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www.ildialogo.org MALI E CARTE *,di Sebastiano Saglimbeni

MALI E CARTE *

di Sebastiano Saglimbeni

Il 27 gennaio del 2001 avevo composto un testo che ora fa parte della silloge poetica Suavis domina, edita nel mese di marzo del 2012, ad un mese dei miei ottant’anni. Titolo del testo “L’ineluttabile”, dedicato all’amico Salvo Agnello. Si senta:
 
Quando mi accorsi infine che il corpo
non era come ieri più che vero
ruppi a risate per l’esistere despota
e fu la volta ancora di poesia.
Mi distolse all’istante una storiella
di crudele saggezza: “ C’è il peggio”
disse un amico all’altro
quando scorsero un tizio penzolante
da un ulivo secco…..
Ripresi a poetare preso com’ero
da una pollachiuria assai molesta,
pure da un processo che gravava
espansivo sul mio rene
destro sinistro .
Tu me lo accorderai, Ineluttabile, sicuro,
in cambio, un po’ di tempo. Vorrei laggiù,
in questo nuovo anno, assaporare
laddove sono nato un po’ di aprile.
Assieme a questo, dopo, Suavis Domina
prendimi il corpo, prostralo infine mentre
imbocco una via al paese con quella nota brezza
estrema sul volto che congeda la collina.
 
Qui in questi versi liberi e ritmati, un tono ironico e la descrizione di un male, una neoplasia, che, fattomi allora forte, avevo deriso mentre Invocavo, rivolto alla Ineluttabile (la fine corporale), pure graziosamente chiamata Suavis Domina, una continuità di esistenza per “ assaporare/ laddove sono nato un po’ di aprile” e poi, preso da una “nota brezza” collinare, finire fisiologicamente. Un male che, trascorsi alcuni anni, mi ha trasformato e dotato di quotidiane angosce e previsioni di un vivere, che non è la fine corporale, la bella fine, ma una costante di patimenti.
Carte. Sono quelle con tanto di intestazioni, le periodiche visite e analisi. E il mio corpo da tempo dipende da alcuni reparti ospedalieri e si alimenta di farmaci che non sono more di gelso bianco o ciliege quali quelle che ci sfamavano nell’estate, tanto attesa per il frutto, quando imperversava l’ultima guerra mondiale. Di recente sono pure depresso e non posso lamentarmi in presenza di mia figlia e mia moglie, perché anche loro stanno male. Il mio esistere, il mio esistere despota… Le carte, le carte che contemplano i farmaci o i veleni, che allungano l’esistere e, in cambio, lo tormentano. La depressione, la depressione, il male che martella il cervello e che nel nostro Paese martella circa tre milioni di esseri umani.
Avevo, in verità, accettato come un generico male la neoplasia e qualche altro male come l’ipertrofia prostatica, ma ora che si è aggiunta la brutta bestia della depressione mi sento un vagante (stanno pure per cedere le ossa della schiena e delle gambe) stolido. Ciononostante, non mi sfiora il pensiero di negarmi, desidero solo chiudere gli occhi nel sonno. Debbo dire che non si è spenta del tutto la passione di vergare parole e, pertanto, provo a seminarne, quindi una leggera brezza di elevazione. E mi viene da pensare come avesse fatto a scrivere il poema De rerum natura quel grande scrittore della latinità, Tito Lucrezio Caro, di cui la cronaca di Girolamo dice che, complice un filtro d’amore che una donna gli avrebbe procurato, era diventato pazzo e il poema l’avrebbe scritto nei momenti di lucidità. Di vergare parole, dicevo prima. Ho potuto così, fra l’altro, scrivere in breve sulla bellezza degli Inni sacri di Alessandro Manzoni.
Le carte. Si sono, lungo il corso delle patologie, accumulate e mi chiedo se vanno conservate a futura memoria (faccio dell’ironia) o affidarle al cassonetto del cartaceo. Le carte che contemplano i miei mali…
*Scrittura dedicata a Luigi Motta



Lunedì 28 Gennaio,2019 Ore: 22:13
 
 
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