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www.ildialogo.org La speranza della salvezza sta nella ricerca dell’essenziale: il Vangelo dell’amore,di José Manuel Vidal

La speranza della salvezza sta nella ricerca dell’essenziale: il Vangelo dell’amore

di José Manuel Vidal

Piove a Roma, a volte a dirotto, a volte il cielo si apre. La pioggia e il cielo coperto aggiungono tristezza e angoscia alla preghiera convocata dal Papa per “unire le nostre voci al cielo” e chiedere la fine della pandemia. Una serata dal sapore millenarista nella Piazza San Pietro deserta. L'immagine di un Papa in mezzo a questa solitudine, implorando Dio per la fine della pestilenza del coronavirus, profuma di millenarismo e di paura soffocata e sublimata nella speranza in Colui che può tutto.
È il terribile paradosso del Papa della Chiesa ospedale da campo e della Chiesa in uscita solo con il suo cerimoniere, nell’immensità vuota di una Piazza a forma di cuore e abituata a ricevere tra le sue braccia il palpito della cristianità. E con le sue braccia alzate, supplicando Dio, come un nuovo Mosè sul monte.
Più che dispiaciuto, si vede Francesco sopraffatto dal peso del dolore del mondo, che geme e piange per gli effetti di un nemico potente e invisibile. Il Papa porta sulle sue spalle tutte le lacrime di tanti poveri, bagnate dalla paura di vedere quel nemico che si avvicina: se uccide anche i ricchi, cosa non farà con loro, con i poveri, con quelli che non hanno nemmeno l’acqua per lavarsi le mani o una casa dove rifugiarsi. Non possono stare a casa, perché, senza uscire ogni giorno a cercare un pezzo di pane, morirebbero nelle loro baracche.
Solo Dio con la sua infinita bontà e misericordia può proteggere i suoi figli più deboli e indifesi, carne da macello di una pandemia che abbassa e fa a pezzi il prezzo della carne del povero, che è la carne di Cristo!
Sommersa dal silenzio, la Piazza accoglie il Papa, affiancato dal Cristo che salvò Roma dalla peste nera, che lo stesso Francesco ha visitato il 15 marzo e che oggi presiede la supplica papale, insieme alla Vergine della Salute, icona dell’immagine custodita nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Scenario sobrio: un Cristo, un dipinto di una Vergine e Francesco.
Il Papa sale i gradini solo fino alla pedana, dove il maestro delle cerimonie lo attende. Sul palco la sedia del papa e, un po’ più indietro, quella di mons. Marini. Un cantante, che si copre con un ombrello, canta il brano del Vangelo di Marco, che riecheggia, quasi drammaticamente, in una piazza che trasuda silenzio e tenebre.
Davanti al Cristo della Peste e alla Vergine della Salute Francesco riconosce che stiamo vivendo un tempo quasi apocalittico: “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti”.
E paragona il flagello del coronavirus alla tempesta nella quale i discepoli, nel mezzo del Mare di Galilea, stavano per perire. Una tempesta che “smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità” e lascia scoperti gli “«ego» sempre preoccupati della propria immagine”.
E in una lunga serie di rimproveri il Papa continua ad attribuire la situazione attuale “all'avidità del guadagno”, al materialismo e alla fretta, che ha impedito di ascoltare il grido dei poveri e del “pianeta gravemente malato”.
Ma c’è una via d’uscita. C'è speranza, a condizione che, secondo il Papa, l’umanità colga “questo momento di prova come un momento di scelta”, di ricerca dell’essenziale, che è l’amore e la solidarietà dei santi dalla porta accanto. Ed elenca: “medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, preti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.
C'è speranza e una via d’uscita, purché riconosciamo che “non siamo autosufficienti” e che “da soli affondiamo” e allo stesso tempo rendiamo possibili nuovi spazi e “nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà”.
E termina invocando la benedizione dell’Altissimo: “Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta”.
E così finisce la preghiera del Papa profeta, che denuncia i mali che ci hanno portato alla terribile tempesta del coronavirus e allo stesso tempo annuncia la speranza di un mondo che dopo il flagello si converta all’essenziale, al Vangelo dell’amore, della solidarietà, della fratellanza e della misericordia. E la sua voce risuona calda, come quella di un padre. E nella Piazza non c’è ritorno. Ma forse sì nel cuore di milioni di telespettatori in tutto il mondo che, con il loro Papa in testa, pregano Maria: “Rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi”.
E il Papa sale stancamente le scale, per pregare davanti alla Vergine della Salute, mentre un bellissimo e vecchio canto gregoriano risuona attraverso gli altoparlanti. E poi con il suo passo traballante si rivolge al Cristo della Peste della chiesa di San Marcello, lo guarda in faccia e gli chiede misericordia e compassione. E il suo viso riflette dolore e serenità allo stesso tempo. E bacia il Cristo della Peste ... con tanto amore, come quello di un padre che chiede a Dio di salvare i suoi figli. Con il cuore spezzato, ma pieno di fede nell’onnipotente misericordia dell’Altissimo. E con la custodia del Santissimo Sacramento benedice la Piazza vuota, Roma e il mondo: urbi et orbi.
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Articolo pubblicato il 27.03.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI



Sabato 28 Marzo,2020 Ore: 19:40
 
 
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La chiesa di Papa Francesco

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