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www.ildialogo.org Riflessioni sulla dawa in Italia,di Hamza Roberto Piccardo

Riflessioni sulla dawa in Italia

di Hamza Roberto Piccardo

Il termine dawa significa Appello, invito all'islam; missione.
In Italia ci sono oggi 2,5 milioni di musulmani, provenienti da decine e decine di Paesi dell'Asia e dell'Africa, un'immigrazione iniziata alla fine degli anni '80ne che continua fasi alterne ma comunque in relazione alle crisi umanitarie innescate dalle guerre e dalla continua rapina e scambio ineguale tra l'occidente industrializzato e il terzo mondo.
E' un Islàm la cui presenza deriva in gran parte dall'immigrazione, originariamente dai paesi del Nord Africa e dal Senegal ma poi via via anche dai Balcani (Albania e Bosnia) dal Bangladesh, il Pakistan e infine (nell'ultimo decennio) dall'Africa sub saheliana.
Ogni comunità ha portato con se una cultura e modi consuetudinari di essere musulmani e un approccio notevolmente specifico alla relazione con il Paese ospitante, con sua propria tradizione e religione.
Senza entrare in profondità e ampiezza nelle dinamiche socioculturali basti dire che spesso il migrante, oltre alla sua forza lavoro è convinto di aver ben poco da offrire alla società in cui vuole sviluppare e consolidare il suo progetto d'inserzione. Quindi spesso l'identità islamica, come fierezza intrinseca contrapposta al disagio della sua condizione, diventa importante.
Se in Marocco o in Egitto o in Turchia è normale essere muslim. in terra straniera è elemento qualificante e talvolta viene ribadito con una certa decisione, anche oltre la necessità di tutelare l'identità e la fede.
Insomma, è avvenuto e avviene ancora che spesso l'Islàm venga proposto non tanto come la più meravigliosa Rivelazione che realizza la pace interiore e sociale in questa vita e la speranza concreta di quella perenne, ma come una forma di conquista, una maniera per costringere a rinnegare un'identità ed acquisirne un'altra, spesso con eccessi settari che spingono il convertito a rifiutare in toto il suo mondo di provenienza, la sua storia e cultura e perfino a recidere gli stessi legami familiari, con conseguenze destabilizzanti e sviluppando ostilità reciproca.
Succede così che la condizione del convertito rischi l'isolamento dal suo contesto e la sua dawa diventi molto problematica.
Dopo trent'anni dalla nuova presenza islamica in Italia il numero degli italiani che hanno abbracciato l'Islàm sono poche decine di migliaia-
Non si può d'altronde sottovalutare il fenomeno dell'islamofobia che a partire dagli anni 90 si è sviluppato in Europa e in Occidente in generale. Le contingenze internazionali successive al crollo delle Twin Towers e le sciagurate imprese di organizzazioni come al Qaida e poi Daesh identificavano l'Islàm nel suo complesso come intollerante, violento, oscurantista e in generale del tutto inconciliabile. Questi accadimenti oggettivi sono stati strumentalizzati e manipolati dalla politica e dai media mainstream per sviluppare nella maggioranza dell'opinione pubblica un sentimento di ostilità generale nei confronti dell'Islàm e di tutti musulmani, disegnati come potenzialmente pericolosi per la pacifica convivenza nel Paese.
In questo quadro oggettivamente preoccupante la nostra dawa deve rivedere i fondamenti stessi della sua prassi.
Innanzitutto, senza voler limitare la buona volontà dei singoli musulmani ai quali consigliamo sempre di adottare comportamenti ineccepibili, sarebbe opportuno che le grandi associazioni islamiche strutturate in Italia adottassero una metodologia razionale distinguendo gli ambiti.
Se è normale infatti che la maggior parte degli imam rivolgano la loro attenzione ai musulmani che frequentano le moschee, non è però normale che la maggior parte di loro non conoscano a sufficienza la lingua del Paese in cui operano per poter dialogare con la maggioranza della gente.
Ma oltre alla lingua sarebbe imprescindibile che conoscessero anche la cultura del Paese, i suoi modi di comprensione e di apprendimento.
Per far ciò importante che quelle associazioni preparino le guide religiose con corsi ad hoc che prevedano materie come la pedagogia, la psicologia, la sociologia, la storia del Paese, la sua Costituzione e questo per dar loro le migliori opportunità di svolgere la loro attività di dawa, ai musulmani stessi e a quelli che non lo sono, affinché possano tornare serenamente alla religione eterna, contemporanea e futura, l'Islam rivelata da Allah a tutti i Profeti (pace su tutti loro) e sigillata con il Corano e la Sunna del Profeta Muhammad (saws) di cui ricordiamo in questi giorni la  benedetta nascita.
Ma oltre alla corretta attività delle associazioni e delle guide religiose sarebbe necessaria un'attività coerente e continua di tutti i credenti.
Essere musulmani infatti non è un atteggiamento di pura osservanza rituale, per quanto precisa e continua. Non basta infatti rispettare gli interdetti e assolvere alla ritualità quotidiana, non basta pregare regolarmente e digiunare nel mese di Ramadan...
Il nostro amato Profeta (asws) non ci ha lasciato questa sunna. Il suo è stato piuttosto un impegno indefesso a vivere la rivelazione che gli era stata data, non ha forse detto nostra madre Aisha: “Era un Corano che camminava”?
Pur con i nostri enormi limiti, è necessario che ogni credente si senta investito da questa nobile missione e la conduca con intelligenza e sapienza.
Innanzitutto sarà fondamentale comprendere che trasmettere l'Islàm è un atto d'amore, per Allah e il Suo Inviato (asws) prima di tutto, ma anche amore per il creato e la creatura che viene invitata o anche solo informata in merito alla religione e l'etica islamica.
Chi mai farebbe un regalo sincero a persone che non ama? Se lo facesse sarebbe solo un gesto interessato da ragioni materiali o pura ipocrisia e, in questi termini, esso non avrebbe nessun effetto spirituale, né per chi lo fa né per chi lo riceve.
Quindi, oltre alla niyya e il corretto atteggiamento sarà necessario mettersi nei panni della persona che si avvicina all'Islàm. Inevitabilmente la sua famiglia, il suo ambiente di lavoro, di studio, i suoi amici, il luogo in cui vive, lo percepiranno come diventato diverso, estraneo, al limite un pericolo.
Il Profeta Muhammad ci ha avvertito di questo, disse: “in verità l’Islam cominciò come qualcosa di strano (estraneo)…” “…ed esso ritornerà strano (estraneo) così come cominciò…”
Ciò indica che il ritorno dell’Islam è una realtà e che deve prendere la stessa strada e metodologia, e anche attraversando le stesse fasi di difficoltà, fatica e sofferenza che i primi Musulmani attraversarono.
Nondimeno dobbiamo farci carico delle difficoltà della persona, sostenendolo in ogni modo possibile e non abbandonandolo mai. Non si tratta di mettere una bandierina sul “territorio conquistato” ma di prendersi cura del suo stato d'animo, rispondere alle sue domande, fargli sentire il senso della fraternità.
Una ricerca fatta dai musulmani negli Stati Uniti, rivela che quasi il 50% dei convertiti, nel giro di un anno abbandonano l'Islàm. Noi spesso diciamo che chi esce dall'Islàm non c'era mai entrato davvero, ma è invero una magra consolazione.
Viviamo un momento storico importante, e questo per due ragioni: la prima è che è il NOSTRO momento storico, quello in cui siamo chiamati a testimoniare con coerenza e continuità la nostra fede e non ne avremo un altro . La seconda è che l'islamofobia comincia a mostrare tutta la sua incoerenza epistemologica, per ora nelle menti più aperte e intellettualmente oneste dell'opinione pubblica,  ma che, insh'Allah, dilagherà e la nostra condizione di minoranza in qualche maniera perseguitata e oppressa non durerà ancora per molto.
Hamza Roberto Piccardo



Venerdì 21 Dicembre,2018 Ore: 12:40
 
 
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