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www.ildialogo.org Non esiste un Dio di Israele,di padre Aldo Bergamaschi

3 febbraio 2019
Non esiste un Dio di Israele

di padre Aldo Bergamaschi

Luca 4, 21-30
Pronunciata il 30 gennaio 1983
 

Oggi abbiamo molta carne al fuoco. Ho la tentazione di accennare alla lettera di s. Paolo che è uno dei pezzi più importanti di tutto il nuovo testamento. Vi metto solo una pulce nell'orecchio. Paolo dice: Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La sorpresa di questo discorso è: ma noi non abbiamo sempre insegnato che la carità consiste nel dare agli altri? Purtroppo, con sorpresa, devo dire che non è così. Perché Paolo dice: se dessi tutti i miei averi ai poveri e poi non avessi la carità..., e noi pensiamo che quella sia la carità.

Questo è un discorso di fondo radicale. Vuol dire che quello è un tipo di carità che non ha nulla a che fare con l'amore cristiano. Ecco la caritas, mentre l'agape cristiana è invece il massimo della giustizia. Per cui, non ci dovrebbe essere nella comunità cristiana nessuno che debba stendere la mano, e nessuno che debba dare agli altri le sue sostanze, perché tutti ne dovremmo avere in modo tale da non dipendere gli uni dagli altri in questa maniera.

Passiamo al passo evangelico, questo è uno dei cardini della visione cristiana del mondo, dove Gesù si qualifica. La specificità di Gesù consiste nel rompere il modello culturale di fondo e il modello culturale di fondo, sarebbe la concezione di Dio. Cosa vuol dire un modello culturale? Quando si scrive e quando si parla dobbiamo tenere l'esattezza. In pochissime parole un modello culturale è la particolare colorazione assunta da una esigenza universale nell'atto in cui questa esigenza universale si concretizza in categoria storica. Esempio: tutti gli uomini mangiano, tutti gli uomini bevono, tutti gli uomini conoscono l’istituto del matrimonio, ma la maniera di attuare questi principi universali, o queste categorie universali, vengono attuate in maniera diversa a secondo dei luoghi. Non tutti al mondo bevono vino, c'è chi beve birra, e chi altre bevande, non tutti al mondo mangiano il pane. Mangiare, nelle singole regioni, nei singoli tempi e nei singoli spazi, questa esigenza universale si concretizza, si colora in maniera diversa. Se andiamo nelle cose più grandi stesso discorso, matrimonio, istituzioni politiche e così via.

Ma il punto più delicato del modello culturale riguarda la esigenza universale della credenza religiosa. Tutti gli uomini, diceva Plutarco, hanno un tempio e un teatro. Ovunque tu andrai troverai sempre un tempio e un teatro. Voi mi direte che oggi c'è una buona parte della umanità che ha assunto l'ateismo come bandiera, non credo del tutto naturalmente, questa è l'etichetta esterna.

Ora, se l'uomo è un essere religioso, la maniera di attuare questa religiosità varia da meridiano a meridiano, da gruppo a gruppo, da epoca a epoca, d'accordo? Ecco il punto, è Gesù Cristo che comincia a divaricare dal gruppo in cui Egli si trova a vivere. Ed ecco il passo che comincia a darvi la fisionomia del personaggio. Sarebbe interessante esaminare passo per passo, ma andiamo al nucleo del discorso.

Come mai questi suoi compaesani, dopo avere ascoltato il passo di Isaia, si guardavano soddisfatti, come a dire: ma questo giovanotto la sa lunga, è un bravo ragazzo, ma poi, dopo pochi minuti, tutto si capovolge e questi compaesani lo portano sulla collina vicina decisi a buttarlo giù dal burrone, quindi a ucciderlo? Curiosità: come avrà fatto Gesù a sottrarsi? Io che sono anti-miracolista, non posso pensare che Egli si sia sottratto alle loro intenzioni con una specie di miracolo. Immagino che i più fegatosi lo abbiano trascinato fin su, poi a un certo momento, magari fossero stanchi, Lui si sia distaccato dal gruppo e scappato via. Ma Egli passando in mezzo a loro se ne andò; non dobbiamo pensare che sia diventato invisibile alla maniera di Mandrake o di questi personaggi che fanno la delizia dei nostri bambini sulle riviste a fumetti. Lasciamo questo particolare e torniamo a noi.

Circa la guarigione di Naaman il Siro, da parte del profeta Eliseo e circa l'invio di Elia alla vedova di Zarepta di Sidone, vogliamo ricordare che tutto questo nel vecchio testamento, serve per dimostrare che il vero Dio, il più potente, il vero Dio tra gli dei, è il Dio di Israele. Per Gesù, invece, l’accettazione di questi due episodi serve per dimostrare che non esiste un Dio di Israele nel senso da loro inteso, quindi un Dio degli eserciti e così via, ma che Dio ama tutti gli uomini, si occupa di tutti gli uomini senza distinzione razzista di alcun genere. Voi capite, è un punto delicato, andare a toccare questo modello culturale in un gruppo di uomini che lo hanno dentro al cervello e dentro tutta l'anima come una ragione di vita, significa naturalmente attirarseli addosso come delle vespe.

Gesù sottintende che la sua attività può avere un suo significato, può svolgersi anche presso gli estranei, anzi, presso gli estranei così intesi da loro, perché per Lui estranei non ne esistono, e l'accoglienza sarà migliore che presso i compaesani. Dio allora, non conosce né patrie, né vincoli di parentela, e a questo punto non è più uno di loro. Egli è profeta, è più che profeta, è Dio stesso.

Vi faccio notare come ultima osservazione: Nessun profeta è ben accetto in patria, non è che si dica: uno in patria non è profeta. No. Nessuno che sia profeta in senso vero, cioè nessuno che parli secondo categorie universali ed assolute, sarà mai accettato come tale in un gruppo che invece ragiona secondo categorie particolari. Anzi, in un gruppo che assolutizza il particolare, perché in questo caso il gruppo aveva eretto Dio a manager, il proprio Dio manager di tutte le altre etnie, quando invece Dio non vuole che ci siano etnie non vuole che ci siano patrie, non vuole che ci siano gruppi, non vuole che ci siano divisioni.
 



Domenica 03 Febbraio,2019 Ore: 14:32
 
 
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