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www.ildialogo.org La causalità e il divenire,di Padre Aldo Bergamaschi

La causalità e il divenire

di Padre Aldo Bergamaschi

2 dicembre 2018

Omelia pronunciata il 1° dicembre 1985

Luca 21, 25-28 . 34-36
Cominciamo con un discorso lievemente difficile per cui, chiamo subito a raccolta la vostra attenzione. Quando noi teisti presentiamo l'argomentazione della causalità per dimostrare che Dio esiste, ci sentiamo ripetere che il principio di causalità consiste nell'attribuire una causa a tutto ciò che esiste. Chi ha concepito il principio di causalità in questo modo è il grande filosofo Emmanuele Kant. Questa impostazione non è altro che l'esigenza infantile, se voi parlate a un bambino della esistenza di Dio e cominciate col dirgli: Pierino vedi questo sedia, chi l'ha fatta? Il falegname, molto bene: chi ha fatto il falegname? Dio, bene, abbiamo già fatto un salto molto grosso. Ma se poi il bambino domanda: papà e Dio chi lo ha fatto? Vi confesso che è difficile, seguendo questa strada, togliere l'errore dalla testa del bambino. Allora se posso dare un consiglio: dovete essere voi a prendere l'iniziativa e fare quella domanda al bambino per non trovarvi nei pasticci. Mentre lui sarà costretto a dover riflettere e tenere aperto il problema. Noi non diciamo - come Kant - che il principio di causalità è quel principio che assegna una causa a tutto ciò che esiste, perché allora dovremmo assegnarla anche a Dio, ma noi attribuiamo una causa a tutto ciò che non ha in sé il motivo o la motivazione del proprio esistere.

Adesso procediamo, per potere iniziare questo di scorso della causalità. Cominciamo da una cosa o da un evento molto banale. Partiamo dal divenire. Un es. di divenire: muovo la mano da qui a qui. Quando uscirete di chiesa, vi metterete sulla macchina, la macchina passerà da lì a là. Qualche secondo fa ho detto talune parole, adesso ne ho dette delle altre, ed ecco già un divenire. Noi, stando qui in chiesa qualche minuto, siamo già diventati più vecchi di alcun minuti. Qualche minuto fa avevamo qualche minuto in meno. Ecco, questo sarebbe il divenire nelle sue forme più semplici, nelle forme cioè che cadono sotto il nostro controllo. Ora, questo divenire, la mia mano, che passa da qui a qui, presenta una strana combinazione, presenta il momento del non essere dell'essere. Il momento cioè in cui l'essere, un certo essere, non è, c’è un altro essere. Per questo motivo il pensiero classico, che inizia da questo avvistamento, cioè l'avvistamento del divenire, afferma che il vero essere compete l'eternità. Cioè a dire di essere appunto essere e non essere il non essere e che il
divenire di cui ho parlato, è qualche cosa che turba la ragione, questo fatto ha turbato la mente del grande Parmenide. Ora, la storia della cosiddetta metafisica classica è lo sforzo di liberarsi da questo turbamento, che qualche filosofo chiama contraddizione e lo sforzo riuscirà quando comparirà il cosiddetto teorema della creazione. Per liberare da questo dramma in cui è inserito il divenire di cui vi ho parlato, noi dobbiamo ipotizzare il teorema della creazione.

Chi ammette il mondo come avente in sé la ragione sufficiente della sua esistenza, lo deve ritenere senza principio e identificarlo con ciò che gli altri chiamano Dio. In questa teoria, il problema della origine del mondo non si può porre e neanche quello della sua fine. In questa condizione credo si trovino i miei amici marxisti. Con grandissima afflizione naturalmente, tant'è che molti di loro hanno rinunciato ad essere filosofi e si sono gettati soltanto nella prassi. Questo è il tema che turba la ragione, ed è più facile essere un politico che non un filosofo, perché lo stordimento dell'azione vi fa dimenticare le motivazioni dell'azione.

I sostenitori della causa trascendente debbono ammettere in essa causa una finalità e concludere con l'affermare che l'essere causa gli esseri. L'essere con la E maiuscola, causa gli esseri con la e minuscola e in esso essere il mondo deve finire, perché il mondo non ha una consistenza a sé stante. Il mondo deve finire nel trascendente, e quindi ha per scopo l'essere, ma deve anche terminare? Questa resta la domanda: la nostra mente che deve cessare ciò che comincia, io devo cessare ciò che comincio, quel bambino di cui vi parlavo prima, vedrà morire sua madre e suo padre. Ora, la nostra mente deve cessare ciò che comincia, ed è indotta a pensare che il mondo avendo avuto inizio debba anche terminare. L'inizio senza una ragione sufficiente è una contraddizione, l'inizio senza fine non lo è.

Se il mondo finirà, è una questione che deve risolvere la scienza e questa conclude che il mondo dovrà finire. Ma badate la scienza da un secolo a questa parte, perché prima era soltanto una deduzione filosofica. Ora che la specie umana, cioè noi, possa cessare pure, ammettendo l'universo imperituro, lo si deduce dalla evoluzione: tante altre specie sono finite, non si vede perché la storia dell’uomo non debba finire. L'universo e la vita finiranno, dice Teillard de Chardin, non importa quando, sarà sempre dopo la maturazione dell'uomo e della sua evasione, alla maturazione potrà trovarsi in queste due condizioni: primo tutti i mali fisici e morali saranno debellati e me le auguro, oppure fra bene e male ci sarà un urto supremo. Questa è la diagnosi di Teillard de Chardin. Il filosofo Plotino aveva polemizzato con i primi cristiani, i quali dicevano che il mondo doveva finire. Ho letto una pubblicazione, dove appunto si afferma che nel giro di sette anni avverrà la fine del mondo e addirittura, si presenta un Cristo che occuperà tutto lo spazio, come una specie di superman il quale, a colpi di stanga metterà posto tutto e finalmente avremo un regno di felicità, di tranquillità di giustizia, di pace e così via, soluzione un po’ giansenistica.

In questo passo di Luca, mi vengono dei dubbi che egli sia su questa linea, e allora mi ritraggo un momentino per vedere che cosa è di Gesù e che cosa è stato aggiunto, circa la mentalità di pensare alla venuta un Gesù che sbarca dai pianeti, viene giù e mette a posto le cose. Cosa vi dico che non è, perché l'unica venuta di Gesù è quella che noi conosciamo, con la sua opera all'interno delle coscienze di noi credenti. Ma noi credenti siamo dei credenti di paglia e allora invece di rivelare il suo messaggio, purtroppo siamo degli uomini religiosi e coltiviamo la nostra perfezione personale, pensiamo di andare nel regno dei cieli dopo morti se, un angolino c'è, viviamo una vita così a metà strada fra il consumismo e penitenze, nella speranza che si possa combinare un po’ l'una, un po’ l'altra cosa.

Quando il mondo classico si trovò a combattere il cristianesimo, Plotino scrisse un trattato contro gli gnostici, quelli cioè che egli considera cristiani. Secondo lui, costoro avrebbero delle dottrine un poco cervellotiche, che non collimano del tutto con la retta ragione, la sua retta ragione di origine
platonica, e in quel trattato espresse la concezione classica del mondo e la contrappone a quella cristiana o precisiamo, di taluni spiriti cristiani. Vi faccio notare che Plotino muore nel 370 d. C. Dunque già da duecento anni il cristianesimo è penetrato nelle coscienze della gente.

Sentite Plotino:
É necessario dunque che le cose tutte siano l'una dopo l'altra, e sempre. Ecco una frase che è sufficiente a qualificare un pensatore. Questo ‘sempre’ probabilmente è un di più dal punto di vista cristiano e qualifica il suo pensiero. Ecco una intuizione del tempo che non è né circolare né rettilinea, è semplicemente la formula che interpreta meglio di ogni altra la visione classica del mondo, visione classica da contrapporre alla visione cristiana, la quale afferma la fine del mondo. No il mondo non terminerà perché è eterno dice il filosofo, e i cristiani sottovoce: no il mondo finirà, ci sarà la fine del mondo. Per Plotino, questi cristiani dicono che ci sarà la fine del mondo perché disprezzano il Mondo. Accusa molto grave, e difatti Plotino l'attacca con espressioni che allargano e precisano il senso del discorso e come gli asserti filosofici abbiano il loro contraccolpo nel mondo sociale. Sentite: ricchezza, povertà e diseguaglianze non vanno criticate - dice Plotino (se ci fosse Marx a sentirlo!) - perché il saggio non cerca eguaglianza in queste cose; essi invece (i cristiani) ritengono di chiamare fratelli anche i vilissimi (cioè gli schiavi) ma non gli astri del cielo, non l'anima del mondo.

Già, perché gli astri del cielo, secondo Aristotele e parzialmente anche secondo Platone, sono fissi, eterni e le divinità degli astri sono specie di angeli - diremmo in linguaggio cristiano - che li guidano e li sostengano, quindi il mondo avrebbe un’anima, i cieli sarebbero essi stessi delle divinità. Dunque i cristiani chiamano fratelli i vilissimi, ma non gli astri del cielo né l'anima del mondo. Certo deve essere così. Sicché Plotino prospetta il contrasto fra il paganesimo e il cristianesimo come un contrasto tra chi ama il mondo. Noi oggi diremmo chi ama la storia, ritenendolo eterno pur con tutte le sue diseguaglianze, e chi invece non lo ama quindi predicandone la fine, e con questa la fine della diseguaglianza. Ricchezza e povertà e diseguaglianze vanno criticate non minacciando la fine, ma dicendo che non appartengono alla volontà divina, perché Dio ha mandato il Figlio per salvare ciò che era deviato; che ci siano delle diseguaglianze in questo mondo è una deviazione dovuta al peccato.

Ma l'eternità felice ci sarà solo se qui gli uomini continueranno la perfezione, il cui segno visibile sarà l’eguaglianza, la diseguaglianza finirà certamente lassù, ma a caro prezzo per qualcuno. Gesù invece vuole che finisca quaggiù con il prezzo minimo per tutti. E quale sarebbe il prezzo minimo? La pratica gioiosa del suo vangelo. Gesù, più che sulla morte, che attinge su animali e cose, insiste sul fallimento finalistico della esistenza, ricorda con vigore che la vita non si chiude in sé stessa, che non è senza responsabilità, che non è senza conseguenze. Vegliate e pregate, non significa fare come i coccodrilli che dopo aver ingoiato una preda più grossa di loro hanno le lacrime agli occhi, quelle lacrime sono le preghiere, ma significa essere sempre pronti a reggere il confronto con il figlio dell’uomo. Questa è la preghiera difficile perché non è una sceneggiata liturgica, ma una continua revisione del proprio motore esistenziale.



Sabato 01 Dicembre,2018 Ore: 16:08
 
 
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