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www.ildialogo.org INTERVISTA A JACQUES GAILLOT, VESCOVO EMERITO DI PARTENIA,Traduzione di Tina Luppino

INTERVISTA A JACQUES GAILLOT, VESCOVO EMERITO DI PARTENIA

Traduzione di Tina Luppino

Come ha vissuto l’annuncio della pandemia da COVID-19?
Mi sono sentito in comunione con il dolore dell’umanità. Dolore di un dramma che varcava i confini e colpiva ovunque. Momento raro in cui l’umanità si scopriva in comunione. È più facile vivere in comunione nel dolore che nella gioia.
Questa terribile prova ci ricorda la nostra fragilità, la nostra finitudine. Siamo tutti vulnerabili. Le grandi potenze mondiali hanno piedi d’argilla. Nessuno si può dire al riparo da questo virus. È un invito ad avere cura della vita e dell’umano con tenerezza.
Come cittadino e vescovo di Partenia, lei che cammina accanto ai più svantaggiati, quali sono le fragilità che tutto ciò ha messo in luce in modo più singolare?
I più svantaggiati si sentono i dimenticati della società.
Coloro che vivono e dormono nella strada si meravigliano di sentire: “Io vi chiedo di non uscire dalle vostre case. Restate in casa.
È vero per le famiglie che abitano in tuguri. Come per questa donna che vive in una stanzetta umida con scarafaggi. Lei ha due ragazzini pieni di vita. Questa donna ha dovuto interrompere il suo lavoro per occuparsi dei suoi figli. Le giornate sono lunghe!
È vero per degli stranieri sans papiers. Come evitare la promiscuità quando si è ammucchiati in un dormitorio con letti a castello? È il caso del centro dei sans papiers di Montreuil.
È vero per detenuti in prigioni sovraffollate dove succede che siano 4 o 5 nella stessa cella.
Coloro che sono nella strada si ritrovano soli. Non possono più chiedere l’elemosina. Non c’è più nessuno che si fermi a parlare con loro. I volontari delle associazioni sono isolati.
Il solo atteggiamento che possa liberare i più deboli, è innanzitutto il riconoscimento della loro dignità.
Che cosa ha pensato di quest’annuncio che al contempo chiude i bar e i ristoranti e assicura l’apertura continua dei luoghi di culto?
In questo tempo di quaresima c’è una preghiera a Dio che mi piace: “Facci lasciare ciò che non può che invecchiare, facci entrare in ciò che è nuovo.
Proprio in questo periodo singolare c’è uno spostamento dai luoghi di culto verso i luoghi di vita.
I nostri sguardi si rivolgono ai malati del COVID-19 ospedalizzati con le loro sofferenze e le loro difficoltà a respirare. Tutte le cure che sono loro date di giorno come di notte evocano la parola di Gesù: “È a me che voi l’avete fatto.
Le équipes di operatori sanitari che si dedicano ai malati sono una presenza reale. Presenza indispensabile con i loro gesti d’umanità che possono salvare la vita.
Essi portano una luce che ci illumina nella nostra notte, al punto che ogni sera noi li applaudiamo dalle nostre finestre.
Questi camici bianchi che si donano senza mettere in conto il rischio di essere contagiati a loro volta, rivelano il senso della passione di Cristo: l’amore vissuto fino in fondo nonostante lo scatenarsi del male.
Questi luoghi di vita sono preziosi. Esistono in gran numero. Entriamo in ciò che è nuovo: l’umano innanzitutto!
Rispetto a ciò che viviamo e che è inedito, quale visione ha della società in cui viviamo?
Il campo della sanità è un aspetto rivelatore della società. Il funzionamento degli ospedali e degli EHPAD (Etablissements d’Hébergement pour Personnes Agées Dépendantes - Struttura Ricettiva per Anziani Dipendenti, ndt) ci rimanda un’immagine della società.
Nell’anno passato gli operatori sanitari sono scesi in strada per manifestare la loro collera. Hanno denunciato la mancanza di personale, l’arretratezza dei reparti di emergenza, la mancanza di mezzi… Nel corso di una manifestazione nel mese di novembre uno striscione esprimeva bene la loro rivendicazione: “Lo Stato conta i suoi soldi, saranno contati i nostri morti.
Questa grida sono state ascoltate? Una società che non ha abbastanza denaro per il servizio sanitario, può interrogarsi. La sua immagine è quanto meno intaccata.
Con la pandemia il formidabile sforzo di solidarietà fra gli ospedali, fra gli ospedali pubblici e privati, fra gli ospedali di paesi diversi è esemplare. La dedizione del personale sanitario, aiutato da tutti coloro che avevano ripreso servizio, suscita ammirazione. Tutti insieme riescono a far fronte alla situazione. Che bella immagine ristabilita del servizio sanitario!
Ma quando saremo usciti dall’epidemia, il servizio sanitario beneficierà di ciò che è nel suo diritto aspettarsi dallo Stato?
Da alcuni anni vado nelle carceri. Ciascuna mi rimanda un’immagine della società. Grazie alla pandemia del COVID-19 si mette meno in carcare e si fanno uscire molti più carcerati. Non è una cosa buona quando le carceri sono sovraffollate?
Nella prigione di Lannemezan, ai piedi dei Pirenei, tre prigionieri baschi sono stati condannati all’ergastolo. Sono in carcere da 30 anni. La pena di morte è stata abolita nel nostro Paese. Non si lasceranno morire in prigione! Noi scriviamo al Presidente della Repubblica e al Guardasigilli, chiedendo loro di trasformare il loro ergastolo in una pena di 30 anni. Ciò metterebbe fine ad una così lunga detenzione!
Sempre nella prigione di Lannemezan un basco soffre del morbo di Parkinson da alcuni anni. La sua richiesta di libertà condizionata è ogni volta rifiutata.
Dei migranti arrivano regolarmente a Parigi, dopo un duro percorso di guerra. Molti si ammucchiano all’incrocio delle autostrade presso la Porte de la Chapelle. Alcuni hanno perso tutto. La sola cosa che non si è potuto prendere loro è la dignità.
Io ho vergogna della cattiva accoglienza che è loro riservata, soprattutto quando l’espulsione prende il sopravvento sull’accoglienza.
Una società si giudica dal modo con cui tratta i più deboli: i malati, i prigionieri, i migranti, la gente della strada... Essi hanno tutti fame di dignità. Di dignità riconosciuta. Hanno bisogno tanto di rispetto che di aiuto.
Ritorniamo alle persone più fragili. Se evochiamo le persone che vivono nei luoghi di privazione di libertà come le carceri, coloro che vivono nella strada o i migranti, lei che è un uomo impegnato, come accompagnare le persone che vivono negli EHPAD? E l’isolamento non è una situazione frustrante per lei in tal senso?
Accompagnare le persone fragili suppone che le si ami. È il segreto. Quando sabato pomeriggio vado all’associazione dei sans papiers, ho il piacere di ritrovarli, di parlare a loro. Sono la mia famiglia. Mi sento bene con loro.
Incontro detenuti che hanno lunghe pene. Da 10 o 15 anni io faccio loro visita. C’è complicità e amicizia fra noi. I colloqui di una durata da 1 ora a 1 ora e mezzo passano presto. Quando si ama qualcuno, si ha sempre qualche cosa da dirgli. Loro aspettano e apprezzano queste visite dall’esterno. Io ricevo da loro il coraggio del futuro.
Evidentemente con l’isolamento io sono frustrato dal fatto che gli incontri abituali non possono più avvenire. Mi restano la posta e il telefono. Negli EHPAD le visite della famiglia, degli amici sono una boccata d’ossigeno per i residenti. Le relazioni umane sono vitali per loro. Io faccio parte di una équipe per il servizio d’ascolto telefonico delle persone che sono negli EHPAD. In queste case non si muore soltanto di virus, ma anche di quelle privazioni di relazioni umane vere che fanno vivere.
Oggi il legame sociale prende un’altra forma e i mezzi di comunicazione permettono di dargli un soffio nuovo. Ciò prefigura un cambiamento di natura della società nella quale domani noi vivremo secondo lei?
Effettivamente il legame sociale si è presto adattato alla situazione di isolamento, ma non per tutti ahimè, facendo ricorso al tele-lavoro, tele-consigli, video-conferenze, libri elettronici…Salutiamo questa prodezza tecnologica. Essa ci rende vicini gli uni agli altri, ma non per questo fa di noi dei fratelli.
Essa elimina le distanze, ma non sostituisce l’incontro reale degli umani che possono toccarsi e testimoniarsi tenerezza.
Che pensa di coloro che dicono, come François Gemenne, specialista in geopolitica dell’ambiente naturale, che bisogna diffidare delle forme quasi religiose del tipo “la natura riprende i suoi diritti”! Si può lasciare “il religioso” fuori dagli sconvolgimenti gravi che viviamo?
Secondo me questo specialista ha ragione. Non c’è rivincita della natura. Noi siamo legati tutti nel meglio e nel peggio. Perdenti insieme o vincenti insieme. Esiste un’unità di tutti i viventi. È un fatto d’esperienza: la distruzione dell’ambiente naturale si accompagna sempre a un declino sociale e ad un abbassamento della qualità di vita.
Quando ci sono sconvolgimenti gravi come il caso della pandemia, esistono derive religiose. È spiacevole. Io preferisco riprendere le parole luminose di papa Francesco nella «Laudato Si’» sulla nostra conversione ecologica: “La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita, senza attaccarci a ciò che abbiamo, né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione dei beni (n. 222).
8 - Lei pensa che l’enciclica di Francesco Laudato Si’ è stata e sarà un faro per aiutarci a costruire domani questa casa comune in un villaggio globale che mostra le sue instabilità?
Questa enciclica è profetica. Essa apre un cammino per il futuro dell’Umanità. È un faro che ci guida con la sua luce. Personalmente mi faccio interrogare da queste parole di Francesco: “Ascoltare sia il clamore della terra che il grido dei poveri”La scomparsa di una cultura può essere altrettanto grave o più grave della scomparsa di una specie animale o vegetale. Tutto è legato. Il cuore è unico e la stessa miseria che ci porta a maltrattare un animale, non tarderà a manifestarsi nella relazione con le altre persone. Ogni crudeltà su una qualsiasi creatura è contraria alla dignità umana.
Quali conseguenze lei immagina sul nostro vivere insieme domani? Sarà davvero diverso o ritorneremo alle nostre turpitudini egoistiche, in cui la concorrenza sfrenata è la regola?
Io penso al Salmo 90 (89) che cantiamo in comunità certi giorni durante la preghiera del mattino. “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” (v. 12).
È un appello a vivere il momento presente, con la sua densità, la sua novità. Domani sarà un altro giorno.
Negli SMS ricevuti mi si poneva spesso la stessa domanda: “Cosa fa? Cosa fa delle sue giornate da confinato?” Piuttosto che elencare compiti banali, io rispondevo “Io vivo”.
È necessario capire la transizione energetica. È urgente e possibile. Ripartiamo con il piede giusto, traiamo insegnamento da ciò che abbiamo appena vissuto.
A Parigi c’è una diminuzione dell’anidride carbonica grazie alla circolazione ridotta di automobili e aerei. È un incoraggiamento a non ripartire come prima. Lottiamo contro le disuguaglianze. Trovo scandaloso che a Parigi alcune famiglie vivano in catapecchie o nella strada, quando ci sono immobili liberi e alloggi vuoti. Esistono delle leggi, ma non vengono applicate.
Noi siamo fatti per costruire un mondo dove ognuno esista per l’altro.
Un proverbio africano dice: “L’albero non mangia il suo frutto, lo dà da mangiare”
Se in poche parole lei avesse un messaggio da consegnarci, quale sarebbe?
È urgente amare. Éric-Emmanuel Schmitt l’afferma nel “Vangelo secondo Pilato”: “La sola cosa che ci insegna la morte: è necessario amare”. Nulla sopravvive alla mancanza d’amore. Nessuna vita è perduta quando si ama.
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Intervista del 1.4.2020 per la rivista Golias
Traduzione di Tina Luppino



Giovedì 09 Aprile,2020 Ore: 17:16
 
 
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