoamericani a Medellín, all'ascolto del “grido dei poveri”, delle masse impoverite del Continente.
Questa esultanza dell'oligarchia, cristiana e latifondista, scemerà ben presto e si trasformerà in odio mortifero verso il nuovo Arcivescovo. L'assassinio del suo amico gesuita padre Rutilio Grande aprì gli occhi e il cuore, e cominciò a chiedere conto al governo degli innumerevoli assassinii, sequestri di persona, sparizioni che colpivano il popolo: contadini e operai, ma anche catechisti/e, sacerdoti e religiosi/e. Oppressione e repressione delle masse povere che cercavano di contrastare, attraverso le organizzazioni popolari, l'ingiustizia sociale che monsignor Romero definì come “ingiustizia strutturale” e “struttura di peccato”; violenza primaria da cui nasceva la ribellione, violenza secondaria, che sfociava quasi sempre in una repressione feroce. Il 14% della popolazione deteneva il patrimonio terriero del Salvador; latifondisti che avevano posti riservati nelle chiese, ma che spadroneggiavano sui contadini con salari di fame e turni massacranti di lavoro. Ogni azione rivendicativa spesso finiva duramente repressa dalle forze dell'ordine e/o da forze paramilitari come gli squadroni della morte. L'Arcivescovo che, fin da quando era un semplice prete, aveva sempre avuto riguardo verso i poveri, accogliendoli a casa, prendendosi cura di loro, cominciò a vedere negli sguardi imploranti dei bisognosi, il popolo intero; popolo martoriato che soffriva la passione, come il Servo sofferente descritto dal profeta Isaia; come Gesù sulla via del calvario fino alla croce.
Questo popolo crocifisso convertì monsignor Romero, come ebbe a dire lui stesso.
Monsignor Romero era persuaso della sua morte violenta perché fu più volte minacciato, ma non volle la scorta offertagli dalle autorità per non sottrarsi alla sorte del proprio popolo. Non smise di far sentire le sue denunce degli scomparsi, dei torturati e dei massacrati durante le sue omelie domenicali, fino ad alzare la voce alla fine della lunga predica del 23 marzo 1980 (V domenica di Quaresima) per invitare i soldati salvadoregni a disobbedire agli ordini di uccidere i propri fratelli e le proprie sorelle: “ Fratelli! Siete del nostro stesso popolo! Uccidete i vostri stessi fratelli campesinos e davanti all’ordine di uccidere dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice non uccidere [...]. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine contro la legge di Dio [...]. Una legge immorale, nessuno è tenuta a rispettarla [...]. È ormai tempo che voi recuperiate la vostra coscienza e che obbediate prima alla vostra coscienza che agli ordini del peccato [...]. In nome di Dio, allora, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi chiedo, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione!”.
In queste parole c’è tutta la forza della nonviolenza: il divieto assoluto di uccidere, l’appello alla coscienza, la disobbedienza civile di fronte a una legge immorale.
L’arcivescovo Romero non ebbe più l’occasione di predicare il Vangelo al suo popolo perché il giorno seguente, lunedì 24 marzo, come ho scritto all’inizio, fu assassinato da un sicario mentre celebrava la messa. Il suo commento al brano del Vangelo “Se il chicco di grano, caduto a terra, non muore” (Gv 12,24) termina nel segno della parola pace, tanto cercata e sospirata da Monsignor Romero per il suo popolo: “ Avete appena finito di ascoltare nell’Evangelo di Cristo che è necessario amare non soltanto noi stessi, che uno non deve cercare di non esporsi a quei pericoli della vita che la storia esige da noi, che chi vuole tenersi lontano dal pericolo perderà la sua vita. Viceversa, chi si impegna per amore di Cristo al servizio del prossimo, vivrà come il chicco di grano che muore, ma solo apparentemente muore. Se non morisse, rimarrebbe solo [...]. Sappiamo che ogni sforzo per migliorare una società, soprattutto quando c’è tanta abbondanza di ingiustizia e peccato, è uno sforzo benedetto da Dio, che Dio vuole, che Dio da noi pretende [...].Che questo corpo immolato, che questo sangue sacrificato per gli uomini siano alimento per noi, affinché anche noi offriamo il nostro corpo alla sofferenza e al dolore come Cristo, non per noi stessi, ma per dare segni di giustizia e pace al nostro popolo”.
Per il popolo salvadoregno Monsignor Romero non è mai morto, la sua grande anima ha continuato a vivere. “Se mi uccidono – aveva profetizzato – risorgerò nel popolo salvadoregno”. Dal popolo cristiano del Continente amerindio e da molte comunità cristiane nel resto del mondo Monsignor Romero fu ritenuto martire e santo da subito; martire non perché ucciso a causa della sua fede cristiana – i mandanti del suo assassinio si dichiaravano cristiani e difensori della civiltà cristiana – ma a causa del suo amore per i poveri, della difesa degli oppressi, del suo impegno per la giustizia sociale.
La canonizzazione della santità di Monsignor Romero voluta da papa Francesco vorremo che non rendesse flebile “la forza rivoluzionaria delle beatitudini” vissute da Sant’Oscar Romero nella sua esistenza terrena.
24 marzo 2021
Pierpaolo Loi



Mercoledì 24 Marzo,2021 Ore: 09:31
 
 
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