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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org UN TESTIMONE DELLA MISSIONE VISSUTA NEL DIALOGO CRISTIANO-MUSULMANO DI GRANDE LEVATURA: ALBERTO MODONESI (1942-2018: LO HANNO CHIAMATO ABUNA ALBERTO “IL MUSULMANO”, DI ALEX ZANOTELLI,A CURA DI CARLO CASTELLINI

UN TESTIMONE DELLA MISSIONE VISSUTA NEL DIALOGO CRISTIANO-MUSULMANO DI GRANDE LEVATURA: ALBERTO MODONESI (1942-2018: LO HANNO CHIAMATO ABUNA ALBERTO “IL MUSULMANO”, DI ALEX ZANOTELLI

A CURA DI CARLO CASTELLINI

CHI ERA ALBERTO MODONESI?
Nel suo impegno missionario, per lunghi anni in Sudan e in Egitto, ha camminato a condiviso la sua vita con i musulmani. E' stato per loro come un fratello, non sempre compreso dagli stessi confratelli, maturando grande rispetto e amore per l'Islam.
Io l'ho conosciuto negli anni di Liceo, trascorsi a Carraia, da 1960-1963, nel comune di Capannori, in provincia di Lucca. Sono stati anni belli per me, sia per l'incontro con giovani di tutta Italia, sia per gli studi, ma anche per la formazione in un'età di ricerca di senso, di ideali e di persone che ti segnano.
I miei ricordi di ALBERTO sono legati al gioco del calcio, perchè Alberto, era un bravo giocatore di foot-ball. Aveva una sua eleganza inconfondibile, un tocco leggero ma preciso, e una visione del campo tipica del mediano, che guarda all'aspetto collettivo del gioco di squadra. Con il fratello RENATO abbiamo disputato delle partite memorabili.
In quel periodo non l'ho potuto conoscere per le doti di dialogo e di relazione che questa ricostruzione di padre Alex gli attribuisce. Però non mi stupisce, perchè il carattere era di quelli buoni e generosi, certamente. Non era un tipo vistoso e non amava mettersi in mostra. (Carlo Castellini).
IL RITRATTO DI UN TESTIMONE.
Tanti suoi confratelli lo deridevano chiamandolo THE MUSLIM” “IL MUSULMANO”. Non è di questo parere invece padre FELIZ DA COSTA MARTINS, che ha conosciuto bene padre ALBERTO:”Se avessimo molti musulmani come lui – così Padre FELIZ -la nostra missione nel mondo islamico ci guadagnerebbe davvero tanto!” Alberto ha speso una vita trai musulmani di EGITTOe di SUDAN. Lo ha fatt con passion e profonda conoscenza della lingua araba e del mondo islamico. Con la sua straordinaria abilità di relazioni, ALBERTO è stato capace di vivere in profonda sintonia con i musulmani, diventando loro compagno di vita e di strada. E i musulmani lo hanno veramente amato.
COMPAGNO DI VIAGGIO.
Ho incontrato per la prima volta Alberto nel 1967a EL – OBEID, grande città a 500 km a ovest di KHARTOUM, capitale del Sudan. Due anni prima ero arrivato anch'io in quella città nel deserto come insegnante nella scuola secondaria, la COMBONI SCHOOL. Alberto arrivava invece dal Libano, dove aveva studiato la lingua araba, destinato al lavoro pastorale nell'immenso vicariato apostolico di EL_OBEID, che comprendeva le regioni del KORDOFAN e del DARFUR.
Il vicario apostolico che coordinava il lavoro missionario era il comboniano mons. FRANCO CAZZANIGA Alberto aveva lavorato in varie cittadine del Kordofan, come EN NAHUD e NYALA. Ci siamo così ritrovati insieme. Eravamo un gruppo di giovani missionari, che amavano ritrovarsi a riflettere sia sul nostro fare missione sia sulla situazione politica del Sudan, allora in piena guerra civile tra nord e sud.
Eravamo molto critici circa il nostro stile di vita, ma anche del silenzio dei nostri vescovi sulle stragi compiute dall'esercito di Khartoum nel sud del Paese. La riflessione collettiva fatta da missionari e missionarie del vicariato, ci portò alla stesura di un documento da inviare al Sinodo dei vescovi a Roma del 1971 dedicato al tema di giustizia e pace. Ma né il pronunzio UBALDO CALABRESI, né l'arcivescovo di Kharthoum AGOSTINO BARONI potevano accettare il contenuto del nostro documento. Mi confrontai personalmente con entrambi, inutilmente. Allora unanimemente decidemmo di inviare il documento a Roma al nostro confratello PADRE RENATO BRESCIANI, perchè ne facesse copie da distribuire a tutti i padri sinodali. E così fu.
L'arcivescovo BARONI, che partecipava al Sinodo, ne fu molto adirato e fece un intervento in aula in cui demolì la nostra lettura delle realtà. Non solo ma mons. BARONI rientrato a Kharthoum insieme al pronunzio fece pressione sul “nostro vescovo” mons. CAZZANIGA perché sia il sottoscritto, sia Alberto fossimo allontanati dal SUDAN come soggetti pericolosi.
Invece il nostro vescovo rispose così:”ALEX e ALBERTO sono due missionari che lavorano sodo, e hanno anche il diritto di dire quello che pensano”. Per noi missionari di El Obeid, mons. CAZZANIGA è stato un vero pastore secondo lo spirito del Vaticano II. Poco dopo si ritirò per lasciare il posto ad un vescovo africano:”In AFRICA – diceva – non è più tempo di vescovi bianchi!”.
Anch'io lasciai El Obeid e il Sudan nel 1973 per un anno di studio dell'arabo classico e dell'Islam al Pontificio Istituto di Studi arabi e dell'islamistica (PISAI) di Roma. Quando chiesi di rientrare in Sudan, il governo di Kharthoum. Il governo temeva che i NUBA si alleassero con la guerriglia del SUD SUDAN contro Kharthoum.
Quando chiesi di ritornare in SUDAN, il governo di Kharthoum
i negò il permesso, perché ritenuto elemento pericoloso. Seppi più tardi che la ragione del diniego era la mia vicinanza al popolo Nuba, il più oppresso e umiliato del SUDAN.
Il governo temeva che i NUBA si alleassero con la guerriglia del Sud SUDAN contro KHARTHOUM. Fu così che non potei più ritornare in Sudan, mentre Alberto continuò a camminare nelle immense distese di sabbia del Kordofan e del Darfur.
SULLE PISTE DEL DESERTO.
La regione del KORDOFAN come la regione del DARFUR con il capoluogo a EL FASHER, sono in buona parte zone deserti che con una popolazione al 95% musulmana. Pochi i cristiani provenienti dal sud del Paese o dai MONTI NUBA, in buona parte giovani in cerca di lavoro.
Questo ha comportato lunghi viaggi. Alberto amava viaggiare con la gente su camion stipati, perfino sul tetto della cabina di una camion, ma sempre scherzoso e sorridente. Si fermava lungo la strada nell taverne per bere insieme a tutti una tazza di tè o mangiare un piatto di ful, tipico cibo locale a base di fave.
Viaggiava anche in treno, su carrozze strapiene di gente. Amava parlare con tutti e quasi tutti erano musulmani. Queso gli spalancava le porte per un dialogo serio con l'islam: il dialogo della vita. Amava i musulmani, frequentava soprattutto gli imam e gli sceicchi delle moschee soprattutto a EL FASHER dove è vissuto a lungo. Si è lasciato plasmare da loro. Molti missionari lo deridevano per questo. Questo dialogo della vita gli ha fatto fare un salto di qualità straordinario.
Un salto così bene espresso nel libretto ABBIAMO DIVISO IL PANE E ILSALE del padre domenicano SERGEDE BEAURECUEIL vissuto dal 1955 al 1980 a KABUL, unico cristiano in un mare di musulmani. “Nella solitudine della mia piccola cappella condivido il pane come fece Gesù, come lo fanno i miei fratelli musulmani. Riunisco e confondo il suo gesto con il loro. Divento un solo corpo con Lui, come sono diventato un solo corpo con loro. In me avviene l'incontro,che zampilla l'Acqua viva che li disseta, scorre il Sangue che li purifica.....E questo mistero si realizza solo perchè, prima di salire sull'altare, umilmente, con infinito amore e rispetto, rispondendo al loro invito fraterno, ho spezzato il pane e il sale”,
Padre ALBERTO aveva letto e meditato quel libretto che altro non è che l'esperienza di quel poveretto di GESU' DI NAZARETH che era il motore della sua vita e che ritrova nel volto dell'altro, vinto, denutrito, emarginato, affamato.
A B U D A B I B. “L'UOMO DEL SERPENTE”.
Alberto camminava anche molto. Quanti passi con quei sandali sulla sabbia del deserto per visitare piccole comunità cristiane sparse in quel vasto territorio. Un giorno mentre camminava nel deserto di EL DAEIN, un serpente velenosissimo lo morse sul collo del piede. Chi camminava con lui tagliò la ferita cercando di succhiargli il veleno. E poi lo portarono a Kharthoum. Si salvò per miracolo. Da allora la gente lo chiamò ABU DABIB, il “padre del serpente”. Ma la sua salute non fu più la stessa. Il veleno lo indebolì molto e talora aveva dolori talmente atroci da non potersi reggere in piedi. Ma non perse mai il sorriso, la gioia di vivere. Questo grazie a una fibra interiore straordinaria, a una spiritualità genuina tutta d'un pezzo.
Era un appassionato di Gesù, capace di legare Vangelo e vita concreta. Pregava molto e intensamente, e sapeva tradurre le preghiere in scelte di vita. Era l'uomo del Vangelo che lo rendeva libero capace di criticare le strutture religiose ed ecclesiastiche. Lo faceva spesso con un sorriso ironico e sprezzante. Con un'incredibile capacità di autocritica. Per questa sua dimensione di spiritualità, il responsabile dei comboniani di allora, PADRE TARCISIO AGOSTONI, lo aveva scelto come Padre Maestro dei novizi. “Gli risposi con una lettera – mi confidò un giorno - dicendo di essere in una profonda crisi di fede”. E tutto finì lì.
D A R COMBONI.
Invece nel 1994 fu nominato Direttore del Dar Comboni, il Centro di Studi Arabi e islamici al CAIRO (EGITTO) che era stato istituito per preparare missionari destinati a lavorare nel mondo islamico. Diresse il Centro per sei anni condividendo quanto aveva maturato nella trentennale esperienza in Sudan. Ma quel periodo gli offrì anche la possibilità di riflettere a lungo sull'Islam nella sua ricerca su Dio e capire quale presenza missionaria fosse richiesta nel DAR EL ISLAM. ALBERTO teneva d'occhio l'esperienza di Chiesa in Marocco, Tunisia e in particolare in Algeria.
Era affascinato dall'esperienza del cardinal LEON-ETIENNE DUVAL (1903-1996) arcivescovo di Algeri, e del suo successore HENRI TEISSIER. Mentre era al Cairo, Alberto stato profondamente segnato dal martirio dei 19 religiosi uccisi in Algeria dai fondamentalisti tra il 1994 e 1996, soprattutto dai sette monaci di TIGHIRINE guidati dal padre CHRISTIAN DE CHERGE' (21 maggio 1996) e del vescovo di ORANO, PIERRE CLAVERIE (1 AGOSTO 1996).
Alberto si ritrovava totalmente nel testamento di frère CHRISTIAN:”Con la mia morte, potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell'islam così come li vede lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della sua passione , investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze”.
Ma ancora di più Alberto si è ritrovato nelle parole del vescovo di ORANO, PIERRE CLAVERIE:”Scoprire l'altro, vivere con l'altro, ascoltare l'altro, lasciarsi plasmare dall'altro – scriveva il vescovo – tutto questo non significa perdere la propria identità, rinnegare i propri valori; vuol dire piuttosto concepire un'umanità al plurale, non esclusiva”. Anche Alberto si è lasciato plasmare dall'altro, dall'arabo, dal musulmano. Praticando il dialogo della vita che lo ha portato a guardare all'islam con altri occhi.
ALBERTO avrebbe gioito del DOCUMENTO SULLA FRAELLANZA per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato da papa FRANCESCO e dall'IMAM AAZHAR AHAMAD AL TAYYEB. Nel testo si dichiara che “il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza di lingua sono una sapiente volontà divina”.
Papa Francesco giustifica la diversità e la pluralità di religioni in quanto queste sono un bene anche se imperfette e non un male. Potremmo allora dire che la varietà di religioni non è dovuta al peccato o all'ignoranza dell'uomo, ma alla sapienza di Dio. Questa era la teologia missionaria a cui anche Alberto era giunto, dopo un lungo cammino con il dialogo della vita. Gli chiese un giorno il comboniano PADRE LUCIANO PRINA:”Alberto, pensi che il CORANO sia ispirato?” Risposta:”Dio ha dato ai musulmano il loro libro, come a noi ha dato il nostro”.
V E R S O LA V E T T A.
Dopo il lavoro a DAR COMBONi ALBERTO ritornerà nel suo SUDAN dove spenderà i suoi ultimi anni camminando con la gente. Non ha mai smesso di farlo dando una straordinaria testimonianza di vita.”Non sono più io che vivo, - avrebbe potuto dire con San Paolo – ma è Cristo che vive in me”.
Finché nel 2016 fu colto da un tumore maligno che in poco tempo lo stroncò. Lo potei riabbracciare a Brescia. Nel breve colloquio che bbi con lui, gli chiesi di mettere per iscritto quel suo lungo cammino nel cuore dell'islam. “Sto male, non ce la faccio”, la sua risposta. E mi lasciò con quel suo sorriso velato ora di sofferenza. Il resto ce lo racconta nella sua ultima lettera.
“E' trascorso un anno circa dal NARALE 2016, quando ho ricevuto il referto medico di essere stato attaccato da un cancro al pancreas con metastasi al fegato. Allora lo avevo qualificato come un dono speciale perchè nella mia ingenuità e, forse, nella mia eccessiva presunzione e orgoglio, credevo che mi fosse facile accettare di camminare a fianco di Gesù e dei miei fratelli che soffrono. Invece mi sono accorto che sono proprio i miei fratelli e sorelle più deboli che mi hanno dato il coraggio di continuare verso la vetta, assieme a Gesù e io in loro compagnia”.
E racconta una serie di incontri con malati come lui che lo avevano profondamente toccato. Alberto ha mantenuto fino alla fine una capacità di relazioni straordinaria. “I medici mi hanno detto che l'incontro con il Padre dovrebbe essere prima di Natale 2018. Ho una grande voglia di spiccare questo salto nelle sue braccia. Lui ora sorregge il mio incedere un po' instabile. Cerca di mettere le mie mani nelle mani di mio fratello Renato. E di mia sorella che soffre più di me. A volte non può far altro che prendermi in braccio, tergendomi le immancabili lacrime.. Un abbraccio caloroso. Alberto”. (ALEX ZANOTELLI, a cura di Carlo Castellini).



Giovedì 06 Febbraio,2020 Ore: 23:24
 
 
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