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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org LAMENTO E VERSI,di Sebastiano Saglimbeni

LAMENTO E VERSI

di Sebastiano Saglimbeni

AVVERTENZA
Questa breve silloge di versi e di traduzioni è stata scritta dall’ agosto 2017 alla fine di gennaio 2018. Prende titolo dal testo “Lamento e versi”.
Per le traduzioni dei versi del De rerum natura di Lucrezio, di cui ho già tradotto e pubblicato brevissimi tratti dei sei libri, e degli Amores di Ovidio, mi son proposto una resa letterale e pure, limitatamente, libera.
3
VIRTUALE ORGASMO
Di una infinità di anime esprimo,
tenera in maggioranza come tempo,
che un virtuale orgasmo si ritaglia
da quel coso costoso manovrato.
Diversamente di proprie illusioni
o di sapienza non si impinguerebbe.
4
SI CONTORCE LA TERRA
Dal maxischermo di un Caffè a petto
ci trafiggono le truci rivalse
della Terra che forte si contorce
e pare che reclami quel suo stato
di caos, orbato delle umane
bestie, a non finire, ingorde.
5
STORPI MENTALI
Degli attentati, epidemie e veleni
non meno ripugnanti le bassezze
degli storpi mentali, pure d’aurei
casati provenienti; ad eccelsi
s’innalzano se lanciano le pietre.
6
UMILE, ECCELSO SACERDOTE
Umile, eccelso Sacerdote, assodate
le tue parole: “uno scandalo salvare
le banche..”, mentre per l’estesa,
infida pianura acquea, un esodo
ennesimo di fuggitivi crepa.
Tu, in ore omnium,
lindo, dirompente ti esprimi, tenti
una bonifica dell’antica cloaca.
7
IL DOLCE GUSTO DEL SEME
Fu dopo la quiete di una consueta
strage del disumano al disumano,
il millenovecento diciassette….
Deambulava con la protasi agli arti
inferiori mutili. Abbellito sortiva
per camuffare la bellica offesa.
Sapeva appena leggere e scrivere,
una dote strappata e raccattata
nel suo paese arcaico o mentre
soldatino di leva al macello.
Lei, che accettò di volerlo
compagno, era illibata campagnola,
s’era impergolata, lungo terre crepate,
sui gelsi dalle more nere, aveva
tagliate messi più vuote che piene.
Ove lo vide sul letto di paglia
senza indumenti, alquanto dimezzato,
disdegnò ad aprirsi, fuggì per la dimora
del padre che burbero le intimò:
“Vai da quell’uomo!”. Ubbidì e s’aprì.
Il gusto poi del seme fu più volte
carne che crebbe per la dura terra.
8
ELOGIO DELLE DEIEZIONI
Perché noi non dobbiamo elogiarle
con versi, senza obbligo di rima?
Che poi, pensa, hanno alimentato
gli alimenti nostri crudi, cotti,
erbe, frutti di genere vario,
legumi ed altro mangereccio.
Laboriose quelle femmine
quando al paese (le case tane,
con qualche orinale arrugginito),
come frutti cascati dalle piante,
in canestri raccattavano quelle
delle bestie, senza escludere
le altre, degli umani. E in campagne,
negli orti, aperti con dei solchi
per le rape da poco affondate
nella terra. Così una rigogliosa
resa, dopo, alimento gustoso,
pure alle mense della gente piena.
Perché, mi par di dire, apostrofare
un ipocrita amico, un governante
mariolo, con quell’antico epiteto?
Allora può valere proferirgli:
“Disgusti come un cibo digerito”.
E non ti pare che tali siamo molti
da maligni ove la bestia abbatte
e abbrutisce.
Ma via, via, queste riflessioni,
germogli di memoria della mia
area nativa di un tempo che poi era
quella della remota Atene, ove
le femmine dagli occhi-finestrelle
gettavano le cose prima dette
nelle bigie stradine.
9
RISPOSTA
Tu mi domandi della mia esistenza,
un quadro di vocali e consonanti,
che mi parve di compierlo da terre
ora tutte lordate di abbandono,
ma verso mezzo maggio una luce
delle ginestre in fiore non crepate
al fuoco dell’anonimo capraio.
E dopo, nell’esilio, ove l’Esperia
si copre il capo con le alte vette.
10
MI ANNULLO
M’impinguo di cartaceo
e lenisco l’acredine, mi annullo
per quel tempo che fu tutto d’ istinto,
ma per nulla servile e infingardo.
11
LAMENTO E VERSI
Leggevano
sul giornale del luogo
l’inconsistente gusto della frutta,
il pallore del pane disgustoso,
e d’altro assai schifoso.
Ad elevare gli animi, vicino,
c’era chi declamava freschi versi,
che aveva scritto Rilke, il poeta
dell’Est inquieto divorato
dal sangue avvelenato.
Ma si attendeva lì, dentro il locale,
dopo “la grande arsura,
il vento sopra la pianura.”
12
IMPREVISTI
Ne accadono dall’oggi al domani
e tu mi chiedi di incontrarci quando
il sole pure all’ombra ci affloscia.
Se non riuscirai
a vedermi, non vale adombrarti
e ritenerti loffio, e se in un luogo
io non mi son piantato, in un altro
mi troverai vessato, in attesa
che tu, greve di cure, apparirai.
ESTATE, ESTATE
Mi dici (e s’era inverno niveo?)
di questa con cicale, che laddove
soggiorni sola sul clivo di ulivi,
insaniscono al Cane incalzante.
Qui nella città del Teatro e dell’Arena
romani ove è rinata nelle notti
la nipponica dama e si è esclusa
sulla scena sento i cari eterni insetti
tra le scaglie dei tigli sotto casa.
Richiamano a stagioni trapassate
vissute in alto alle acque ionie.
Rientrerà settembre o il mese
appresso, un refrigerio; qui io mai
potrò vantare giornate di ozio
quale quello dei figli di caprai
che a Miami si sbucciano l’estate,
ad onta, ad onta di quel paese
dove si tagliuzzava con l’accetta
la picea miseria.
Amica, non dovrai
lacrimare; consegnati all’ombra
degli ulivi, a me nel sogno ormai:
quelli di una chiusa ora deserto.
Assai remote l’infanzia e le aie.
13
INSORGE IL VERSO
Si finge in tribunale ed emette,
giudice crudo, una pesante pena,
un carcere a vita per un tizio.
O, stolido, lo sfregia e, peggio ancora,
auspica ai vili neoplasie maligne,
ma il verso che ritorna fuga il sogno.
14
PER PIER PAOLO PASOLINI
Quell’astinente lussuria diversa
o innaturale, no, non l’appagò,
invece, la parola gli distrusse
in quel sordido scalo di rottami.
Restano, indiscutibili, il mistero
e la certezza ch’egli venne ucciso.
Non poca acqua è corsa sotto i ponti
e d’allora non sanno gli scrivani
se una o più mano avesse agito.
15
DA TITO LUCREZIO CARO
(Dal DE RERUM NATURA, l. III)
UGUALI NELLA MORTE
“ Scipione, fulmine di guerra, incubo di Cartagine,
affidò le ossa alla terra come se fosse un servo
ripugnante. Similmente gli scienziati e gli artisti,
non esclusi coloro che prediligono le Muse,
Omero, fra questi, l’unico, dopo che venne
insignito dello scettro, si allontanò allo stesso
modo degli altri. E ancora: dopo che la tarda
vecchiaia ammonì Democrito che gli deperivano
la memoria e la mente, volle, sua sponte,
incontrare la morte ed affidare il proprio capo.
Lo stesso Epicuro morì, dopo che si completò
con una eccelsa vita, e, per ingegno, si distinse
fra gli umani oscurandoli, come il sole, sorgendo
nell’etere, oscura le stelle. E tu invero indugerai
e proverai sconcerto di morire? Tu, dall’esistenza
quasi morta, mentre vivo e discerni; tu che mangi
nel sonno la gran parte del tempo e da sveglio
russi e non smetti di fantasticare ed hai confusa
la mente da un inconsistente timore e sovente
resti nell’incapacità di conoscere il tuo male
mentre ebbro ti invadono gli affanni, o meschino,
da ogni parte e ti muovi, ti muovi, ondeggiando,
captato da uno oscuro errore dell’animo”.
26
Se gli uomini - si capisce- che sentono di avere
un peso in fondo all’animo che forte li avvilisce,
potessero pure conoscere la causa e perché una
mole di mali duri a loro dentro, non passerebbero
l’esistenza come ora, spesso, li notiamo. Ognuno
non sa quel che vuole, cerca sempre di mutare
luogo, come se potesse deporre le sue angosce.
27
DA PUBLIO OVIDIO NASONE
(Dagli AMORES, l. I, elegia 15)
LA POESIA
Perché, Invidia, che consumi, mi contesti
che i miei anni si sciolgono nell’ ozio e che
è di un vacuo ingegno la poesia che non curo,
come i padri miei, sebbene sia consistente
la mia età e gli allori di guerra polverosi,
non apprendo a mente le verbose leggi
e non prostituisco la mia voce ad un foro
che non mi consola? Quella che mi consigli
è un’ opera vacua, mentre io una perenne
fama agogno e una divulgazione sulla Terra.
Omero, finché esisteranno Tènedo e l’Ida
vivrà, finché il Simoenta le sue impetuose
acque rovescerà nel mare; vivrà Esiodo
finché sui monti l’uva fermenterà, e, fino
a quando la ricurva falce mieterà le spighe,
tutta la gente eleverà Callimaco, seppure
in lui sia superiore l’arte, non l’ingegno.
La sofoclea tragedia giammai sarà datata
e Arato assieme al sole e alla luna esisterà.
Mentre vi saranno il bugiardo servo, il severo
padre, la vile mezzana e la meretrice, esisterà
Menandro. Ennio ordinario in arte, Accio
dagli accenti veementi avranno un nome
che il tempo mai cancellerà. E vi sarà un dì
che ignorerà Varrone e quella prima nave
e il duce esonio del vello d’oro insignito?
28
E la poesia del grande Lucrezio non verrà più
letta quando un solo giorno fatale distruggerà
la Terra. E le egloghe, le georgiche, e le armi
di Enea saranno lette sino a quando al centro
di tutte le Terre conquistate esisterà Roma.
Fino a quando vi saranno le armi di Cupido,
gli ardori e gli archi, si studieranno i tuoi versi,
insigne Tibullo; e Gallo sarà noto in Oriente
ed Occidente e con lui sarà nota la sua Licòride.
Pertanto, mentre le rocce, mentre il dente
dell’aratro resistente perdono con il tempo,
la poesia sfugge alla morte. E zero i re, i loro
trionfi nei confronti del verso, e zero la riva
fertile del Tago dall’onda tutta aurea. Ammiri
la gentaglia ignobili cose, a me il flavo Apollo
i bicchieri mi colmi dell’acqua di Castalia, mi
coroni la chioma con il mirto che ha tema
dell’inverno e così mi apprenda un amante
in pena! L’Invidia, che si alimenta degli umani,
scompare con i morti qualora li elevi un autentico
onore e, per finire, pure quando quel fuoco
supremo mi avrà consumato, esisterò e sarà
superstite di me (poeta) la parte più egregia.
29



Lunedì 28 Ottobre,2019 Ore: 22:23
 
 
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