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www.ildialogo.org Crimini nelle colonie tedesche: Esiliare, impiccare, ammazzare,di Christian Staas

Crimini nelle colonie tedesche: Esiliare, impiccare, ammazzare

di Christian Staas

Traduzione dal tedesco di José F. Padova


I crimini dell’epoca coloniale erano precursori dell’Olocausto? Negli anni scorsi la disputa su questa questione ha illuminato un capitolo a lungo trascurato della storia tedesca.
Christian Staas, Caporedattore; Die Zeit - storia, 23 novembre 2010
Traduzione dal tedesco di José F. Padova
L‘11dicembre 1904 la parola compare per la prima volta in uno scritto del governo tedesco. Il Cancelliere Bernhard conte von Bülow telegrafa in quel giorno all’Africa Tedesca del Sudovest e ordina di realizzare “campi di concentramento” “per la sistemazione e il mantenimento dei resti del popolo Herero”. Destinatario del messaggio è il comandante in capo nell’Africa Tedesca del Sudovest, Lothar von Trotha.
Nei mesi precedenti Trotha aveva inviato la sua “truppa coloniale” in una spietata guerra contro i ribelli Herero e Nama, contro uomini armati, ma anche contro donne e bambini, vecchi e infermi. Nell’agosto 1904 i soldati tedeschi cacciarono molte decine di migliaia di Herero nell’Omaheke, una vasta zona sabbiosa nell’est della colonia, resero inutilizzabili le sorgenti, uccisero e perseguitarono a morte. Trotha parlò di “guerra di razze”, il suo fine ultimo suonava come “annientamento”.
Anche il concetto di campo di concentramento gli era da molto tempo famigliare, 30 anni prima di Dachau. Intorno al 1900 i britannici denominavano Concentration camps i campi nei quali durante la guerra contro i Boeri stipavano civili in massa, per “pacificare” il Paese. Ora essi servivano come modello per i miserabili insediamenti di baracche a Windhoek, Swakopmund e altre città con collegamenti ferroviari, come pure – località maggiormente presa in considerazione – sull’Isola degli squali davanti all’insenatura di Lüderitz.
Regnava il lavoro forzato, i prigionieri erano sottoalimentati, imperversavano le malattie e molti Herero, a proprio agio nell’interno del Paese con un clima secco e caldo, soffrivano il clima di mare umido e freddo. “Ombepera i koza”, gridavano a Swakopmund: “Il freddo mi uccide”. I campi non servivano per “sistemazione e mantenimento”, ma erano la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Soltanto la metà degli internati sopravvisse alla prigionia e ai lavori forzati. L’assassinio di massa degli Herero è un preludio alla politica di sterminio nazionalsocialista?
Nell’ultimo decennio fra gli storici si è acceso, provocato da questa domanda, un dibattito sull’epoca coloniale tedesca. La disputa su parallelismi e continuità con i crimini nazisti farebbe luce su un capitolo storico a lungo trascurato. Abbracciando proprio quattro decenni, la storia coloniale è più un episodio che un’epoca, eppure ebbe un corso non meno sanguinoso di quella di altre nazioni.
L’impero coloniale tedesco non si potrebbe neppure paragonare con quello britannico o con i possedimenti francesi, ma nel momento della sua massima estensione, appena prima della Prima guerra mondiale, era pur sempre sei volte più grande della “madrepatria”. Si estendeva dall’Oceania attraverso la Cina fino all’Africa orientale e meridionale, dove negli anni 1880 ebbe inizio la lotta tedesca per “Un posto al sole”.
“Il territorio che avevo in mente si trova fra il grande e il piccolo fiume, quindi fra i 26 e i 29 gradi di latitudine sud”, scrive il commerciante di tabacco di Brema Adolf Lüderitz il 23 novembre 1882 all’Alto ministero imperiale degli Affari Esteri. La regione “per alcune miglia dalla costa verso l’interno è sabbiosa e sterile, fino alla catena di colline che corrono alla distanza di circa dieci miglia inglesi parallelamente alla costa”. Dietro ad esse comincia il territorio fertile.
“I proprietari di quest’ultimo sono i Namaqua, dai cui capi tribù comprerò il diritto di proprietà”, prosegue Lüderitz. Il suo piano: “importare merce sotto etichetta tedesca" e scambiarla con prodotti locali”. Per poter aggirare le alte imposte doganali, che dovrebbe pagare in un porto controllato dai britannici, ha bisogno della protezione del Reich. Inoltre, come avrebbe sentito dire, nel paese dei Namaqua ci sarebbero montagne ricche di rame e argento.
Il regno coloniale tedesco cresce ad Impero
Nel 1883 il suo delegato Heirich Vogelsang conclude con il capo dei Nama Josef Frederiks un contratto che attribuisce a Lüderitz l’insenatura di Angra Pequena, l’odierna baia di Lüderitz. In agosto segue un nuovo contratto. In complesso il commerciante di Brema entra in possesso di un territorio di 580.000 kmq, sul quale vivono circa 200.000 persone – il primo passo sulla via di un Impero coloniale tedesco. Generazioni prima di Lüderitz ne avevano già fantasticato. Così il filosofo Johann Gottlieb Fichte all’inizio del XIX secolo esigeva che i tedeschi dovessero assumersi il “governo mondiale” prima che “turchi, negri e tribù nordamericane” li travolgessero. Sotto l’impressione della crisi agricola del 1840 si fondarono le prime associazioni per le colonie. Alcuni vedevano nelle future colonie “i migliori istituti per il lavoro dei poveri e per il sostentamento di tutti gli Stati europei”.
Altri desideravano che le colonie, seguendo l’esempio inglese, promuovessero il commercio e l’economia. Si aggiunse poi anche la preoccupazione per il destino dei migranti tedeschi: presto sorse l’idea di procurarsi terra in America centrale e meridionale per gli emigrati che vi vivevano. Si discusse anche di una colonia in Texas. Nel frattempo – finché la Germania era frammentata in molti staterelli – valevano le parole di Heinrich Heines: “Ai francesi e ai russi appartiene la terra / il mare è proprietà dei britannici. / Noi abbiamo possedimenti nel regno aereo del sogno / un dominio incontestato”. La fondazione del Reich nel 1871 crea la base, con l’unità nazionale, per trasformare i sogni colonialistici in realtà. Anche la lobby coloniale cresce. Pure la soluzione di Bismarck – senza l’Austria – non basta ancora. Numerosi nazionalisti deplorano l’evidente discrepanza fra l’effettiva posizione della Germania e la sua “posizione mondiale”. Alimentata dalle voglie di essere grande potenza arriva frale altre l’idea di espandere il Reich oltre i suoi confini orientali, più tardi a molti il sofferente Impero ottomano appare come una preda attraente (nel 1903 ha inizio la costruzione di una linea ferroviaria che dovrebbe arrivare fino a Bagdad). L’alternativa, davanti alla quale molti agitatori nazionalisti vedono la Germania, suona come “Potenza mondiale o decadenza”.
Al fondatore del Reich e cancelliere Otto von Bismarck una simile retorica rimane a lungo estranea. Ai suoi occhi il Reich è “adempiuto” e non ha bisogno di alcuna espansione, né in Europa né oltremare. I lobbisti della colonizzazione protestano energicamente. Il renano Friedrich Fabri, ispettore delle Missioni, nel 1879 cerca di confutare l’argomento di Bismarck dell’”adempimento” con il suo scritto La Germania necessita di colonie?, richiamando l’attenzione sulla rapida crescita della popolazione. Che in Germania è effettivamente maggiore che in tutti gli altri Stati europei: dal 1871 fino al 1900 il numero degli abitanti sale da 41 a 56 milioni; nel 1879 Fabri già pronostica che sarebbero diventati da 65 a 80 milioni. “L’organizzazione di una forte emigrazione tedesca”, scrive, “è diventata una condizione vitale per l’Impero tedesco”. Ma dove? L’India è in mano agli inglesi. Anche l’America latina è “assegnata”. Di conseguenza suscita interesse soprattutto il continente africano, ancora inesplorato. Il 27 aprile 1884 Bismarck pone l’Africa Tedesca del Sudovest, l’odierna Namibia, acquisita da Adolf Lüderitz, sotto il “Protettorato dell’Impero tedesco” come primo territorio oltremare, evitando il termine di “colonia”. I “protettorati” tedeschi, come ora si chiamano ufficialmente, non devono diventare colonie amministrate dallo Stato; sono i commercianti stessi che devono governarli. In questo modo il Cancelliere vuole guidare la gara per i possedimenti coloniali sulla sicura traccia della sua politica europea di equilibrio. Alla lunga ciò non riuscirà.
L’Impero coloniale tedesco cresce rapidamente. Nel 1885 Bismarck garantisce la “Protezione” al Territorio del Togo (dal 1905 chiamato Togo, che comprende l’odierno Togo e la parte orientale del Ghana). Nello stesso anno diventano tedeschi il Camerun (corrispondente all’odierno Camerun insieme ad alcuni territori della Nigeria, del Ciad e di altri stati circostanti) e l’Africa orientale (consistente negli attuali Stati della Tanzania, del Burundi e del Ruanda). Contemporaneamente l’impero del Kaiser si allarga verso l’Oceania: negli anni 1884/1885 diventa colonia la Nuova Guinea. Nel 1890 seguono le Samoa, le Caroline, le Marianne, Palau e altre piccole isole del Pacifico. Nel 1909 si aggiungono le isole Marshall. Sul volgere del secolo una buona parte dei mari del Sud è controllata da funzionari coloniali tedeschi [v. zeit.de, articolo apparso su Die Zeit col titolo “I crudeli predatori che eravamo”].parallelamente, nel 1898, ebbe inizio l’impegno coloniale in Cina: la provincia di Kiao-Ciao da quell’anno in poi fece parte dei territori presi in affitto dai tedeschi; nella città portuale di Tsingtao si produce ancor oggi l’omonima birra secondo le norme del cosiddetto Decreto purezza del 1516 [prescrizioni tecniche per i birrai promulgato da Guglielmo IV di Baviera]. Kiao-Ciao doveva aprire la porta verso la Cina. Infine nel 1911 la Francia cedette alla Germania il Nuovo Camerun (un territorio a sud e ad ovest della colonia del Camerun) – l’ultima acquisizione coloniale del Kaiser.
Poco prima della Prima guerra mondiale molti milioni di africani, cinesi e abitanti di isole del Pacifico si trovavano sotto il dominio tedesco. E come in altre parti del mondo britannici, belgi, francesi e americani, ora anche i tedeschi mettono alla prova nelle loro colonie le idee di razza e spazio, delle quali si discuteva in Europa.
Problemi del colonialismo: dagli affari alla guerra
In questo sta la premessa di ogni commercio coloniale, come ha descritto lo storico Wolfgang Rheinhard. L’idea di colonia implica sempre la superiorità dei dominatori coloniali, legittimata dalla scienza naturale moderna, la quale non riconosce più negli “Altri”, esotici e “selvaggi”, alcuna variante equivalente della creazione divina, bensì soltanto un livello inferiore di evoluzione. Secondo la dottrina del darwinismo sociale nel XIX secolo, davanti alla Storia si può anche fallire: nella lotta per la ripartizione delle colonie s’imporrà il migliore – a spese della popolazione locale, che ormai ha già perso la competizione. Con quanta ovvietà si mette in atto la presa in possesso coloniale è illustrato per esempio dalle mosse da conquistador di Carl Peters, ispirato dalla dottrina pangermanistica: su incarico della Società per la colonizzazione tedesca negli anni 1880 si getta attraverso l’Africa orientale e in poche settimane conclude una serie di inattendibili contratti, con i quali riesce a farsi dare dai capi di diverse tribù diecine di migliaia di chilometri quadrati.
Come andarono le cose si può leggere nelle sue Opere raccolte: “Furono issate le bandiere, il contratto nella sua versione tedesca venne letto dal dott. Jühlke, io tenni un breve discorso, col quale attuai la presa di possesso in quanto tale che finì con un “Lunga vita” per Sua Maestà il Kaiser, e tre salve […] dimostrarono ai neri […] quello che dovevano aspettarsi in caso di inosservanza del contratto. Non ci si può facilmente immaginare che impressione abbia fatto sui negri l’intera procedura. All’hurrà per il Kaiser presero parte cantando e saltando; quando furono sparate le salve indietreggiarono timidamente”. Il 27 febbraio1885 Peters ha in mano una lettera di conferimento di protettorato da parte del governo imperiale tedesco. Tuttavia le difficoltà cominciano già da subito. Il territorio è impraticabile. Molto presto i padroni coloniali si trovano immersi in problemi che non sono in grado di risolvere senza aiuti dalla Germania. L’idea di Bismarck, di un regime in mano ai commercianti, naufraga anche in tutte le altre colonie. A poco a poco si nominano governatori, ognuno dei quali ha sotto di sé funzionari civili o militari, il cui compito è imporre il predominio dei bianchi “nella savana”.
La popolazione indigena in tale situazione appare, a scelta, come nient’altro che un “ostacolo naturale” o un serbatoio di forza lavoro da sfruttare a piacere. Essa è schiavizzata, esiliata, la sua base vitale per la sussistenza depredata. Nell’Africa orientale tedesca nei campi coltivati a cotone regna il lavoro forzato. Anche in Camerun i tedeschi espropriano il popolo e lo sfruttano con il lavoro [mal] pagato. I “selvaggi” diventano proletari nullatenenti – non sempre senza resistenza: “I negri del Camerun [sono] i più sfacciati e insolenti negri di tutta la costa”, annota un visitatore tedesco nel suo taccuino e prosegue: “Non riesco a comprendere come i bianchi abbiano potuto educare i negri tanto malamente”. Molti funzionari coloniali si compiacciono di una magnificenza tardo-feudale, fenomeno storicamente scomparso da molto tempo in Europa . In qualche località questo comportamento porta ad un sanguinoso dispotismo. Carl Peters si trova immediatamente, come figura simbolica della lobby coloniale tedesca, al centro di uno scandalo ripugnante: ha impiccato la sua amante nera insieme al suo presunto amante.
Di gran lunga non si tratta dell’unico scandalo nei “Protettorati”. E non resta neppure una violazione da parte di singoli. Si manifesta sistematicamente nei mari del Sud, in Cina e in Africa orientale tedesca la violenza latente che sempre fu inerente al colonialismo: ciò che era cominciato con i progetti commerciali sfocia nella guerra, che in Cina si condusse contro la società segreta dei boxer, che avevano sferrato attacchi contro i signori coloniali. Nel 1900 le potenze coloniali bianche eseguirono una “azione punitiva” comune, alla quale presero parte anche truppe tedesche. In Africa orientale tedesca i soldati tedeschi uccisero fra il 1905 e il 1907 molte decine di migliaia di insorti. Sulle isole Caroline, dopo la sconfitta dei movimenti di resistenza locali, per la prima volta fu deportato un intero popolo. Ma nessuna guerra coloniale tedesca si stabilirà così fermamente nella memoria collettiva come quella contri gli Herero e i Nama in Africa Tedesca del Sudovest.
1904: la decisiva battaglia presso Waterberg
Lo scoppio della guerra, il 12 gennaio1904, per i coloni bianchi arrivò come un fulmine a ciel sereno: gruppi armati di Herero assalirono quel giorno e in quelli seguenti numerose fattorie tedesche: furono uccisi all’incirca 100 tedeschi, sporadicamente anche donne e bambini. L’antefatto di questa violenta insurrezione risale però a molto tempo addietro – ai tempi di Adolf Lüderitz – e comincia con una bancarotta. Il pioniere coloniale di Brema già nel 1885 deve rivendere la terra appena presa in possesso. I costi di sfruttamento del territorio hanno superato le possibilità finanziarie di Lüderitz, che non aveva trovato ricchezze nel sottosuolo – solamente una ventina d’anni dopo un impiegato tedesco delle ferrovie setacciando nella sabbia troverà i primi diamanti. Dal 1885 nuovo proprietario dell’Africa Tedesca del Sudovest è la Società coloniale tedesca. In quello stesso anno arriva il primo Governatore inviato dal Reich: Heinrich Göring, il padre di Hermann Göring. Insieme a soltanto due funzionari deve amministrare un territorio più vasto della Germania. Il compito non può essere adempiuto. Nella sua situazione di difficoltà Göring tenta di strumentalizzare i conflitti esistenti fra gli indigeni. Mediante ciò egli spera di poter consolidare il potere tedesco anche senza alcuna reale base di autorità. Una strategia che i suoi successori proseguiranno – e che s’incentra sulla reciprocità: anche i capi di Nama ed Herero usano la controparte per i loro scopi.
Nel caso Göring i tedeschi restano con un pugno di mosche. Nel 1888 il governatore e i suoi due collaboratori devono fuggire nell’inglese Walvis Bay davanti agli Herero imbufaliti. Una faccenda veramente incresciosa. Per non perdere la faccia davanti all’opinione pubblica mondiale Bismarck manda nella impopolare colonia altre truppe di rinforzo, ma d’altra parte l’anno successivo non riesce ad imporre la pace militarmente – finché nel 1893 Theodor Leutwein assume il comando nel “Protettorato”. Più abile dei suoi predecessori egli intende spostare i rapporti di forza a favore dei tedeschi mediante accordi con Herero e Nama. Tuttavia si prepara la prossima crisi: nel 1987 la peste bovina funesta il Paese. Gli animali – elementi vitali per gli Herero – muoiono a migliaia. Per di più la politica di insediamenti dei tedeschi, sempre più aggressiva, aumenta le tensioni fra bianchi e africani. A causa delle vendite di terreni e del commercio prevaricatore, che Leutwein ha promosso per approfittare di un conflitto per la successione all’interno della dirigenza delle tribù, fra gli Herero sale il malumore. Essi patiscono la fame e si sentono umiliati dal comportamento dispotico di molti coloni bianchi. Nel gennaio 1904 la situazione si inasprisce. Ciò che accade in seguito assomiglia al disastro di Göring del 1888: Leutwein è sopraffatto dal carico di lavoro. I generali a Berlino si trovano nella necessità di prendere la situazione nelle loro mani. Con Lothar von Trotha mandano in Africa Tedesca del Sudovest un uomo fanatico della “linea dura razziale”, come scrive la storica Birthe Kundrus, che già dalla nave emana l’ordine di fucilare sul posto tutti i ribelli herero.
Numerosi coloni bianchi esprimono inoltre la loro scontentezza per il comportamento di Leutwein, che ritengono troppo indeciso ed esigono, come comunica un missionario dalla colonia, che finalmente si “esilii, impicchi, abbatta a fucilate fino all’ultimo uomo”. In seguito a ciò Leutwein ammonisce dicendo che un popolo di circa 70.000 unità non si lascia “annientare così facilmente”. La sua idea resta in sospeso. Il tenente generale von Trotha lo sostituisce di fatto – un uomo che non conosce né il territorio né la gente, che arriva con l’opinione che gli africani cedano soltanto alla violenza, una violenza che egli pensa di esercitare, secondo le sue dichiarazioni, con terrorismo estremo e perfino con crudeltà. Devono scorrere “fiumi di sangue”.
L’11 agosto 1904 si giunge alla battaglia decisiva presso Waterberg, 250 km a nord di Windhoek. Ed effettivamente scorrono il sangue a fiumi. Le truppe coloniali tedesche vincono, ma a una parte degli herero riesce la fuga, con donne, bambini e mandrie di bestiame, verso oriente, dove comincia l’Omaheke, un arido territorio desertico. La guerra di sterminio segue il suo corso. Il 2 ottobre viene diffuso il famigerato editto di von Trotha al popolo herero: “Gli Herero”, vi si dice, “non sono più sudditi tedeschi. Hanno ucciso e rubato, hanno tagliato orecchie e nasi e altre parti del corpo ai soldati feriti”.
Per questo il popolo herero deve abbandonare il Paese. “All’interno dei confini germanici ogni Herero, con o senza armi, con o senza bestiame, è fucilato, non accolgo più né donne né bambini, li rimando con il loro popolo o li faccio fucilare” – “Sparare a donne e bambini”, aggiunge, deve essere inteso nel senso “che si spara loro per costringerli ad andarsene”. La morte nel deserto per essi è comunque certa. Due mesi dopo arriva un telegramma di von Bülow. L’ordine di sterminio di Trotha è annullato per disposizione di Berlino. I “resti del popolo herero” sono internati in campi di concentramento.
Il 27 gennaio 1908, un anno appena dopo la fine ufficiale della guerra stabilita il 32 marzo 1907, quando gli ultimi campi di concentramento sono chiusi, circa 60.000 Herero sono morti, dal 75 all’80 percento dell’intero popolo. I Nama, coinvolti nella lotta dall’ottobre, lamentano 10.000 morti. Con i suoi 1.400 morti il bilancio delle vittime tedesche appare molto più ridotto. L’azione di sterminio di massa è costata 585 milioni di marchi. Il dibattito su ulteriori crediti per le colonie porta allo scioglimento del parlamento (Reichstag). Vi sono nuove elezioni, nelle quali con il SPD (Partito socialdemocratico di Germania) e il centro cattolico i critici della politica coloniale tedesca vengono amaramente sconfitti.
Il periodo coloniale e l’olocausto: le similitudini rimangono
Il 1907 diventa quindi l’anno di svolta della storia coloniale tedesca. Si crea un Segretariato di Stato per le colonie sotto la direzione di Wilhelm Dernburg. Nell’Africa Tedesca del Sudovest inizia la “valorizzazione” mirata della colonia. L’intero territorio è ora saldamente in mano tedesca. I “selvaggi” superstiti devono essere formati come bravi sudditi, ogni Nama, ogni Herero deve portare con sé un libretto di servizio e un passaporto. Già nel 1906 erano stati vietati i “matrimoni misti”. Il “Protettorato” dell’Africa Tedesca del Sudovest è uno Stato razzista di apartheid ed esiste fino al 1915. Poi gli inglesi invadono la colonia – la Prima guerra mondiale si estende anche in Africa. Alla fine nel 1918 con l’Impero germanico tramonta definitivamente anche l’impero coloniale. Esso ha arricchito alcuni imprenditori e impoverito un poco lo Stato. È costato la vita a decine di migliaia di persone e ad alcuni, pochi, ha concesso una breve ubriacatura di potere e grandezza. Se anche le origini del dominio nazionalsocialista debbano essere ricercate nelle burocrazie razziste delle amministrazioni coloniali ha posto la questione già da decenni la filosofa Hannah Arendt. Lo storico Jürgen Zimmerer negli anni trascorsi ha nuovamente ripreso la domanda e risposto con un “sì”: la teoria dello spazio vitale e della razza si radica profondamente nelle esperienze di violenza delle colonie. Il colonialismo ha prodotto una cultura della depredazione e dell’annientamento. Dalle uccisioni di massa fino al voluto abbandono [senza risorse] nei campi di concentramento si possono trovare numerosi paralleli che dimostrano come il crimine nell’Africa Tedesca del Sudovest sia uno “stadio coloniale preliminare all’Olocausto: “Vi è un cammino che congiunge Windhoek o il Waterberg ad Auschwitz”.
In particolare dopo il 1907 il massacro coloniale non fu in alcun modo coperto da un silenzio pieno di vergogna. Esso fu, del tutto al contrario, lo sfondo preferito di numerosi romanzi popolari, fra i quali il libro per ragazzi più di successo nella prima metà del secolo (XIX): si tratta di Peter Moors parte per il Sudovest, sempre ripetutamente ristampato fino al 1945. No, controbattono i critici della tesi di Zimmerer, spiegare la guerra di sterminio e l’Olocausto con la storia coloniale tedesca è troppo limitativo. Annientare interi gruppi di popolazioni non è stata in fondo una genuina idea tedesca, che è stata messa in atto, con tremenda ricchezza di particolari, già prima del 1904. Ci sono le atrocità perpetrate dai belgi in Congo, descritte da Joseph Conrad nel suo romanzo Cuore di tenebra. Vi è dal 1898 al 1902 la brutale conquista e colonizzazione delle Filippine da parte degli americani. Dal 1830 in poi imperversa la guerra di conquista francese in Algeria.
Anche allora i generali esortavano all’annientamento dell’avversario. Il 1904, secondo Birthe Kundrus, Stephan Malinowski e altri, non fu la “violazione del tabù”, come Zimmerer rappresenta l’assassinio di Herero e Nama. Inoltre gli Stati con la violenta storia coloniale più lunga e più sanguinosa – Francia e Inghilterra – dopo il 1918 non commisero più alcun crimine di massa. La atrocità nei “Protettorati” dell’Impero germanico non si adattano per nulla a chiarire perché il terrorismo senza pari degli anni dal 1933 al 1945 provenga esclusivamente dalla Germania.
Ma infine dire che una via porta da Waterberg ad Auschwitz non significa che essa deve essere stata l’unica. E che ci sia stato un “archivio” europeo di violente esperienze genocidarie non esclude che i crimini tedeschi nelle loro colonie non abbiano trovato la loro corrispondenza e prosecuzione nella politica di annientamento dei nazisti. Certamente le differenze fra i due crimini non possono essere negate: nel 1904 vi erano alcune migliaia di criminali, negli anni dopo il 1939 milioni. Ridurrebbe poi inadeguatamente chi nel divieto dei matrimoni misti del 1906 vorrebbe vedere l’anticipazione delle Leggi di Norimberga del 1935. Aver rammentato queste e altre diversità è affare dei critici. Tuttavia le somiglianze non si lasciano per questo mettere in dubbio. Razza e spazio, sottosviluppo e il contrario, purezza del sangue e predisposizione all’assassinio di massa – gli ingredienti della visione del mondo [Weltanschauung] germanica sono tutti già presenti intorno al 1900.
E così come la parola “campo di concentramento” nel telegramma di von Bülow del dicembre 1904 ha l’effetto di una anticipazione dei futuri orrori, qualche lettera dal fronte di soldati della Seconda guerra mondiale suscita ricordi dei tempi delle colonie. “Per quanto l’avanzata sia grande […], in complesso la Russia è una grande delusione per il singolo”, scrive a casa un giovane soldato poche settimane dopo l’attacco all’Unione sovietica nel giugno 1941. “Niente cultura, niente di paradisiaco” ha potuto scoprire nei territori conquistati – “un livello minimo, una merda, una collettività che ci mostrano che qui starà il nostro grande compito di colonizzazione”.



Lunedì 21 Ottobre,2019 Ore: 18:49
 
 
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