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www.ildialogo.org RICORDANDO PALMIRO TOGLIATTI ( Nel 56. anniversario della scomparsa),di Luigi Caputo

RICORDANDO PALMIRO TOGLIATTI ( Nel 56. anniversario della scomparsa)

di Luigi Caputo

L’inesorabile scorrere del tempo ha forse risparmiato a Palmiro Togliatti la sorte beffarda riservata invece, da certa pubblicistica dolciastra e pseudo progressista, a Enrico Berlinguer, trasformato da qualche anno a questa parte in una sorta di ascetico veggente, profeta disarmato e impolitico della questione morale. Disconoscere all’ interlocutore, quand’ anche avversario, la sua identità, è la più sottile e malvagia delle perfidie che si possano operare in politica. Anche un’ onesta damnatio memoriae vi si lascia preferire. E però nel caso di Togliatti la “damnatio” appare poco più che una tigre di carta. Togliatti infatti è oltre, perché uomo di frontiera tra mondi ed epoche diverse. Scorri la Costituzione, e trovi interi articoli scritti da lui; leggi un libro di filosofia, non solo i classici del marxismo ma anche, poniamo, l’ illuminista Voltaire, e puoi imbatterti nella sua traduzione del Trattato sulla tolleranza; ti avvicini a Gramsci, “ l’autore del Novecento italiano più conosciuto nel mondo”, e intanto puoi farlo in quanto lo stesso Togliatti (con la decisiva partecipazione di Piero Sraffa e Tatiana Schucht) si adoperò fino all’inverosimile per salvare l’opera carceraria e assicurarne la massima divulgazione, nella convinzione che essa avrebbe “stupito gli intellettuali d’Italia per la profondità del pensiero, per la precisione dell’analisi, per l’audacia delle conclusioni”. Indubbiamente Togliatti, che, totus politicus o no, tenne il campo, da rivoluzionario di professione, nell’arco di mezzo secolo di impegno politico, leader ( peraltro non affatto incontrastato, come in genere si crede) del partito comunista, figura di spicco della Terza Internazionale, non può ( e probabilmente non avrebbe voluto) essere ricordato unicamente come straordinario organizzatore di cultura, e uomo di cultura egli stesso. Ma trascurare la rilevanza di questo aspetto così centrale della sua personalità significherebbe far torto non solo alla dimensione biografica, ma anche a quella politica. Perché per Togliatti, così come per Gramsci, fare cultura significa fare politica. E viceversa. Egli lo testimonia in concreto. Come quando, appena rientrato in Italia da un esilio ventennale, lancia, contestualmente alla “svolta di Salerno”, il mensile culturale Rinascita, dalle cui colonne ingaggia uno scontro al calor bianco con Benedetto Croce, papa laico del panorama culturale italiano, accusandolo di aver contribuito a scavare, con il de profundis pronunciato a inizio secolo nei confronti del marxismo, quel solco tra intellettuali e masse in cui si sarebbe di lì a poco incuneato il fascismo.
Fu stalinista Togliatti? Indubbiamente lo fu, anche se non sembra giusto inserirlo, come pure spesso è stato fatto, fra gli stalinisti della più bell’ acqua. La sua adesione alle posizioni di Stalin è infatti piuttosto tardiva, e ciò gli sarà fatto pesare a lungo negli ambienti moscoviti. Il suo stalinismo si configura soprattutto come appartenenza al campo politico di cui Stalin era capo incontrastato e simbolo. Con questo non si intende certo minimizzarne la portata. Così, quando si scatena la caccia alle streghe contro i troskisti, veri o presunti, Togliatti non si sottrae, e le conseguenze nel partito in termini di espulsioni sono pesanti. Non si trattò però tanto di fedeltà a una persona, anche se non mancò di portare il suo tributo al culto della personalità del leader georgiano, quanto piuttosto a un convincimento, quello della necessità del “legame di ferro” con l’ URSS ai fini di una presenza comunista significativa in Europa occidentale. Allineato quando l’ alternativa era tra allinearsi o perire ( e a volte nemmeno ritrattazioni e allineamenti bastavano ad aver salva la vita), pronto all’ iniziativa allorquando un disgelo anche appena percettibile rende possibile recuperare margini di autonomia. Eccolo così protagonista della fase dei Fronti popolari, inaugurata all’ indomani del VII Congresso del Comintern, nel 1935 (con l’abbandono della nefasta teoria del socialfascismo) che tanta importanza avrà anche nell’origine delle scelte strategiche del PCI nell’ Italia del dopoguerra, quando, soprattutto nel quadriennio 1944- 1948, l’iniziativa politica di T. potrà dispiegarsi pienamente, con caratteri di significativa creatività destinati a lasciare una traccia profonda nella storia del Paese. Ecco così l’elaborazione delle nozioni di partito nuovo ( originale sintesi tra il tradizionale partito di integrazione di massa di derivazione socialdemocratica e il partito di quadri leninista, in grado di dare forma, coscienza e spessore organizzativo alle enormi ma spesso confuse energie sprigionate all’indomani della Liberazione) e di democrazia progressiva, la quale si avvicina a una forma di paradigma antifascista rafforzato, ovvero di antifascismo preventivo, in cui si sedimentano le esperienze maturate dalle sinistre in tutte le loro articolazioni, nel periodo fra le due guerre. Che non si trattasse di propaganda o retorica, il segretario del PCI lo testimonio’ nel modo più convincente e inoppugnabile, nel luglio del ’48 dopo l’ attentato subito, invitando la base del partito scossa e ribollente di indignazione a mantenere i nervi saldi, nella convinzione che l’ accettazione di una prova di forza ( a cui guardavano con favore i settori più reazionari del padronato, del Vaticano e della DC, uscita vincitrice dalle elezioni del 18 aprile) e, comunque qualsiasi scelta al di fuori della legalità avrebbero compromesso irrimediabilmente quella scelta strategica, anzi, quella cultura politica sintetizzata nella formula della democrazia progressiva.
Dopo il “terribile” 1956, data spartiacque nella storia del comunismo mondiale ( che perciò richiederebbe una trattazione a sé stante), segnata dalla denuncia kruscioviana dei crimini di Stalin e dall’ invasione sovietica dell’ Ungheria, la ricerca teorica e politica di Togliatti ruota intorno a tre temi: la rielaborazione della lotta antimperialista e per la pace nella prospettiva della coesistenza pacifica; l’approfondimento del concetto di policentrismo e del superamento dell’ idea di partito guida ( il cui primo accenno da parte di Togliatti risale in verità al lontano 1939) ; il rapporto democrazia- socialismo e il ruolo delle riforme di struttura in Italia dopo l’ avvento del centro- sinistra e le nuove sfide che tale formula pone al PCI. Nel contempo tuttavia, nella fase crepuscolare della traiettoria umana e politica del “ Migliore”, emergono temi ed a accenti, già presenti forse nella sua elaborazione, ma allo stato, per dir così, embrionale, un’ apertura ancora più marcata, quasi leopardiana, a una prospettiva universalistica di comunanza del genere umano. Il riferimento, peraltro quasi obbligato, non è soltanto al celebre discorso di Bergamo del 1963 sul “Destino dell’uomo”, con il richiamo al pericolo globale rappresentato dalla escalation nucleare, ma a un’ inclinazione introspettiva e retrospettiva, a un bilancio della propria complessiva esperienza, “che cala la propria vicenda individuale nella storia di un grande movimento politico”, o, se si preferisce , l’esame di coscienza di un politico- intellettuale, per parafrasare l’espressione cara a un letterato di inizio secolo che non gli fu estraneo; insomma, quella che Enrico Berlinguer avrebbe definito, molti anni dopo, la verifica della fedeltà agli ideali della propria gioventù. Il tutto senza alcuna concessione all’astrattezza o al moralismo, naturalmente, ma tenendosi saldamente ancorato all’esame concreto della situazione reale. È così anche per il Memoriale di Yalta. La cui essenza non è da rinvenire, come molte volte è stato riduttivamente sostenuto, nella mera anche se fondamentale difesa dell’autonomia dei comunisti italiani nei confronti di Mosca, ma nella tematizzazione delle sorti e delle prospettive del movimento comunista internazionale al cospetto della sfida della secessione lanciata dal Partito Comunista Cinese e della inadeguatezza, non solo sul piano esterno, ma anche interno, di quello che era stato il partito guida, il PCUS. Convincimento profondo dell’ ultimo Togliatti - che si manifesta in modo trasparente anche nel Memoriale- è che un’ eventuale diaspora nel movimento comunista non metterebbe a repentaglio la sua esistenza in quanto soggetto collettivo ma rischierebbe di condannare all’irrilevanza anche i singoli partiti nazionali. È questa deriva che Togliatti intende contrastare con le proposte contenute nel Memoriale e con il viaggio in Unione Sovietica che gli risulterà fatale. Si possono non condividere, naturalmente, analisi, metodo ed obiettivi. Ci sembra in ogni caso una scelta molto più conseguente e degna, sul piano della moralità politica, rispetto a quella operata un quarto di secolo dopo da alcuni tardi suoi epigoni, i quali, dopo aver sostenuto ad oltranza le ragioni della diversità e dell’originalità del comunismo italiano rispetto a quello sovietico e dell’ Est europeo, all’ apparire delle prime crepe nel Muro, non trovarono di meglio che ammainare le bandiere rosse per assicurarsi approdi più sicuri e soprattutto più confortevoli. Fortunatamente ci fu chi fece altre scelte e chi le porta avanti ancora oggi, con convinzione ed abnegazione, nel mondo “grande e terribile”.
 
Luigi Caputo - Partito della Rifondazione Comunista – Federazione di Avellino



Sabato 22 Agosto,2020 Ore: 17:08
 
 
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