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www.ildialogo.org Religioni di pace?,di Elio Rindone

Religioni di pace?

di Elio Rindone

Chi lo dice che le grandi tradizioni religiose monoteiste sono intolleranti! Forse lo sono state in passato, ma oggi non più. Sono infatti capaci di rinnovarsi, magari molto ma molto lentamente, al punto da farsi al momento opportuno portabandiera della tolleranza. Infatti, quando certe idee sono ormai divenute senso comune, esse le fanno proprie e le difendono, anche se le hanno avversate sino a poco tempo prima. Chi desidera un esempio recente di tale abilità manovriera non deve fare altro che leggere il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.
“Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono – si afferma senza la minima esitazione in questo documento – una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”. Da qui l’ovvia conseguenza: “La protezione dei luoghi di culto – templi, chiese e moschee – è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dalle convenzioni internazionali. Ogni tentativo di attaccare i luoghi di culto o di minacciarli attraverso attentati o esplosioni o demolizioni è una deviazione dagli insegnamenti delle religioni, nonché una chiara violazione del diritto internazionale”.
A leggere simili dichiarazioni dei rappresentanti di due religioni che hanno molti milioni di fedeli, e i cui rapporti sono stati spesso conflittuali, non ci si può che rallegrare, in quanto esse aprono prospettive di pacifica convivenza. E infatti i credenti più illuminati hanno accolto con gioia queste parole: ‘il pluralismo e le diversità di religione’ sono ‘una sapiente volontà divina’, per cui è condannabile ‘il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione’, mentre proteggere i ‘luoghi di culto – templi, chiese e moschee – è un dovere garantito dalle religioni’. Per essere perfetta, a questa dichiarazione manca una sola cosa: l’esplicita ammissione che si stanno così capovolgendo le posizioni tradizionali! Alla consegna del silenzio sul passato pare che voglia ancora attenersi invece il magistero cattolico, di cui qui mi occupo con particolare riferimento al tema del pluralismo delle religioni, lasciando agli studiosi musulmani il compito di valutare il comportamento delle loro guide spirituali.
* * *
Il rifiuto della violenza per motivi religiosi, afferma dunque papa Francesco, discende da ‘una sapiente volontà divina’ che, come insegna da sempre il magistero, ha trovato espressione nelle Sacre Scritture, specialmente col precetto dell’amore del prossimo e addirittura dei nemici. E in proposito il testo di riferimento è la visione del profeta Isaia: alla fine dei tempi saliranno sul monte del Signore molti popoli che, avendo rinunciato per sempre a combattersi, “Spezzeranno le loro spade e ne faranno vomeri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra” (Isaia 2,4).
Prima di arrivare a questa pacificazione finale, però, la stessa Scrittura chiede al popolo eletto di combattere i nemici senza pietà. Le parole del profeta Gioele sembrano fare proprio da contraltare a quelle di Isaia: “Proclamate questo fra le genti: preparatevi per la guerra, incitate i prodi, vengano, salgano tutti i guerrieri. Con i vostri vomeri fatevi spade e lance con le vostre falci; anche il più debole dica: «Io sono un guerriero!»” (Gioele 4,9-10). E, quanto a violenza, il linguaggio del profeta Ezechiele non è certo da meno: “Così dice il Signore Dio: Distruggerò gli idoli e farò sparire gli dèi da Menfi. Non ci sarà più principe nella terra d'Egitto, spanderò il terrore nella terra d'Egitto” (Ezechiele 30,13).
Stando alla narrazione biblica, la conquista della terra promessa è stata vissuta dagli israeliti proprio come una guerra santa: “Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te molte nazioni […] tu le voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro confronti non avrai pietà. Non costituirai legami di parentela con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché allontanerebbero la tua discendenza dal seguire me, per farli servire a dèi stranieri, e l'ira del Signore si accenderebbe contro di voi e ben presto vi distruggerebbe. Ma con loro vi comporterete in questo modo: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco” (Deuteronomio 7,1-5). E nel Primo libro dei Re, per esempio, si ricorda la spettacolare vittoria di Elia che sfida e sconfigge in una specie di ordalia i profeti di una divinità straniera, e poi ordina agli Israeliti: “«Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi neppure uno!». Li afferrarono. Elia li fece scendere al torrente Kison, ove li ammazzò” (I Re 18,40).
* * *
Non c’è, quindi, da stupirsi se, una volta raggiunta una certa consistenza numerica e conquistate posizioni di primo piano nelle strutture di potere dell’impero romano, i cristiani, in passato perseguitati, si siano considerati il nuovo popolo eletto chiamato a proseguire la missione della distruzione degli idoli dei pagani e, già a partire da Costantino (274-337) si siano sentiti autorizzati dalle sue scelte politico-religiose, come scrive Catherine Nixey, a passare all’azione: “i templi venivano abbattuti, le statue subivano attacchi devastanti e la legislazione contro i ‘pagani’ diventava sempre più dura” (Nel nome della Croce, Torino 2017, p 193).
Anche personalità per altri versi ammirevoli condividevano questa furia iconoclasta. Ne ricordiamo solo due. Di san Martino di Tours (316-397), ancora oggi noto per aver dato metà del suo mantello a un povero, raccontano cronache entusiaste che imperversava “nelle campagne della Gallia distruggendo templi e lasciando sgomenti e sconcertati gli abitanti del posto al suo passaggio” (Nel nome p 21). E san Benedetto da Norcia (480-547), il fondatore del monachesimo occidentale, era ammirato dai credenti perché, dopo aver demolito una statua di Apollo venerata a Monte Cassino, cominciò a “perlustrare la zona abbattendo gli idoli e distruggendo i boschi [sacri] sul monte… e non si diede pace finché non riuscì a sradicare l’ultimo vestigio di paganesimo da quelle parti” (Nel nome p 127). Al di là delle scontate esagerazioni agiografiche sulla portata del loro operato, resta il fatto indiscutibile che questi uomini proprio nella Bibbia trovavano, come abbiamo visto, ottime ragioni per ritenere la loro lotta contro gli idoli conforme alla sapienza divina.
Senza pretendere di giudicare gli eventi del passato alla luce di criteri oggi comunemente accettati, la realtà dunque parla da sé: la chiesa ha cercato in tutti i modi di imporre un’unica verità e di combattere l’errore. Per i non cristiani non c’era più spazio: dovevano convertirsi o essere eliminati. Come scrive Franco Cardini, “durante il lungo regno di Giustiniano, tra il 527 e il 565, l’uniformità religiosa fu tenacemente e rigorosamente perseguita […]. Eretici e pagani furono duramente perseguitati e sottoposti a mutilazioni, a decapitazioni e persino a crocifissioni; […] l’uso della tortura e della flagellazione era generale quando si trattava di scoprire una colpa religiosa; il patibolo aspettava chiunque avesse rinnegato la fede per tornare al paganesimo” (Cristiani perseguitati e persecutori, Roma 2011, pp 146-147).
La distruzione degli altri culti non appariva un atto di violenza ma di amore perché dettato dal desiderio della salvezza delle anime, traviate dalle false religioni che non erano altro che opera diabolica. Infatti nel 1215 il Concilio Lateranense IV dichiara che usa sola “è la chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva”. E la portata dell’assioma Extra ecclesiam nulla salus sarà esplicitata in modo da evitare dubbi nel 1442 dal Concilio di Firenze “La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani, ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41), se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti; […] nessuno, per quante elemosine abbia fatto e persino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo può essere salvo, se non rimane nel grembo e nell'unità della chiesa cattolica”.
Bisognerà attendere sino al 1965 perché il magistero interpreti meglio la sapienza divina, comprendendo che le altre religioni non sono opera diabolica ma vie di salvezza, anche se meno efficaci, con i cui seguaci bisogna dialogare: “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. […] Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi” (Vaticano II, Nostra aetate, Paolo VI 1965).
Tolto il primato ancora attribuito al cristianesimo dall’ultimo Concilio, è proprio ciò che, nel 384, sosteneva il pagano Simmaco, per il quale le differenti religioni erano tutte vie di accesso all’unico mistero divino: «È giusto che sia considerata un’unica realtà, quella che, in quale modo che sia, tutti venerano. Osserviamo gli stessi astri, ci è comune il cielo, ci circonda il medesimo universo: cosa importa se ciascuno cerca la verità a suo modo? Non si può giungere per una sola via a un mistero così grande» (Relatio Symmachi Urbis Praefecti).
Peccato che Ambrogio, che grazie alla Bibbia era in comunicazione diretta con la sapienza divina, affermasse invece che “È il solo vero Dio che si deve venerare nell’interiorità della mente e che gli dei pagani, come dice la Scrittura, sono demoni [Salmo 96,5; ma oggi la CEI traduce con un linguaggio politicamente corretto: ‘tutti gli dèi dei popoli sono un nulla’]” e perciò chiedesse all’imperatore Valentiniano II di non decretare il ripristino “degli altari degli dei pagani, e di non pagare anche le spese dei loro sacrifici profani” (Ambrogio, Lettera 73 a Valentiniano II).
Il minimo che si possa dire, in conclusione, è che a quanto pare il magistero, che si dichiara custode della vera fede, arriva con molti secoli di ritardo e con maggiore difficoltà, rispetto all’antica tradizione politeista, a capire cosa insegni la sapienza divina riguardo alla diversità delle religioni!
nonmollare quindicinale post azionista - 080 - 15 febbraio 2021
Elio Rindone
Religioni di pace?
Chi lo dice che le grandi tradizioni religiose monoteiste sono intolleranti! Forse lo sono state in passato, ma oggi non più. Sono infatti capaci di rinnovarsi, magari molto ma molto lentamente, al punto da farsi al momento opportuno portabandiera della tolleranza. Infatti, quando certe idee sono ormai divenute senso comune, esse le fanno proprie e le difendono, anche se le hanno avversate sino a poco tempo prima. Chi desidera un esempio recente di tale abilità manovriera non deve fare altro che leggere il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.
“Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono – si afferma senza la minima esitazione in questo documento – una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”. Da qui l’ovvia conseguenza: “La protezione dei luoghi di culto – templi, chiese e moschee – è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dalle convenzioni internazionali. Ogni tentativo di attaccare i luoghi di culto o di minacciarli attraverso attentati o esplosioni o demolizioni è una deviazione dagli insegnamenti delle religioni, nonché una chiara violazione del diritto internazionale”.
A leggere simili dichiarazioni dei rappresentanti di due religioni che hanno molti milioni di fedeli, e i cui rapporti sono stati spesso conflittuali, non ci si può che rallegrare, in quanto esse aprono prospettive di pacifica convivenza. E infatti i credenti più illuminati hanno accolto con gioia queste parole: ‘il pluralismo e le diversità di religione’ sono ‘una sapiente volontà divina’, per cui è condannabile ‘il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione’, mentre proteggere i ‘luoghi di culto – templi, chiese e moschee – è un dovere garantito dalle religioni’. Per essere perfetta, a questa dichiarazione manca una sola cosa: l’esplicita ammissione che si stanno così capovolgendo le posizioni tradizionali! Alla consegna del silenzio sul passato pare che voglia ancora attenersi invece il magistero cattolico, di cui qui mi occupo con particolare riferimento al tema del pluralismo delle religioni, lasciando agli studiosi musulmani il compito di valutare il comportamento delle loro guide spirituali.
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Il rifiuto della violenza per motivi religiosi, afferma dunque papa Francesco, discende da ‘una sapiente volontà divina’ che, come insegna da sempre il magistero, ha trovato espressione nelle Sacre Scritture, specialmente col precetto dell’amore del prossimo e addirittura dei nemici. E in proposito il testo di riferimento è la visione del profeta Isaia: alla fine dei tempi saliranno sul monte del Signore molti popoli che, avendo rinunciato per sempre a combattersi, “Spezzeranno le loro spade e ne faranno vomeri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra” (Isaia 2,4).
Prima di arrivare a questa pacificazione finale, però, la stessa Scrittura chiede al popolo eletto di combattere i nemici senza pietà. Le parole del profeta Gioele sembrano fare proprio da contraltare a quelle di Isaia: “Proclamate questo fra le genti: preparatevi per la guerra, incitate i prodi, vengano, salgano tutti i guerrieri. Con i vostri vomeri fatevi spade e lance con le vostre falci; anche il più debole dica: «Io sono un guerriero!»” (Gioele 4,9-10). E, quanto a violenza, il linguaggio del profeta Ezechiele non è certo da meno: “Così dice il Signore Dio: Distruggerò gli idoli e farò sparire gli dèi da Menfi. Non ci sarà più principe nella terra d'Egitto, spanderò il terrore nella terra d'Egitto” (Ezechiele 30,13).
Stando alla narrazione biblica, la conquista della terra promessa è stata vissuta dagli israeliti proprio come una guerra santa: “Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te molte nazioni […] tu le voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro confronti non avrai pietà. Non costituirai legami di parentela con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché allontanerebbero la tua discendenza dal seguire me, per farli servire a dèi stranieri, e l'ira del Signore si accenderebbe contro di voi e ben presto vi distruggerebbe. Ma con loro vi comporterete in questo modo: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco” (Deuteronomio 7,1-5). E nel Primo libro dei Re, per esempio, si ricorda la spettacolare vittoria di Elia che sfida e sconfigge in una specie di ordalia i profeti di una divinità straniera, e poi ordina agli Israeliti: “«Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi neppure uno!». Li afferrarono. Elia li fece scendere al torrente Kison, ove li ammazzò” (I Re 18,40).
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Non c’è, quindi, da stupirsi se, una volta raggiunta una certa consistenza numerica e conquistate posizioni di primo piano nelle strutture di potere dell’impero romano, i cristiani, in passato perseguitati, si siano considerati il nuovo popolo eletto chiamato a proseguire la missione della distruzione degli idoli dei pagani e, già a partire da Costantino (274-337) si siano sentiti autorizzati dalle sue scelte politico-religiose, come scrive Catherine Nixey, a passare all’azione: “i templi venivano abbattuti, le statue subivano attacchi devastanti e la legislazione contro i ‘pagani’ diventava sempre più dura” (Nel nome della Croce, Torino 2017, p 193).
Anche personalità per altri versi ammirevoli condividevano questa furia iconoclasta. Ne ricordiamo solo due. Di san Martino di Tours (316-397), ancora oggi noto per aver dato metà del suo mantello a un povero, raccontano cronache entusiaste che imperversava “nelle campagne della Gallia distruggendo templi e lasciando sgomenti e sconcertati gli abitanti del posto al suo passaggio” (Nel nome p 21). E san Benedetto da Norcia (480-547), il fondatore del monachesimo occidentale, era ammirato dai credenti perché, dopo aver demolito una statua di Apollo venerata a Monte Cassino, cominciò a “perlustrare la zona abbattendo gli idoli e distruggendo i boschi [sacri] sul monte… e non si diede pace finché non riuscì a sradicare l’ultimo vestigio di paganesimo da quelle parti” (Nel nome p 127). Al di là delle scontate esagerazioni agiografiche sulla portata del loro operato, resta il fatto indiscutibile che questi uomini proprio nella Bibbia trovavano, come abbiamo visto, ottime ragioni per ritenere la loro lotta contro gli idoli conforme alla sapienza divina.
Senza pretendere di giudicare gli eventi del passato alla luce di criteri oggi comunemente accettati, la realtà dunque parla da sé: la chiesa ha cercato in tutti i modi di imporre un’unica verità e di combattere l’errore. Per i non cristiani non c’era più spazio: dovevano convertirsi o essere eliminati. Come scrive Franco Cardini, “durante il lungo regno di Giustiniano, tra il 527 e il 565, l’uniformità religiosa fu tenacemente e rigorosamente perseguita […]. Eretici e pagani furono duramente perseguitati e sottoposti a mutilazioni, a decapitazioni e persino a crocifissioni; […] l’uso della tortura e della flagellazione era generale quando si trattava di scoprire una colpa religiosa; il patibolo aspettava chiunque avesse rinnegato la fede per tornare al paganesimo” (Cristiani perseguitati e persecutori, Roma 2011, pp 146-147).
La distruzione degli altri culti non appariva un atto di violenza ma di amore perché dettato dal desiderio della salvezza delle anime, traviate dalle false religioni che non erano altro che opera diabolica. Infatti nel 1215 il Concilio Lateranense IV dichiara che usa sola “è la chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva”. E la portata dell’assioma Extra ecclesiam nulla salus sarà esplicitata in modo da evitare dubbi nel 1442 dal Concilio di Firenze “La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani, ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41), se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti; […] nessuno, per quante elemosine abbia fatto e persino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo può essere salvo, se non rimane nel grembo e nell'unità della chiesa cattolica”.
Bisognerà attendere sino al 1965 perché il magistero interpreti meglio la sapienza divina, comprendendo che le altre religioni non sono opera diabolica ma vie di salvezza, anche se meno efficaci, con i cui seguaci bisogna dialogare: “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. […] Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi” (Vaticano II, Nostra aetate, Paolo VI 1965).
Tolto il primato ancora attribuito al cristianesimo dall’ultimo Concilio, è proprio ciò che, nel 384, sosteneva il pagano Simmaco, per il quale le differenti religioni erano tutte vie di accesso all’unico mistero divino: «È giusto che sia considerata un’unica realtà, quella che, in quale modo che sia, tutti venerano. Osserviamo gli stessi astri, ci è comune il cielo, ci circonda il medesimo universo: cosa importa se ciascuno cerca la verità a suo modo? Non si può giungere per una sola via a un mistero così grande» (Relatio Symmachi Urbis Praefecti).
Peccato che Ambrogio, che grazie alla Bibbia era in comunicazione diretta con la sapienza divina, affermasse invece che “È il solo vero Dio che si deve venerare nell’interiorità della mente e che gli dei pagani, come dice la Scrittura, sono demoni [Salmo 96,5; ma oggi la CEI traduce con un linguaggio politicamente corretto: ‘tutti gli dèi dei popoli sono un nulla’]” e perciò chiedesse all’imperatore Valentiniano II di non decretare il ripristino “degli altari degli dei pagani, e di non pagare anche le spese dei loro sacrifici profani” (Ambrogio, Lettera 73 a Valentiniano II).
Il minimo che si possa dire, in conclusione, è che a quanto pare il magistero, che si dichiara custode della vera fede, arriva con molti secoli di ritardo e con maggiore difficoltà, rispetto all’antica tradizione politeista, a capire cosa insegni la sapienza divina riguardo alla diversità delle religioni!
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Martedì 16 Febbraio,2021 Ore: 21:59
 
 
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