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www.ildialogo.org MISSIVA ALLA SORELLA CARMELA,di Sebastiano Saglimbeni

MISSIVA ALLA SORELLA CARMELA

di Sebastiano Saglimbeni

Alcuni di voi dicono: ”La gioia è più
grande del dolore”, e altri dicono:
”No, è più grande il dolore”.
Kahlil Gibran
Carmela, ti scrivo per la scomparsa della sorella-madre Francesca che aveva da un paio di mesi compiuto novantuno anni. Bel traguardo! Lei avrebbe voluto vivere ancora così com’era carica di tempo e di una sua piena, particolare storia. La storia, voglio specificare, di giovanissima che si occupò di noi quattro figli più piccoli; la storia di contadina nelle nostre piccole campagne; la storia di lavandaia sotto un cielo freddo o caldissimo; la storia di emigrante in Germania e, ritornata in patria, di operaia in una fabbrica del Varesotto dove si lavorava la canapa; la storia di sposa, senza figli e di due volte vedova; la storia, infine, di ammalata, ora a letto, ora un po’ in piedi con il cuore lacrimante perché non avrebbe più potuto cogliere i fichi, l’uva e le olive in quel tratto di terra, Pomarazzo, che aveva, mentre in forza, voluto pulito e produttivo. Non si doleva tanto di lei quanto degli altri, consanguinei ed estranei.
Ho dei rimorsi perché, ultimamente, non son potuto partire da Verona per rientrare al paese e rivederla ed ascoltarla, ascoltarla, magari recitante alcuni canti popolari nel terrazzo della casa. O sentirla rievocante quelle estati a Portellarossa quando si trebbiava e si passava, per avere il grano, qualche giorno e qualche notte nell’aia; rimorsi perché le mie condizioni di salute non mi hanno consentito di presenziare alle sue esequie. Ricordi, Carmela? Questa nostra sorella, questa nostra sorella… Il suo nome e cognome oggi continua, e spero a lungo, in mia figlia Francesca.
Prima ti accennavo di lei nel Varesotto. In questa terra, all’estremo della nostra Sicilia, trascorse degli anni di dura fatica che non era certo quella delle nostre campagne pure relativamente fredde ma, in prevalenza, di sole e con alberi fruttiferi ai quali stiravi una mano e ti cibavi. Carmela, credo che quando trovi un po’ di quiete alle tue angosce, all’ estenuante fatica per il marito tanto infermo da anni, ami leggere. Non ho dimenticato come una volta, quando frequentavi le Elementari, ti affascinavano le poesie. Più volte, io di sei anni più vecchio di te, ti avevo sentito recitare con un suono dolce, accorato:
 
“O cavallina, cavallina storna;
che portavi colui che non ritorna;
 
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
 
il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.” ……
 
Provavo, perché iniziavo a comporre versi, una letizia indicibile nel sentirti. E pensavo, che avresti scritto, o prima o poi, pure tu, versi. Non ne scrivesti e credesti di servire in casa e apprendere un po’ il mestiere di sarta. La sorella nel Varesotto io la ricordai quarant’anni or sono con dei miei versi che poi, scelti per un’antologia, lessero molti studenti delle Scuole medie inferiori. Ti ricordo questi miei versi che dicono: “ Era meglio sorella che tu restassi/laggiù tra l’orzo nano/ di giugno e le spighe/ magre miserabili/ del grano/ e sentire almeno odori di fiori/ del sambuco soffocato dal rovo/ e le capre belare/per le balze aride matte piene di latte/ che crepare, sorella,/ogni giorno, nell’inferno di una/fabbrica del Varesotto.//Era meglio che mondassi,/falciassi magrissime messi,/sorella,/ e non pulissi la canapa al ghiaccio, / che portassi legna verdura/come una volta e colassi sudore/ e morissi sotto il nostro cielo/ statico di cobalto”. I versi alla sorella continuano e parlano di lei obbligata a quella sorta di vita di operaia con la speranza di possedere una sua casa. Non aveva, dopo quel lavoro con pochissimi guadagni in Lombardia, avuto una sua casa. Ebbe quella dei nostri avi dove è morta il giorno di tutti i Santi.
Carmela, io sono arrivato ad oltre ottantasette anni e combatto da tempo un male, come tanti umani sulla terra, ma non mi piango addosso per nulla, vivo e penso, a volte, ai miei coetanei, non pochi, del nostro paese che da anni se ne sono andati per sempre e ad altri che, viventi, hanno bisogno di sostegno. Vivo e mi muovo per un po’ lungo la via della mia casa, una via alberata, ora invasa dalle foglie gialle dei tigli. Mi vedo come quelle foglie gialle ancora sugli alberi in questo autunno avanzato. Ingoio medicine che non sono more dolci di rovo ed attendo che una bella, sorridente Signora, mi conduca in un luogo da dove, da che mondo è mondo, non si ritorna sul nostro pianeta, tra pace e guerra. Vivo sereno, privo di rancori e invero rispettoso verso gli altri. Vivo ed è come se ti vedessi da tantissima distanza. Dei cinque figli del padre Antonino, che non si dolse mai della sua grave mutilazione bellica, sono rimasti, dolcissima sorella, un figlio e una figlia.
Nell’immagine: la sorella Carmela



Mercoledì 20 Novembre,2019 Ore: 12:27
 
 
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