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www.ildialogo.org Preti sposati di rito latino, una realtà da molto tempo,di Dumar Iván Espinosa Molina

Preti sposati di rito latino, una realtà da molto tempo

di Dumar Iván Espinosa Molina

L’esortazione apostolica postsinodale “Cara Amazzonia” ha suscitato grande interesse mediatico a causa delle novità nella disciplina dei sacramenti proposte dal Sinodo dei vescovi nell’ottobre 2019. Teologi latinoamericani si sono affrettati ad annunciare che papa Francesco avrebbe fatto proprie le novità sollevate dai vescovi nel documento conclusivo. Alla fine il papa ha intenzionalmente omesso di riferirsi alle questioni controverse, nonostante le maggioranze raggiunte nell’aula.
Nonostante il silenzio intenzionale di papa Francesco, apprezzati teologi ora annunciano che si tratta di una nuova ermeneutica nel Magistero, secondo la quale le Chiese locali d’ora in poi avranno un peso decisionale maggiore e Roma non sarà l’unica e decisiva parola, come è successo nella millenaria tradizione del rito latino. Il tempo dirà se questa volta hanno ragione.
Ad ogni modo, sebbene l’ordinazione dei "viri probati" per l’Amazzonia per il momento sia rimasta “aperta” e nei sogni di una vittoria di Pirro dei padri sinodali, da tempo i preti sposati di rito latino sono una realtà.
In effetti, la dispensa dal celibato presbiterale è concessa come una straordinaria “grazia” dal Romano Pontefice nel Codice di Diritto Canonico, che nel canone 290 scrive: “una volta validamente ricevuta l’ordinazione sacra, non diviene mai nulla”, sebbene il presbitero dispensato perda lo stato clericale con i suoi privilegi e obblighi.
La continuità della validità dell’ordinazione presbiterale è riconosciuta dal Codice in seguito nel canone 976: “Ogni prete, anche se privo della facoltà di ricevere le confessioni, assolve validamente e lecitamente tutti i penitenti che si trovano in pericolo di morte, da qualsiasi censura e peccato, anche qualora sia presente un prete approvato”.
Il Codice nel canone 293 menziona anche la possibilità del ritorno allo stato clericale di coloro che sono dispensati per mezzo di un rescritto della Sede Apostolica. Pertanto, nell’attuale normativa della Chiesa i preti dispensati possono essere considerati, esaminando caso per caso, una riserva più accessibile di ministri dell’Eucaristia rispetto alla possibilità futura di ordinare i “viri probati”.
Canonicamente la possibilità esiste, anche se in pratica coloro che si sono ritirati dal ministero sono trattati in alcuni ambienti ecclesiastici come i “lapsi” dei primi secoli, che abiurarono alla loro fede a seguito della pressione delle autorità romane ed erano rifiutati dalle comunità cristiane. Sarebbe necessario distinguere qui tra il rifiuto manifesto della fede dalla possibilità umana di formare una famiglia benedetta da Dio nel matrimonio (Gen 2, 18-23).
Questo è il caso dei preti dispensati e sposati di rito latino, in piena comunione con la Chiesa; ammessi per grazia di Dio ai sacramenti attraverso il ministero petrino. Una realtà che esiste già e che non dipende da un sinodo, ma della quale nessuno parla. Una riserva presente in tutto il mondo, che la Chiesa potrebbe utilizzare non solo congiunturalmente in Amazzonia, ma in tutte le giungle di cemento che attendono ansiose una nuova evangelizzazione e i sacramenti.
La riammissione al ministero dei preti dispensati e sposati potrebbe essere effettuata a discrezione dei vescovi e con il permesso della sede apostolica, verificando caso per caso, come riconoscimento della doppia vocazione al matrimonio e al ministero presbiterale nei fedeli della Chiesa che hanno già entrambi i sacramenti.
Ogni caso dovrebbe essere considerato, perché le condizioni di uscita dal ministero sono particolari. Alcuni sono usciti risentiti e hanno finito per abiurare come i “lapsi” della fede cattolica, aderendo ad altre confessioni religiose più per necessità lavorativa che per convinzione interiore. Altri hanno “bruciato le navi” e considerano il loro passaggio attraverso il ministero presbiterale come un “racconto già superato da altri racconti”. Ci sono anche quelli che ritengono che interessi loro “solo la spiritualità, non le religioni”, ecc.
In ogni caso, varrebbe la pena che la Chiesa universale e le chiese locali nella ”nuova ermeneutica” riesaminino a fondo la questione. Preti sposati assegnati a parrocchie o comunità in un laboratorio precedente alla possibilità di ordinare “viri probati”.
Pertanto, per il momento non si dovrebbero ordinare presbiteri i diaconi permanenti, ai quali la Chiesa riconosce la singolarità del loro ministero, né modificare la norma del celibato presbiterale per la maggior parte del clero che continua ad essere fonte feconda di grazia nella Chiesa di Cristo all’interno della diversità dei ministeri.
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Articolo pubblicato il 07.03.2020 nel portale Religión Digital (www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI



Mercoledì 11 Marzo,2020 Ore: 22:30
 
 
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