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In ricordo di Antonino Caponnetto in occasione dei 100 anni dalla sua nascita

Riceviamo dal carissimo amico Mauro Matteucci alcuni testi in ricordo di Antonino Caponnetto in occasione dei 100 anni dalla sua nascita. Molto volentieri li pubblichiamo insieme alla sua lettera di accompagnamento.

Carissimo Giovanni, ti inoltro il seguente comunicato che ho redatto insieme agli altri promotori del Premio Antonino Caponnetto in occasione del centenario della nascita del Giudice. Questa figura nobilissima di magistrato ha avuto una grande importanza nella mia scelta educativa di imperniare il  lavoro di insegnante anche sul valore fondante della legalità unita alla giustizia. Il giudice Caponnetto, di cui molti ricordano il discorso appassionato e commosso ai funerali di Paolo Borsellino, dopo essere andato in pensione, attraversò l'Italia per incontrare i giovani delle scuole e portargli il suo messaggio educativo. Lo conobbi in uno di questi incontri, che non dimenticherò mai : aveva la capacità straordinaria di stabilire un rapporto immediato con i giovani. Alla fine tutti i miei studenti vollero stringergli la mano, tanto erano stati coinvolti dal suo discorso. Oggi, in questo tempo buio di valori, c'è bisogno di ricordare persone come il giudice Antonino Caponnetto!
Mauro Matteucci

Il giudice che scelse Pistoia per il suo ultimo riposo
di Giulia Baglini
La vita di Antonino Caponnetto al servizio della legge
“Riappropriatevi del vostro passato: del vostro passato di fierezza, del vostro passato di cultura, del vostro passato di civiltà. E fatelo diventare avvenire, fatelo diventare avvenire per tutti voi. Dovete crederci, dovete crederci incrollabilmente. È questo lo spirito con cui dovete affrontare gli anni meravigliosi della vostra giovinezza e con cui dovrete affrontare, poi, anche le difficoltà della vita. Credere in questi valori: credere in voi stessi, credere in voi quali portatori di valori autentici. I valori che non cambiano mai, i valori che finiranno col prevalere sui disvalori della illegalità, sui disvalori della 'ndrangheta, sui disvalori della mafia, sui disvalori della camorra, sui disvalori della sacra corona unita, sui disvalori della criminalità politica e affaristica. Siete voi che dovete costruite il vostro avvenire. Fatelo. Fatelo con decisione, fatelo con fermezza, fatelo con serenità, ma fatelo anche con amore e con speranza.“
Antonino Caponnetto
Il 5 settembre 2020 il giudice Antonino Caponnetto avrebbe compiuto 100 anni. Il magistrato che tutta Italia conosce come il capo del Pool Antimafia composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Gioacchino Natoli, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, il cui lavoro portò all’arresto di oltre 400 esponenti di Cosa nostra, aveva con Pistoia un legame speciale. Nato a Caltanissetta nel 1920, per il lavoro del padre si trasferisce con la famiglia prima in Veneto e poi a Pistoia, quando ha appena tre anni. Sempre a Pistoia, dove frequenta il Liceo Forteguerri, trova l’amore della sua vita, Elisabetta Baldi. Partecipa al secondo conflitto mondiale combattendo in Africa e da questa terribile esperienza matura l’avversione per la guerra. Dopo la laurea in giurisprudenza, lavora come impiegato in una ditta di trasporti, poi in una libreria ed infine in banca. Nel frattempo, incoraggiato da un suo compagno di liceo, studia anche di notte per prepararsi al concorso in magistratura, che vince nel 1954.
Il primo incarico è alla pretura di Prato, dove rinvia alla Corte Costituzionale due norme del testo unico sulla Pubblica Sicurezza, di stampo fascista, che vietavano il volantinaggio e ottenendo così in favore della libertà della persona le prime due sentenze della Consulta. Dopo la pretura di Prato, Antonino Caponnetto esercita la sua funzione di magistrato a Firenze, fino al 1983.
In quell'anno, il 29 luglio, la mafia uccide con un'autobomba il giudice istruttore di Palermo Rocco Chinnici. Il Consiglio Superiore della Magistratura sceglie allora Caponnetto per dirigere l'Ufficio istruzione di Palermo: il giudice volle ricoprire il ruolo che fu di Chinnici per senso del dovere e per liberare la sua terra dal giogo e dall’oppressione della mafia e per restituire dignità e libertà ai suoi conterranei. Il pool, che è strutturato secondo i provvedimenti dei giudici Caselli e Imposimato per operare in équipe nei procedimenti contro il terrorismo, dà presto alla luce i primi straordinari risultati: l’arresto del pentito Tommaso Buscetta, dà origine al blitz di San Michele, in seguito al quale interi clan mafiosi vengono trasferiti nei carceri di massima sicurezza. Il 16 dicembre 1987 arriva la prima sentenza del maxi processo, in cui gli imputati per reati di mafia erano 474: dopo 22 mesi di dibattimento nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, il Presidente Alfonso Giordano commina 360 condanne, 114 assoluzioni, 19 ergastoli, per un totale di 2665 anni di carcere e 11,5 miliardi di lire di multe. Uno dei giudici a latere è Piero Grasso, che dal 2005 al 2012 è stato Procuratore nazionale antimafia. Lasciato l’incarico nel 1988, torna a Firenze dalla moglie e dai tre figli e confida che a sostituirlo il Consiglio Superiore della Magistratura scelga Giovanni Falcone, punta di diamante del pool antimafia. Purtroppo a Palermo andrà Antonino Meli, che vanifica tutto il lavoro portato avanti da Caponnetto.
Secondo le stesse parole del giudice, “non coordinò più le indagini, esautorando Giovanni Falcone, emarginandolo, non accogliendo alcune delle sue istanze e ricominciando l'antico sistema di smembrare i processi di mafia, assegnandoli a tutti”.
Paolo Borsellino è promosso Procuratore a Marsala, Giovanni Falcone va a lavorare al Ministero della giustizia a Roma. Nel 1992 rimangono vittime, a 57 giorni di distanza l’uno dall’altro, dei terribili attentati di Capaci e di via D'Amelio.
Il dolore di Antonino Caponnetto per la perdita di coloro che considerava come figli suoi, è tale che davanti alle telecamere esprime tutto il suo sconforto, dicendo: “E’ tutto finito!” Ma con l’orazione funebre che pronuncia ai funerali di Borsellino, spegne la sua rassegnazione e promette a Paolo: “La lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi”. Inizia quindi un viaggio decennale per le scuole e le piazze di tutta Italia, per raccontare ai giovani chi fossero Falcone e Borsellino e per educarli alla legalità, al senso del dovere e alla corresponsabilità.
Muore a Firenze il 6 dicembre 2002 e riposa nel cimitero della Misericordia a Pistoia, la città che ha voluto onorarlo con l’istituzione del Premio che porta il suo nome e che volle intitolare a lui, nel 2011, uno spazio verde situato in Via Lunga. Ai suoi funerali, celebrati nella basilica della Santissima Annunziata da don Luigi Ciotti, non partecipò nessun esponente del governo dell’epoca. Il popolo testimoniò invece una grande vicinanza al magistrato.
Lo ricorda il nipote, Dario Meini Caponnetto, che il giorno in cui è mancato il nonno si trovava seduto al banco di una scuola media: “Quando portarono via la salma da Palazzo Vecchio, vidi una piazza piena di persone che piangevano e che urlavano ‘Nonno!’ Non era solo un nome in codice nato da esigenze di sicurezza, quell’appellativo testimoniava che Nino era diventato il nonno di tutti. Fu strano vedere queste persone così coinvolte e disperate, il nonno era il mio, fui anche un po' geloso lì per lì. Anche se era un nonno che avevo conosciuto poco, perché essendo molto impegnato a livello familiare non era presentissimo. Negli anni successivi, mi chiesi il perché di quel lutto collettivo e scoprii chi era stato mio nonno. Anche i miei studi di giurisprudenza mi hanno portato ad apprezzarlo ancora di più come magistrato e spero che mi permettano di dare una vita a una carriera che si ponga in una sorta di continuità con quello che ha fatto nella sua vita”.
Un ricordo molto vivo di Nonno Nino è quello associato agli uomini della scorta: “Vivevano pressoché con lui, erano diventati un tutt’uno e il nonno teneva molto a questa simbiosi. Io sono rimasto in contatto con alcuni di loro e anche con me si è creato un legame molto importante.”
Entrare nella libreria del nonno, che Dario ha ricevuto in eredità, gli ha permesso di ricostruire la portata del suo impegno. Ma è soprattutto l’incontro con le persone che lo hanno conosciuto che ha permesso a Dario di capire chi era suo nonno e perché era così apprezzato. Questi incontri sono avvenuti grazie alla Fondazione Caponnetto, dove il giovane studente di legge ha prestato servizio per qualche anno, ripercorrendo le orme di Nino. I suoi interventi in giro per l’Italia si compongono di due parti: una personale ed intima, per descrivere agli altri la figura del nonno, l’altra di carattere tecnico-giuridico per far conoscere alla persone il periodo storico che fece da cornice alle vicende del pool antimafia e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla natura del fenomeno criminale mafioso e sulla sua dimensione globale.
Ad analizzare costantemente questo fenomeno ci pensa appunto la Fondazione Caponnetto, fondata il 16 giugno del 2003 e presieduta da Salvatore Calleri ed Elisabetta Baldi Caponnetto.
Calleri si era appena laureato quando conobbe il giudice, alla fine del 1991: “Devo dire - ricorda - che è stata una grande persona, al contempo saggia, dolce e coriacea. Una persona d'altri tempi e che in una situazione come quella di oggi manca molto. E che si arrabbierebbe molto.”
“Negli anni successivi alla pensione - continua - iniziò il suo impegno sociale. Anni che coincisero con le stragi del ‘92. Mi ricordo che il 19 luglio, quando fu ucciso Paolo Borsellino, eravamo stati insieme in Calabria per una iniziativa de La Rete, il movimento fondato da Leoluca Orlando. Lui tornò a Firenze, mentre io scesi con alcuni amici in Sicilia. Sul traghetto appresi la notizia della strage di via d’Amelio e mi diressi verso Palermo, trovando una Sicilia divisa in due, scioccata ma anche con la vita che continuava normalmente. A Nino assegnarono una scorta e tornò subito in Sicilia”.
“La Fondazione Caponnetto – dichiara – è nata per continuare l’opera del giudice, portando avanti la lotta contro la mafia e la criminalità organizzata e agendo in difesa della legalità. Per questo ci occupiamo di organizzare vertici antimafia, sia in ambito nazionale che internazionale; realizzare report sulle infiltrazioni mafiose in Italia ed all'estero; organizzare osservatori sul fenomeno della mafia e della criminalità organizzata e del terrorismo; diffondere la cultura della legalità nelle scuole, principalmente con il progetto Sentinelle”.
A gennaio la Fondazione, che ha sede a Firenze, aveva lanciato un duro monito: "La Toscana rischia di essere divorata dalla mafia in silenzio". Il presidente Calleri non solo conferma questa prospettiva, ma lancia un ulteriore allarme: “Rispetto a gennaio la situazione è peggiorata. Con il Covid i delitti sono aumentati, è aumentato il coefficiente di rischio. Nell’ultimo decennio si sono moltiplicate le infiltrazioni mafiose in Toscana, di qualunque genere. Abbiamo tante tipologie di mafie o di criminalità organizzata, dalla mafia cinese, alla criminalità organizzata nigeriana ai clan albanesi, che di recente si sono dimostrati molto pericolosi. Inoltre l’usura è un fenomeno tanto poco denunciato, quanto tanto presente e con il Covid è aumentato e aumenterà sempre di più.
Con la pandemia bisogna infine stare attenti al riciclaggio del denaro sporco e alle truffe in ambito sanitario e farmacologico. Sarà necessario stare attenti a come si trasportano i vaccini, si spera che siano protetti dal rischio di eventuali assalti”.
Per ricordare il giudice nisseno è stato istituito nel 2011 il Premio Nazionale Antonino Caponnetto per la Cultura della Legalità, che viene conferito ad un cittadino che si sia distinto nella difesa della legalità o nella diffusione della cultura della legalità. L’iniziativa è nata dalla collaborazione fra la Fondazione Caponnetto, la Fondazione Un Raggio di Luce di Pistoia e il Centro di Documentazione e di Progetto Don Lorenzo Milani di Pistoia.
La cerimonia di premiazione avviene il 6 dicembre di ogni anno, in occasione dell‘anniversario della morte del Giudice Caponnetto. Purtroppo, quest’anno il premio è stato annullato a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
Ce ne parla Paolo Carrara, presidente della Fondazione Un Raggio di Luce: “Il 2020 sarebbe stato l’anno della decima edizione, oltre all’anno in cui si ricordano i cento anni dalla nascita di Caponnetto. In base alle regole sanitare, si sarebbe trasformato in un evento per pochi intimi, con l’impossibilità di coinvolgere gli studenti del territorio nel tradizionale evento al Teatro Bolognini. La premiazione in Sala Maggiore sarebbe stata aperta solo a 25 persone: visto che per noi tutto ciò sarebbe stato stato mortificante, a malincuore abbiamo deciso di rinviare il premio al 2021.
Noi ci siamo fatti promotori di questo premio perché volevamo comunicare i valori della giustizia e della legalità, prolungando l’influenza del giudice sulle nuove generazioni e per ricordare la sua figura di pistoiese d’adozione. Possiamo infatti dire che il giudice, nonostante fosse nato a Caltanissetta e abbia lavorato a Firenze e a Palermo, considerava Pistoia la sua città. Aveva anche un fratello notaio, che ha lavorato qui per molti anni.
Ho avuto il privilegio di conoscere Caponnetto tramite la Rete di Leoluca Orlando, ci vedevamo all’assemblea annuale di Firenze, che tra l’altro veniva preparata a Pistoia. Era una persona con la schiena dritta, che non si piegava a compromessi. I suoi valori lo portarono ad abbandonare, a 63 anni, la tranquilla posizione di magistrato a Firenze e a candidarsi come successore del giudice Rocco Chinnici a Palermo”.
Tra i pistoiesi che hanno nel cuore la figura di Caponnetto c’è anche Mauro Matteucci, referente del Centro di Documentazione e di Progetto Don Lorenzo Milani e co-promotore del Premio Caponnetto.
Da docente di italiano e storia, nel 1992 promosse un incontro con gli studenti delle scuole superiori di Pistoia: “Fu un incontro straordinario e indimenticabile. Era anziano e con le spalle curve, ma quando parlava dei suoi valori, si ergeva in tutta la sua grandezza e questo i ragazzi lo percepivano. Tutti vollero andare a stringergli la mano, commossi. Lui chiese a ognuno di loro il nome, segno che riusciva a stabilire un rapporto straordinario con i giovani. Sono cose che un educatore non può dimenticare. Era il periodo di Tangentopoli, una grave crisi morale e politica attanagliava l’Italia. Il giudice tenne un discorso di carattere politico nella sala del convento di San Domenico, richiamando i valori della Costituzione in un momento di grave crisi della nostra democrazia. Ricordo che tutti gli gridavano: ‘Aiutaci, aiutaci Antonino'!"
Matteucci, in mancanza del premio, sta ricordando la figura di Caponnetto rileggendo il libro “Io non tacerò”, del quale vuole condividere con noi un brano: “La mafia prospera nell'ignoranza e la scuola è il nemico principale e allora il compito primario della scuola deve essere quello di allargare la mentalità dei giovani, non soltanto di svolgere il programma. E’ ancora più alta e nobile la missione degli insegnanti, questo formare intere generazioni, questa capacità che deve avere l’insegnante di aprire gli occhi al giovane e dirgli quale società andrà a incontrare, quali difficoltà, quali piaghe essa presenta. Impostare la scuola in modo completamente diverso, come comunità di vita”.
Un messaggio dall’alto valore educativo che Matteucci ha sempre cercato di portare avanti nella sua esperienza di docente e che continua a praticare ancora oggi in qualità di insegnante di italiano per la comunità straniera del centro di accoglienza di Vicofaro.
Matteucci ci lascia con una considerazione molto attuale: “La pandemia, con la morte di così tante persone anziane, ci ricorda che anche le persone con i capelli bianchi possono essere portatrici di messaggi straordinari, come ha fatto Caponnetto fino a che ha potuto”.

Brani dei discorsi del giudice Antonino Caponnetto

La mafia teme più la scuola che la giustizia
La mafia prospera nell’ignoranza e la scuola è allora il nemico principale ... Ecco allora il compito primario della scuola, a mio avviso, deve essere quello di allargare la mentalità dei giovani, non soltanto di “svolgere il programma”... E’ ancora più alta, ancora più nobile, la missione dell’insegnante: questo formare intere generazioni, questa capacità, che deve avere l’insegnante, di aprire gli occhi al giovane e dirgli quale società andrà a incontrare, quali difficoltà, quali piaghe essa presente ... Imposterei la scuola in modo completamente diverso, come comunità di vita.

L'I CARE di don Milani
Io sono andato a Barbiana, dove lui insegnava, in questa stanza disadorna ... mi ha colpito, la frase scritta col pennarello rosso. Non è la frase originale che scrisse don Milani sul muro, è stata riprodotta dopo: «I CARE». Io ritengo che ciascuno di noi dovrebbe fissare all’occhiello un distintivo con sopra scritto «I CARE» al di la dei simboli di partito ... Cosa vuol dire? Vuol dire «Ho a cuore». Ho a cuore il destino di chi mi è vicino; son pronto a condividere i suoi affanni, le sue gioie. E’ il contrario del motto fascista “me ne frego”. In quell’epoca don Milani, proprio in opposizione a questo motto fascista, coniò questa bellissima frase. Ricordatela. Fatene un motivo di vita e di speranza.
 
Rifiutare i compromessi, esigere i diritti!
Rifiutate i compromessi, siate intransigenti sui valori. Convincete con amore chi sbaglia. Rifiutate il metodo del “saperci fare”, questo vezzo italiano della furbizia. Non chiedete mai favori o raccomandazioni. Questo è un ammonimento importante. La Costituzione e le leggi vi accordano dei diritti, sappiateli esigere. Chiedeteli, esigeteli con fermezza, con dignità, senza piegare la schiena, senza abbassarvi al più forte, al più potente, al politico di turno. Dovete esigerli! Questo è un imperativo che deve sorreggere tutta la vostra vita. Abbiate sempre rispetto della vostra dignità e difendetela.
 
Difendete il vostro futuro!
Vorrei soltanto lanciarvi un’ultima esortazione, quella di amare la vita ... andate incontro alla vita con fiducia. Cercate di non tradire voi stessi e fate in modo che non vi derubino del vostro futuro. Costruitelo ‘con le vostre mani, con il vostro impegno, con la vostra sensibilità, con la vostra intelligenza, con il vostro amore.
 
Legalità significa rispetto della persona umana
Legalità che vuol dire, non dimentichiamolo mai, rispetto della persona umana. Rispetto della persona umana, chiunque sia. Della persona umana che io mi vedo passare accanto. Da qualunque posto venga.
Abbiamo il dovere di dare accoglienza a questa gente che viene in Italia alla ricerca disperata di lavoro.
Con un grosso rispetto. Porre la persona umana al centro dell’universo. Ecco quello che io credo essere il senso profondo della legalità.

Rifiutare indifferenza e rispettare le regole
L’indifferenza, questo grande nemico della vostra crescita, questo grande nemico del vostro avvenire... Le regole sono delle risorse, delle risorse di creatività, di socialità , di organizzazione della propria vita, del proprio futuro...
(da “lo non tacerò” a cura di Maria Grimaldi)



Domenica 06 Dicembre,2020 Ore: 11:51
 
 
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