- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (202) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Pasqua 2020,di Gian Paolo Pezzi

Pasqua 2020

di Gian Paolo Pezzi

Carissim@,
l a Pasqua di quest'anno arriva in un tempo "tragico" secondo i parametri humani, un 'kairos' -tempo di misericordia in una visione di fede, come invito per tutti a ripensare la vita e la società. Il 'tempo del virus' è per ognuno e per la società 'tempo di riconciliazione' che può divenire percorso di risurrezione.
Questa riflessione nata per questa lettera pasquale è poi diventata un articolo publicato nella Newsletter e quindi nel mio blog. Puoi quindi averla già letta, è comunque il mio augurio perché questa Pasqua 2020 sia davvero un "passaggio del Mar rosso", un passare da una schiavitù a una libertà raggiunta grazie alla riconciliazione.
Racconta il libro delle favole, che un giorno lo scoiattolo s'incontrò con la peste - potrebbe essere il coronavirus - e le chiese: "Dove stai andando?". "A uccidere 500 persone", rispose la peste. Dopo un tempo si rincontra e lo scoiattolo rimprovera la peste: "Bugiarda come sempre! Ne hai ucciso 5.000 non 500!". "Sarò cattiva, ma non bugiarda", ribatte la peste. "Io ne ho ucciso 500, è la paura che ha ucciso gli altri 4.500!".
Lo dice anche San Paolo, Cristo ci ha liberati non dalla morte, ma dalla paura della morte! E per questo oggi più che mai celebrare la speranza, la fiducia, la sicurezza del bene che sta all'orizzonte è essenziale. Però, anche da un semplice sguardo è chiaro che l'angoscioso desiderio di un abbraccio non può essere vero se non sottintende un cuore aperto alla riconciliazione: abbraccio di pace che celebra la riconciliazione con un passato sbagliato, un presente difficile, un futuro incerto. Un abbraccio che porta pace a cuori divisi dall'odio e dalla rivalsa, dal male fatto e ricevuto, da gesti inopportuni e scelte sbagliate, da sentimenti ambigui e reazioni incontrollate.
Nel clima pasquale che irrompe con la primavera, fa breccia, scuote il torpore e la tristezza di una pandemia, si fa' strada un ricordo che ha sapore di pane quotidiano, condiviso senza saperlo però poi gustato insieme nella gioia. Un segno di speranza e di sfida perchè l'abbraccio tanto desiderato non sia pura emozione, ma sia colmo di riconciliazione.
Tutto inizia un pomeriggio, in una chiesa di cui non serve ricordare il nome, in un passato ormai lontano. Mi hanno chiamato a confessare alcuni marmocchi che, mi dice la catechista con gli occhi splendenti di gioia, "Ho preparato proprio bene". Quando mi avvicina un’ultima bambina zoppicante, mi sussurra: “Ha problemi di ritardo mentale, parla male, é quasi sorda, non stare a farle domande”. La bambina se la cava bene, invece. Alla catechista che si riavvicina per riaccompagnarla al suo posto, d’istinto chiedo, “E tu non ti confessi”, “Non posso”, mi risponde con un tono scortese. Avrà 18 anni, una ragazza a me conosciuta. Per riparare quella che, a quanto pare è una papera, le dico gentilmente: “Non importa, facciamo una preghiera inseme; i tuoi bambini di catechismo ne saranno contenti”.
Di cattiva voglia s’inginocchia, le metto le mani sulla testa, invoco lo Spirito Santo e inizio: “Padre nostro...”. Mi segue a voce bassa. Arriviamo alle parole “Rimetti a noi i nostri debiti”. Si agita, e quando inizio “come noi li rimettiamo”, sibila un “Mai!”, scatta in piedi, scuote via la testa dalle mie mani e se ne va furente.
La chiesa è un spazio ampio d’assemblea liturgica; sembra mi avvolga in un abbraccio; è fresca nonostante il clima torrido dell'epoca. Nel tardo pomeriggio offre una penombra che invita alla riflessione. Mi immergo in strani pensieri. Ho conosciuto un caso d’indemoniata? E’ l’interrogativo che mi pongo per quanto successo. Non mi sembra il caso, però.
E’ ormai notte. Sto spegnendo le luci quando suona il campanello. Al chiaro di luna, riconosco il volto della catechista. “A quest’ora?”. “Solo un minuto, non posso andare a dormire senza spiegarti”. Un po’ a malincuore le apro. E' sconvolta mentre fa' un breve racconto.
"Eravamo una famiglia povera ma felice; quando avevo cinque anni papà, a cui ero molto affezionata, se n’é andato da casa per un’altra donna. Ci ha abbandonati, con mia sorella e la mamma, nella più assoluta miseria. La mia infanzia é stata sofferenza e umiliazioni. Mi brucia la delusione dell’affetto che mi è stato rubato. Mai perdonerò! Se Dio vuole perdonarlo che lo faccia, ma io mai dirò quelle parole”. Si alzò e se ne andò.
Passarono cinque anni. Ogni tanto mi chiedevo se si fosse dimenticata di avermi confidato quel triste segreto che ritornava davanti ai miei occhi ogni volta che l'incontravo. Poi una mattina quando cominciava ad albeggiare, sono svegliato dal latrare furioso del cane di guardia. Dalla finestra scorgo un’ombra terrorizzata appollaiata sul cofano della macchina parcheggiata davanti alla porta. Scendo in fretta, afferro la mano che l’ombra mi tende e la strappo all’ultimo tentativo di azzannarla del cane.
“Santo cielo, che ci fai qui a quest’ora? Datti una calmata. Se non ti agiti, i cani di guardia, non fanno nulla”. E' la stessa catechista di cinque anni fa'. “Vengo dall’ospedale - inizia a parlare con tono agitato ma con uo sguardo pieno di luce-. E’ successa una cosa meravigliosa! Non potevo tornare a casa senza raccontartela”. E' in preda all'euforia e continua senza darmi tempo di reagire. “Tre giorni fa ho saputo che mio padre era ricoverato, grave, in ospedale. Che me ne importa, mi sono detta. Ieri pomeriggio sono venuti a dirmi, Tuo padre sta morendo e vuole vederti. Nessuno deve sapere del mio odio, mi dissi. Devo andare e andai all’ospedale".
 “Entravo nella sua corsia, quando all'improvviso quel pomeriggio, quel Padre nostro di anni fa è rimbalzato nella mia mente. Qualcosa dentro di me é andato in frantumi, é stato come trangugiare finalmente un boccone amaro che da troppo tempo mi serrava la gola. Mi avvicinai a quell’anziano ormai distrutto, lo abbracciai e spontaneamente mi sgorgò dalle labbra la parola per anni rinnegata: Papà. Si mise a piangere, mi chiese perdono, piansi con lui, lo perdonai di tutto cuore, pregammo insieme e spirò fra le mie braccia".
“Mi dissero che dovevo andarmene, avvisare la famiglia, pensare ai funerali. Ma prima dovevo venire a raccontarti quanto é successo e condividere questa gioia grande, questa pace finalmente ritrovata”. Era la Pasqua!
San Agostino, mi pare, dice che il Padre nostro è la misura della vera preghiera cristiana. Sempre ho pensato che fosse qualcosa di più: quel giorno ho capito che il Padre Nostro è anche il tracciato di ritorno alla pace, a un ritrovarsi in un abbraccio tanto desiderato, ad una comunione attesa dopo un lungo digiuno. Attendere la fine del coronavirus, quest'anno, è celebrare la speranza. E' lasciarci inondare della speranza di una nuova Pasqua di Risurrezione.
Gian Paolo Pezzi,mccj Newark, 26 marzo 2020



Venerdì 03 Aprile,2020 Ore: 22:25
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Primopiano

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info