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www.ildialogo.org Combattere la fame, una via per la pace.,di Gianmarco Pisa

Combattere la fame, una via per la pace.

di Gianmarco Pisa

Come si è detto da più parti - e si potrebbe aggiungere finalmente, dopo la discutibile attribuzione a Barack Obama e all’Unione Europea, e l’imbarazzante candidatura addirittura di Donald Trump - si è trattato di un premio meritato. Quest’anno, il Premio Nobel per la Pace è stato assegnato al Programma Alimentare Mondiale, il World Food Programme (WFP). Come recita la motivazione ufficiale, un premio conferito «per i suoi sforzi per combattere la fame, per il suo contributo allo sviluppo di condizioni di pace in aree di conflitto, e per la sua azione come forza motrice negli sforzi per prevenire l’uso della privazione di cibo come strumento di guerra».
Una motivazione pertinente, che coglie nel segno, come vedremo, anche alla luce delle dichiarazioni di alcuni tra i più accreditati Istituti di Ricerca per la Pace al mondo: il PRIO di Oslo e il SIPRI di Stoccolma, in quanto mette in evidenza la correlazione tra deprivazione materiale e ingiustizia sociale, da un lato, e accelerazione della violenza e della guerra dall’altro; sottolinea il contributo decisivo del miglioramento delle condizioni materiali e della prevenzione della fame al progresso della pace; indica la direzione della connessione necessaria della pace e della giustizia sociale, della lotta contro le diseguaglianze e le ingiustizie, della «pace positiva», pace con giustizia.
Il Comitato Norvegese del Nobel ha definito, in particolare, il WFP come «una forza motrice», come si è detto, nella prevenzione dell’uso della deprivazione e della fame come «arma di guerra». In maniera analoga, la presidentessa del Comitato, Berit Reiss-Andersen, ha messo in risalto l’impatto della pandemia da coronavirus e delle misure restrittive adottate consequenzialmente dai governi nazionali sulle forniture di cibo e medicinali.
Organizzazioni sociali e politiche a livello mondiale hanno da tempo promosso una campagna internazionale per contrastare l’uso delle sanzioni e, in particolare, delle misure coercitive unilaterali, come improprie armi di guerra, e di indebita pressione e di grave ingerenza, nella sfera del cosiddetto “dominio riservato”, sottolineando come le sanzioni, soprattutto nel momento in cui l’umanità intera è impegnata nella lotta alla diffusione della pandemia, non solo costituiscono una grave violazione della giustizia e del diritto internazionale, ma minacciano direttamente gli sforzi della comunità internazionale e mettono a rischio la sicurezza e la vita di milioni di persone.
Il WFP è un programma delle Nazioni Unite o, per meglio dire, il meccanismo per fornire aiuti alimentari tramite il sistema ONU, fondato nel 1961, allo scopo di provvedere ai bisogni alimentari delle popolazioni, contrastare la fame e sostenere le misure per garantire l’accesso al cibo dei popoli del mondo. Oggi, fornisce cibo a 97 milioni di persone in 88 Paesi. Il Direttore del WFP, David Beasley, ha dichiarato, alla notizia del conferimento del Nobel per la Pace, che «il premio rappresenta una chiamata all’azione, un’iniziativa per sollecitare il mondo a muoversi, e a muoversi adesso. Ogni volta che c’è fame, c’è conflitto, c’è destabilizzazione, c’è emigrazione. Oggi il mondo si trova ad affrontare tutte queste emergenze insieme, e insieme con la pandemia. Il rischio è che si determinino carestie di dimensioni bibliche. Stiamo cercando un vaccino per il COVID; ma abbiamo già un vaccino per la fame: si chiama cibo, e il cibo c’è. Abbiamo bisogno di fondi e abbiamo bisogno di accesso per consentirlo».
Non c’è dubbio, come pure è stato messo in evidenza, che quest’anno il premio, nel contesto del mondo quale esso è, assuma un significato particolare, in un mondo sempre più segnato dalla divisione e dai conflitti, dalla crisi economica e dalla pandemia globale, dai mille fronti di conflitto e dall’avanzata della militarizzazione, delle spese militari, delle guerre commerciali. Non a caso, la combinazione di guerra, violenza e pandemia ha portato alla crescita esponenziale, in questo scenario, del numero di persone la cui vita è messa gravemente a repentaglio dalle conseguenze della fame e dalle implicazioni delle guerre, come mostrano, tra gli altri, i casi dello Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Sud Sudan e Burkina Faso. Solo giustizia sociale, migliori condizioni materiali di esistenza, diritti umani eguali per tutti, possono concorrere a prevenire la guerra e costruire la pace.
Il Direttore del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), Dan Smith, ha dichiarato alla CNN che «dopo decenni di progresso, la fame nel mondo ha ripreso ad aumentare nel corso degli ultimi quattro anni, a causa soprattutto del cambiamento climatico. Inoltre, il numero di guerre e conflitti nel mondo è in aumento. È necessario porre la più alta attenzione al lavoro che svolge il WFP». Il Direttore del PRIO (Peace Research Institute Oslo), Henrik Urdal, a sua volta, ha dichiarato alla CNN che «il Nobel al WFP sottolinea il nesso tra fame e conflitti armati, ed è un premio che indica una delle sfide del nostro tempo, il sempre maggior numero di rifugiati nel mondo».
È una sfida politica. Come ha dichiarato ancora Berit Reiss-Andersen, «se si seguono i discorsi politici a livello internazionale, non c’è dubbio che esiste una tendenza a screditare le istituzioni internazionali. È parte del populismo, che ha sempre un tono nazionalistico. Quando furono fondate le Nazioni Unite, si mise grande enfasi sul principio dell’universalismo. Esiste ancora una responsabilità universale per le condizioni di vita dell’umanità».
Il credit della foto è il seguente: Neryl Lewis, RRT, CC BY 2.0, commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32167407



Mercoledì 14 Ottobre,2020 Ore: 19:05
 
 
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