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www.ildialogo.org VICINO ALLA GENTE E CON DENTRO IL VANGELO, GIANNINO PIANA, DALLA CULTURA LETTERARIA E SOCICOLOGICA ALLA QUESTIONE VISSUTA OGGI, DA ROCCA, 1 GIUGNO 2018,a cura di Carlo Castellini

VICINO ALLA GENTE E CON DENTRO IL VANGELO, GIANNINO PIANA, DALLA CULTURA LETTERARIA E SOCICOLOGICA ALLA QUESTIONE VISSUTA OGGI, DA ROCCA, 1 GIUGNO 2018

a cura di Carlo Castellini

   La figura del prete o del presbitero secondo la dizione originaria ripresa dal Vaticano II si è progressivamente scolorita, nel corso degli ultimi decenni. Alla centralità ad essa assegnata da importanti filoni della cultura letteraria e sociologica  degli anni dell'immediato (ultimo) dopoguerra – si pensi soltanto agli autori come BERNANOS, GRAHAM GREENE, o all'attenzione riservata  all'epopea dei PRETI OPERAI, corrisponde oggi un generale silenzio rivelatore di un evidente scadimento di interesse.
   Le ragioni di questa sparizione del prete sullo scenario pubblico sono addebitabili a più fattori, riconducibili al processo di SECOLARIZZAZIONE che si è gradualmente sviluppato nella nostra società, fino ad assumere i connotati di secolarismo. Se Dio non fa più problema, se è diventato – come non è difficile constatare - sempre più irrilevante, a maggior ragione questa irrilevanza non può che coinvolgere la figura di chi si professa suo ministro e portatore privilegiato del suo messaggio.
    Il presbitero risulta essere così una figura anacronistica, una sorta di reperto archeologico, che non sembra poter avere (se qualcosa non cambia) alcuna possibilità di essere recuperato.
PERDITA DI RUOLO SOCIALE E SOLITUDINE.
    Il ruolo sociale di cui era in passato investito è, per i motivi ricordati, venuto radicalmente meno. Il prete appare ai più come una PERSONA ESTRANEA ai problemi della gente; un uomo che vive appartato entro lo spazio del proprio mondo, senza alcun contatto e alcuna vera comunicazione con le situazioni esistenziali degli uomini che vivono nell'ambiente in cui è inserito. La sua attività ministeriale si rivolge ad un numero sempre più ridotto  di fedeli: i BATTESIMI sono in costante diminuzione, le MESSE festive sono sempre meno frequentate e i MATRIMONI religiosi rappresentano una percentuale sempre più limitata per il consistente, progressivo incremento di quelle civili.
    Ma a venire a mancare è soprattutto il grande apprezzamento di cui in passato il prete godeva; apprezzamento che faceva di lui  un SOGGETTO PRIVILEGIATO, una figura autorevole – una delle massime autorità del paese – alla quale ci si rivolgeva per ricevere consigli e indirizzi per le scelte più delicate e più difficili. Oggi la possibilità di continuare a “contare” non è più legata al ruolo ricoperto, ma deve essere conquistata, facendo leva sulle proprie capacità personali o sul proprio CARISMA, ma soprattutto sulla propria serietà morale e sulla propria riconosciuta professionalità.
    Tutto questo si traduce in molti casi, in un senso di profonda frustrazione, dovuto all'ESPERIENZA DI SOLITUDINE, che mette (e non può che mettere) a repentaglio la propria scelta di vita. IL CELIBATO, subito talora come condizione  per l'accesso al presbiterato, (e non come espressione di una CARISMA PERSONALE), rende più acuta la percezione del disagio, inducendo in alcuni casi ad accomodamenti che generano doppiezza e instabilità; spingono in altri alla ricerca di surrogati, che trovano sbocco nell'adesione a nuove MODALITA' DI POTERE o nell'adesione a forme  sacro-rituali – si pensi all'enfasi data a certe liturgie – o provocano infine, il ritorno ad abitudini del passato – l'uso della talare è un esempio eloquente – il frutto della volontà di non contaminarsi con il mondo esterno considerato fonte di pericolo.
   La FRAGILITA' PSICOLOGICA propria della condizione giovanile in una società complessa come l'attuale, è presente anche in chi si candida al presbiterato, rendendo particolarmente difficile la possibilità di un RITORNO ALLE ORIGINI, del recupero cioè dell'AUTENTICITA' EVANGELICA.
    Del resto esistono delle indicazioni preziose in tal senso nella ECCLESIOLOGIA DEL VATICANO II. La concezione della Chiesa come Popolo di Dio, non più perciò come istituzione piramidale con al vertice la gerarchia, ma come COMUNITA' DEI CREDENTI che hanno pari dignità in ragione del battesimo che li rende partecipi del sacerdozio profetico e regale di Cristo, obbliga ad una profonda revisione della funzione del presbiterato e delle modalità del suo esercizio.
    Il prete, e prima ancora il papa ed i vescovi, non può più essere pensato come un soggetto al di fuori o al di sopra della comunità dei fedeli, ma come partecipe di tale  comunità e al servizio di essa.
 A definire comunque l'assenza del presbiterato è la categoria della MINISTERIALITA', di servizio cioè all'edificazione della comunità. Il presbitero non esiste senza la comunità verso la quale è chiamato ad esercitare – in questo sta la sua vocazione, che non è strettamente personale ma ecclesiale, il proprio compito, che è, in primo luogo, quello di dare corso alla comunione ricordata attorno alla mensa eucaristica.
   E' a partire da questa ottica celebrativa, che devono essere infatti considerate anche le altre funzioni, in particolare quella della EVANGELIZZAZIONE, e quella dell'attuazione dell'UNITA' PASTORALE, (funzioni per altro non esclusive del presbitero). Ma propria questa esigenza di inserimento pieno nella vita della comunità, comporta l'adempimento di alcuni requisiti, tre dei quali meritano di essere qui richiamati.
  IL PRIMO di essi chiama in causa LA SCELTA DELLA PERSONA, la quale dovrebbe avvenire all'interno della comunità e da parte di essa. L'essere catapultati dall'esterno, come oggi normalmente avviene, rende difficile l'inserimento; il prete è spesso avvertito come un CORPO ESTRANEO imposto da fuori e dall'alto, e che, per questo motivo, fatica ad essere percepito come parte viva della comunità.
   IL SECONDO requisito è che il criterio in base al quale la scelta va fatta,  deve essere quello di creare comunità, cioé di intessere e  e consolidare rapporti vicendevoli, superando le resistenze negative e sviluppando forme di solidarietà e di fraternità, che favoriscano la partecipazione e la cooperazione.
   Infine IL TERZO requisito è la necessità di attenersi all'essenziale, restituendo ai laici l'esercizio di molti compiti e favorendo, in questo modo, lo sviluppo della corresponsabilità fra tutti i membri del popolo di Dio.
CHI   SONO   I   PRETI    OGGI?
    I presbiteri di oggi sono in linea con la visione del ministro presbiterale fornita dal Concilio? L'iter formativo  corrisponde adeguatamente all'esercizio dei compiti cui sono destinati? E, infine, quale proposta pastorale  
viene loro prospettata dalle istituzioni – in primis le diocesi – alle quali fanno riferimento?
    La risposta a questi interrogativi non è facile.
La PRIMA difficoltà è legata all'identikit di coloro che accedono al presbiterato. La riduzione sempre più consistente (almeno da noi) del numero dei candidati a tale ministero si accompagna ad un mutamento piuttosto radicale della figura di coloro che entrano in seminario. La scomparsa quasi ovunque del seminario minore ha comportato (e comporta) una mutazione della TIPOLOGIA DEI SEMINARISTI. Ci sono in larga misura giovani in adolescenza avanzata, diplomati o laureati, che provengono da precedenti esperienze ecclesiali fatte in movimenti e/o e che hanno già compiuto un itinerario formativo e spirituale.  A questo si deve aggiungere, e non è cosa di poco conto, che negli ultimi decenni, al numero sempre più esiguo dei seminaristi italiani, si è aggiunto, (e continueranno ad aggiungersi con un ritmo in costante crescita) un numero considerevole di SEMINARISTI STRANIERI,  provenienti da tutti i continenti (in particolare dall'Africa, dall'America Latina, e dai paesi dell'est europeo – e dunque da culture tra loro assai diverse anche nella missione della chiesa, e dell'esercizio del ministero presbiterale.
   Non ostante il rinnovamento dei seminari avvenuto nel post-concilio, sia sul terreno della formazione spirituale, che su quello della preparazione culturale – si è fatta strada un po' dovunque  una maggiore attenzione ai valori umani e a una più viva aderenza all'IDEALE EVANGELICO, nonché una vera APERTURA AL DIALOGO, con il mondo – le difficoltà ricordate continuano a persistere.
    Non sempre infatti tale rinnovamento viene assimilato da parte di coloro  che si preparano al presbiterato. La diversa estrazione culturale, la formazione precedentemente ricevuta e il bisogno di sicurezza, impediscono spesso che la proposta fatta dal seminario,  abbia la dovuta incidenza.
   Non è infrequente che si assista – come si è già rilevato – a ritorni involutivi e a rigurgiti integralisti, all'assunzione di atteggiamenti difensivi, e di chiusura motivati  dalla presenza di una    FRAGILITA' PSICOLOGICA, che induce a ricercare appoggi esteriori per la tutela della PROPRIA IDENTITA'.

QUALI     PROSPETTIVE     PER     IL    FUTURO?
     La situazione attuale è talmente fluida e magmatica, al punto che risulta impossibile prefigurare quale sarà la fisionomia del prete negli anni che verranno. Le premesse evidenziate non sembrano fare spazio ad un grande ottimismo. Più agevole risulta invece, la delineazione come tale fisionomia dovrebbe essere, dei tratti che dovrebbero cioè qualificarne l'immagine.
   L'enucleazione di questi tratti ha rappresentato, in questi cinque anni, di pontificato, una delle preoccupazioni maggiori  di Papa Francesco. Egli è più volte intervenuto per indicare con precisione  l'identikit del presbitero, mettendone, di volta in volta,  in luce aspetti diversi e complementari.
    Tra questi aspetti meritano di essere sottolineati alcuni connotati che rivestono particolare rilevanza. 
IL PRIMO E' LA VICINANZA AL POPOLO, la capacità cioè di immedesimarsi nelle situazioni esistenziali della gente e di condividerne le gioie e le fatiche quotidiane – usando una felice metafora, papa Francesco,  parla di “sentire l'odore delle pecore” - facendosi come il Signore “compagni di viaggio” degli uomini che compongono la comunità in cui si è inseriti, e divenendo in questo modo, del tutto partecipi del mistero dell'incarnazione.
 
   IL SECONDO CONNOTATO, e' l'ESERCIZIO DELLA POVERTA', intesa come sobrietà di vita e come rinuncia a ogni tentazione di potere per conquistare quella LIBERTA' INTERIORE, che consente di diventare pienamente solidali con il MONDO DEI POVERI, degli emarginati, dei sofferenti e di impegnarsi per la loro liberazione.
    IL TERZO CONNOTATO INFINE (ma non certo ultimo in ordine di importanza), è il ricupero di una SPIRITUALITA' AUTENTICA, DI UNA FORTE TENSIONE MISTICA, in grado di interpretare il bisogno  di trascendenza presente anche nel mondo d'oggi, divenendo in tal modo testimone credibile del mistero di Dio.
  Se queste ultime condizioni si verificheranno diventerà possibile- lo crediamo - restituire al presbitero, la sua importante funzione,  e fornire all'azione pastorale una reale efficacia: la capacità di rendere trasparente agli uomini la novità e la bellezza del messaggio evangelico. (GIANNINO  PIANA, a cura di Carlo Castellini).



Giovedì 29 Novembre,2018 Ore: 14:36
 
 
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