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www.ildialogo.org Il nuovo vescovo ai tempi del virus,di Gennaro Matino

Il nuovo vescovo ai tempi del virus

di Gennaro Matino

Il prossimo vescovo di Napoli è atteso al suo ingresso. Atteso forse è parola grossa, piuttosto curiosità di palazzo, mormorio pretesco, la maggior parte della gente resta indifferente. E la cosa mi preoccupa non poco, perché ritengo che ci dovrebbe essere una stretta correlazione tra qualità della fede credente del popolo, le sue speranze, le sue attese e la individuazione, la scelta e l’elezione del pastore che dovrà guidare il suo popolo che non dovrebbero essere relegate in un ambito puramente clericale. Una vocazione, quella del vescovo, che a dire di San Gregorio Magno nella sua Regola Pastorale, è la vocazione delle vocazioni, la più importante nella sfida che la Chiesa si dà per l’annuncio del Vangelo. “Il magistero pastorale non può essere assunto da temerari impreparati, giacché il governo delle anime è l’arte di tutte le arti”. Il tempo per chi crede non è solo metafora di passaggio, ma rivelazione di un incontro tra l’uomo e le sue possibilità, svelamento di senso per chi senso cerca nella storia. E in questo nostro tempo, qui a Napoli, ma in Campania, nel sud del Paese, le sfide che aspettano il nuovo Metropolita sono profeticamente sigillate nel tempo stesso in cui viene eletto, nell’anno che lo vede dare inizio al suo percorso di successore di Sant’Aspreno.
È il vescovo eletto nell’anno della pandemia, nell’anno del mondo, della città sottosopra, della Chiesa che arranca in cerca di parole significative da passare. La Chiesa è mistero d’incarnazione, è volontà assoluta di trovare risposte al bisogno di passare il testimone della fede ai viandanti della storia. Come il Maestro di Galilea aveva insegnato ai suoi primi compagni a calarsi nelle piaghe dell’universo delle differenze per proclamare la definitiva liberazione degli ultimi e degli oppressi, come il Verbo, che era Dio ed era presso Dio, si è vestito della storia incarnandosi negli eventi umani, così la Chiesa di Napoli, e il suo vescovo, non può che derivare dal suo Signore la sua condizione: incarnarsi nella storia e vivere il tempo, questo tempo, per annunciare il riscatto.
La Chiesa sa che il suo essere pellegrina nel mondo la costringe al movimento e mai a sedersi su presunte vittorie. E se l’annuncio deve raggiungere la diversità degli uomini collocati in un tempo mutevole, allora l’incarnazione della Chiesa presuppone da un lato la certezza immutabile della verità che le è stata rivelata e di cui ne è depositaria, e dall’altro la necessità di rivoluzionare la prassi pastorale per adeguare obiettivi, metodi e strumenti alla concreta condizione spirituale dei figli di Dio che vivono nel mondo, che spartiscono la vita qui a Napoli, una vita che per molti è più che dura. Un annuncio che rivoluziona la prassi, che provoca il cambiamento di stili ecclesiastici consolidati e obsoleti, in mode di sagrestie e di curie stravaganti, perché costringe perennemente a uscire all’aperto per gridare il creduto; è un annuncio che obbliga a scoprire le carte della fede in un tempo difficile sudato di paura, di malattia, di morte, in cui, fuori dal tempio, e purtroppo anche nel tempio, sembra impossibile riconoscersi cristiani; è un annuncio che ancora oggi provoca la Chiesa di Napoli, che se dentro di sé gode della certezza di aver trovato se stessa, quando ne può godere, all’esterno non sa ancora come annunciare il Vangelo in un mondo che cambia. Una rivoluzione che era stata inaugurata dal Concilio Vaticano II e che il nuovo vescovo dovrà fare propria per essere, con tutti gli uomini di buona volontà e con tutta la Chiesa partenopea, capace di organizzare la speranza.
Un adeguamento che parte dagli ultimi privilegiando coloro che Gesù stesso privilegiò, denunciando situazioni di falsità e d’ingiustizia, che spesso dominano nelle vicende umane, anche all’intero della Chiesa stessa, al fine di rendere credibile l’annuncio: «Il Regno di Dio è vicino», e accettabile l’invito: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Il vescovo e ogni battezzato, che si riconosce nel suo mistero, dovranno poter essere qui, a Napoli, un’avanguardia, un segno visibile di consolazione e speranza che va oltre il recinto dei protetti e dei preservati. Ciò che sconvolge del Vangelo non è la sua dottrina, ma la condizione ineludibile di colui che deve viverlo per poterlo annunciare, come per coloro che lo ricevono, farlo proprio per trasformarlo in vita.
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Articolo pubblicato in “la Repubblica Napoli” il 7.9.2020



Venerdì 11 Settembre,2020 Ore: 22:15
 
 
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