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www.ildialogo.org A chi è cara e a chi no “Cara Amazzonia”?,di Leonardo Boff

A chi è cara e a chi no “Cara Amazzonia”?

di Leonardo Boff

Papa Francesco è il campione del mondo nella difesa della Madre Terra e di tutto ciò che sostiene la sopravvivenza. Ho letto con attenzione e grande entusiasmo la sua Esortazione Apostolica “Cara Amazzonia”, nella quale egli considera un vero e proprio crimine quello che si sta facendo ora in Amazzonia. Contrappone quattro sogni fondamentali: quello sociale, quello culturale, quello ecologico e quello ecclesiale.
Come non restare affascinati – tra le altre – da dichiarazioni come questa, chiara espressione di un’ecologia globale e cosmica: “Noi siamo acqua, aria, terra e ambiente di vita creato da Dio. Pertanto, chiediamo che cessino gli abusi e la distruzione della Madre Terra. La Terra ha sangue e sta sanguinando, le multinazionali hanno tagliato le vene alla nostra Madre Terra”. Sono perfettamente d’accordo con questo tipo di linguaggio e di denuncia e soprattutto i primi tre sogni s’inseriscono nella scia della “Laudato Si’: sulla cura della Casa Comune”.
Tre sogni e mezzo e un incubo
La prima parte del quarto sogno segue lo stile della grande bellezza dei sogni precedenti. Tuttavia, la seconda parte di questo quarto sogno sembra piuttosto un incubo. Il tono prima profetico, etico, ecologico e poetico dei primi tre è svanito. Ci sarà sotto la presenza di un’altra mano?
Oso pensare che questa parte rientri nel vecchio paradigma culturale latino, clericale e maschilista. E si nega agli indigeni il diritto divino di ricevere il corpo e il sangue di Cristo dalle mani dei suoi viri probati sposati e ordinati. Glielo si impedisce in virtù di una legge umana ecclesiastica: il celibato. Altri teologi lo hanno detto e io lo sottolineo: “non possiamo porre la questione del celibato al di sopra della celebrazione dell’Eucaristia“.
Quella parte del quarto sogno, ho la netta impressione che provenga da un’altra mano e da un altro spirito, diverso da quello a cui ci ha abituati papa Francesco. Lo conferma chiaramente il vescovo Erwin Kräutler dell’Amazzonia, figura centrale del Sinodo panamazzonico: “molte persone, ed io stesso, troviamo questa parte molto strana, perché cambia veramente stile, come se lo scritto papale avesse subito un intervento nella parte più controversa dell’Esortazione Apostolica”.
In questa parte non parla il pastore ma il dottore. Non colui che ha il coraggio di andare contro il sistema anti-vita, ma colui che si arrende ai timori e alle pressioni dei gruppi conservatori, forse per via del pericolo di una spaccatura all’interno della Chiesa. Il timore frena sempre e ritarda le innovazioni a causa di un’eccessiva prudenza. Mi vengono in mente le parole di Dante nella Divina Commedia: “nel pensier rinova la paura” (Inferno I, v. 4).
Per quanto riguarda il punto importante del ministero presbiterale, l’«autore» preferisce l’ecclesiastico tradizionale all’indigeno amazzonico. Al volto amazzonico della Chiesa preferisce, nel punto del ministero presbiterale, il volto romano-latino occidentale. Analogamente a coloro che impongono la ricolonizzazione economica dell’America Latina, l’«autore» ha preferito la ricolonizzazione latino-romana della Chiesa amazzonica. Contro coloro che, con la maggioranza dei voti nel sinodo Panamazzonico hanno accettato l’ordinazione dei viri probati, l’«autore» ha scelto la minoranza che l’ha respinta.
A chi non è cara “Cara Amazzonia?”
Sicuramente non è “cara” al presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro, di estrema destra, anti-amazzonico e anti-indigeno. Non è “caro” ai taglialegna, o ai “garimpeiros” dell’oro e alle aziende nazionali ed internazionali che hanno in mente le industrie minerarie, le centrali idroelettriche e lo sfruttamento delle risorse naturali dell’Amazzonia. Ma c’era da aspettarselo.
Ma quello che non ci si doveva aspettare per quanto riguarda l’inculturazione del ministero presbiterale era la mancata accettazione del ministero degli indigeni viri probati. Per questo la “Cara Amazzonia” non è “cara” nei confronti di questi indigeni sposati ai quali si nega l’ordinazione. Non è “cara” nei confronti delle donne, alle quali viene negato il ​​diaconato femminile, facendo inoltre presente, secondo me in modo infondato, il rischio del clericalismo. E non è “cara” soprattutto nei confronti di tanti teologi e vescovi, missionari e missionarie, che si trovano tra gli indigeni, come ha chiaramente detto il già citato vescovo Erwin Kräutler dal cuore dell’Amazzonia (Xingú). Tutti speravano veramente nell’approvazione dei viri probati: indigeni sposati e ordinati con un volto autenticamente amazzonico.
Non è stato così. Nei suoi scritti di ecologia ed economia papa Francesco ha saputo dare ascolto alla scienza. Per quanto riguarda questo specifico ministero presbiterale, sembra che l’«autore» non si sia dato pena di consultare un esperto in materia di ministeri, il cardinale Walter Kasper, amico e molto vicino a papa Francesco. Nei suoi scritti ha esposto le migliori riflessioni sul ruolo/missione del sacerdote nella Chiesa sulla base del Vaticano II. La sua posizione va in una direzione molto diversa rispetto a quella rappresentata dall’«autore» nell’Esortazione “Cara Amazzonia”. Con questa visione che mantiene il regime occidentale, clericale e a favore del celibato, non si può pensare ad una Chiesa amazzonica dal volto autenticamente indigeno.
La specificità del prete non è concentrare il potere, ma coordinare e presiedere la comunità.
La visione di quel testo nel quarto sogno risale al Concilio IV Lateranense del 1215 indetto da Innocenzo III, che dice “nemo potest conficere sacramentum nisi sacerdos rite ordinatus” (“nessuno può somministrare il sacramento eucaristico se non un sacerdote ordinato secondo il rito”).
L’ecclesiologia di questo sogno applica il rigore del Concilio di Trento, che nella sessione XIII dell’11 ottobre 1551, sotto il pontificato di papa Giulio III, ha ribadito la stessa dottrina esclusivista.
Secondo la migliore ecclesiologia nata dal Concilio Vaticano II, la funzione/missione specifica del sacerdote dev’essere pensata non in modo assoluto, ma sempre all’interno del Popolo di Dio e nel contesto della comunità.
La sua unicità non è consacrare assolutamente come un mago, ma essere nella comunità principio di coesione e di unità di tutti i servizi e carismi. Non è quella di concentrarsi, ma quella di coordinare. Per il fatto di presiedere la comunità, presiede anche alla celebrazione eucaristica.
Il problema sorge quando, senza colpa, non c’è nessun prete presente e la comunità, come riconosciuto dall’Esortazione, “a causa in parte all’immensa estensione territoriale, con molti luoghi di difficile accesso” (n. 85) non può averlo.
Nel testo si pone il problema con grande realismo e qui si vede la mano di papa Francesco: “sarà possibile evitare di pensare ad un’inculturazione dal modo in cui sono strutturati e vivono i misteri ecclesiali?” (n. 85). E aggiunge con sincerità: “è necessario far sì che la ministerialità si configuri in modo tale che sia al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione dell’Eucarestia, anche nelle comunità più remote e nascoste” (n. 86). Questa situazione è assolutamente vera. Ma l’«autore» non l’ha ritenuta tale e ci ha proposto la configurazione del ministero come dovrebbe essere.
È qui dove l’ecclesiologia di comunione potrebbe avrebbe aiutato molto l’«autore» nella sua concezione di poter consacrare. Essa ha prevalso per tutto il primo millennio come la ricerca storica ha dimostrato inequivocabilmente.
Per mille anni chi presiedeva la comunità presiedeva anche l’Eucaristia
La legge fondamentale di quei tempi era: chi presiede la comunità, presieda anche l’Eucarestia. Poteva trattarsi di un vescovo, di un presbitero, di un profeta o di un confessore, anche laico, secondo Tertulliano, che era un esimio teologo laico.
Se questo è vero, perché impedire a un indigeno sposato di presiedere la sua comunità e presiedere anche alla celebrazione eucaristica?
In questa parte si realizza quello che gli ecclesiologi chiamano “cefalizzazione” della Chiesa. Tutto il potere si concentra nella “testa“, nel papa o nel clero, prescindendo completamente dalla comunità.
In questa visione riduzionista l’«autore» ha pensato solo al prete come a colui che ha il potere di consacrare in modo esclusivo e assoluto, senza connessione con la comunità. Quindi emerge una contraddizione: un prete può celebrare da solo, senza la comunità, ma la comunità non può celebrare da sola senza il prete.
Nel successivo millennio può consacrare solo chi è stato consacrato nel Sacramento dell’Ordinazione.
Questo punto di vista non deriva da questioni teologiche, ma da questioni politiche: le dispute per il potere tra l’Imperium e il Sacerdotium, tra Papi e Imperatori. Chi detiene, in ultima analisi, il potere? Ciò appare chiaramente sotto Gregorio VII (1077). Con lui l’asse della comunità laica si è spostato verso l’asse del potere sacro (sacra potestas). Il potere assoluto lo possiede il papa. Ricordiamoci del suo Dictatus Papae che, se lo si traduce bene, significa la dittatura del papa. Tutto il potere risiede nella testa, vale a dire, nel papa e in coloro che esso delega. I latori del potere sacro saranno solamente coloro che sono stati ordinati esclusivamente nel sacramento dell’Ordine, vale a dire gli appartenenti alla gerarchia ecclesiastica. La comunità dei fedeli ormai non conta più.
Padre Y. Congar, l’ecclesiologo più erudito e importante del XX secolo, ha denunciato questa pericolosa deviazione teologica con conseguenze dannose per tutte l’ecclesiologia successiva, che dura ancor oggi. Nell’Esortazione “Cara Amazzonia” risuona ancora questo tipo di ecclesiologia del potere sottratto alla comunità.
Per questo continuano a destare perplessità le affermazioni: “È importante stabilire ciò che è specifico del prete, ciò che non può essere delegato. La risposta si trova nel sacramento dell’Ordinazione sacra, che configura Cristo sacerdote … Il carattere esclusivo ricevuto con l’Ordinazione fa sì che solo lui sia abilitato a presiedere all’Eucarestia; questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile” (n. 87).
È qui che credo – e non sono il solo – appare una “mano esterna”, con la sua ecclesiologia del potere specifico e indelegabile di consacrare, visione sacerdotalista, arretrata e scollegata dalla comunità della fede. Con questa visione invano può realizzare un’inculturazione del ministero presbiterale a indigeni viri probati sposati, che darebbero un volto veramente amazzonico alla Chiesa. Anche in questo caso si continua a portare avanti un cristianesimo di colonizzazione dentro al paradigma cattolico-romano, occidentale e favorevole al celibato.
Per porre fine a questo tipo di ricolonizzazione si deve tornare all’ecclesiologia del primo millennio, che stabiliva un’intima connessione tra la comunità e chi la presiedeva. Non si deve dimenticare il canone 6 del Concilio di Calcedonia (451), valido per la Chiesa orientale fino ad oggi e per quella occidentale solo fino al XII-XIII secolo. In questa, quella occidente, tutto è cambiato a causa delle dispute politiche sul potere tra i Papi e gli Imperatori. Al posto della visione comunionale del primo millennio si è imposta la visione giuridico-canonica della sacra potestas degli inizi del secondo millennio.
Dice il canone 6: “Nessuno sia ordinato in modo assoluto, né prete né diacono, a meno che non gli vengano espressamente assegnati una chiesa urbana o rurale, o un martyrion o un monastero. [Per quanto riguarda] chiunque sia stato ordinato in modo assoluto, il santo Consiglio ha deciso che la sua ordinazione sarà nulla o inesistente … e non potrà esercitare le sue funzioni da nessuna parte”.

Qui appare chiaro il collegamento tra la comunità e il celebrante dell’Eucarestia. Qui si presenta un problema teologico che dev’essere preso sul serio: esiste il diritto divino di tutti i fedeli a ricevere il corpo e il sangue di Gesù (Gv 6:35) e a celebrare la sua memoria (Lc 22,19; 1 Cor 11,25 ).
Questo diritto divino non può essere negato per via di una legge umana che lo vincola esclusivamente ad una sola persona, il prete celibe, senza il quale questo diritto divino non si può realizzare. Il divino si pone sempre e senz’alcuna eccezione sopra a quello umano. È Cristo che battezza, perdona e consacra, e non il prete.
D’altra parte occorre ricordare qualcosa che ha conseguenze fondamentali: dopo il sommo sacerdozio di Cristo non ci sono più preti in sè nella Chiesa. Chi porta questo nome – prete – altro non è che un rappresentante del sacerdozio di Cristo. È Cristo che battezza, è Cristo che perdona, è Cristo che consacra. Il prete non ha in sé il potere di consacrare, ma solo quello di rappresentare e di agire “in persona Christi”, al posto di Cristo, ma senza sostituirlo.
Il prete rende Cristo-Sacerdote invisibile. Perché in assenza del prete, per ragioni che non dipendono dalla comunità, un altro cristiano laico “vir probatus” dalla comunità e sposato, non può rappresentare Cristo, renderlo visibile quando, con il battesimo, partecipa anch’egli al sacerdozio di Cristo?
Inoltre il Concilio Vaticano II, riassumendo la tradizione, dice a ragion veduta: non si costruisce nessuna comunità cristiana se essa non ha come radice e come centro la celebrazione della Santissima Eucarestia” (PO 6).
Negando l’ordinazione di viri probati indigeni si nega la possibilità di costruire la comunità cristiana. Questo diritto divino non lo si può negare in nome di una legge umana e culturale come il celibato, e per un’ecclesiologia, che – tra l’altro – considera esclusivo il potere di consacrare. Qui allora non vale l’inculturazione sviluppata in modo tanto convincente nell’Esortazione “Cara Amazzonia”?. Non la s’impedisce per ragioni ecclesiologiche estranee, che finiscono per rendere impossibile il volto indigeno e amazzonico della Chiesa negando l’ordinazione dei viri probati indigeni e sposati?
Le 24 Chiese anch’esse cattoliche senza la legge del celibato
È illuminante in questo contesto ricordare che ci sono altre 24 Chiese, anch’esse cattoliche, ma non romane, come quella copta, quella melchita, quella maronita, quella etiope, quella greca bizantina, quella armena, quella siriaca, quella caldea e altre. In tutte queste chiese ci sono preti sposati e preti celibi. Non per questo sono meno “chiese cattoliche” rispetto a quella romana.
Per quale ragione la Chiesa cattolica romana è così inflessibile per quanto riguarda la legge del celibato, condizione per poter essere ordinati preti? Sappiamo che la legge del celibato si è formata lentamente nella Chiesa e che nella storia è sempre stata un problema, venendo violata da papi, cardinali, vescovi e presbiteri. E negli ultimi anni è venuta alla luce, nei gradini più alti della Curia vaticana, la violazione del celibato, aggravata dai reati di pedofilia, che sono anch’essi un modo per violare il significato del celibato.
Nell’Esortazione “Cara Amazzonia” il tema dell’inculturazione nelle culture indigene e amazzoniche, per le ragioni già indicate, non è stato portato alle estreme conseguenze, non si è andati fino alla radice. Com’è noto, nella cultura indigena non esiste la figura dell’indigeno celibe. Tutti vivono con la moglie. E lo stesso vale per il prete indigeno.
I viri probati indigeni: ostaggi della cultura romana, latina, occidentale e fautrice del celibato
Impedire a viri probati indigeni sposati di essere preti significa non calarsi completamente nella loro cultura. In essa il sacramento eucaristico dovrebbe essere celebrato da un prete indigeno sposato. Il non calarsi completamente nella loro cultura condanna gli indigeni a rimanere ostaggi per quanto riguarda il sacramento dell’Ordine, della cultura romana, latina, occidentale e fautrice del celibato. Questo significa non far loro giustizia, poiché hanno il diritto divino di ricevere secondo la loro cultura la presenza eucaristica del Signore.
Il supplet Ecclesia e il ministro straordinario dell’Eucarestia
Nonostante questo limite nella comprensione di che presiede all’Eucarestia, la comunità cristiana può ricorrere ad un altro espediente ecclesiologico assicurato nella tradizione, il famoso “supplet ecclesia“. Chiarisco: gli indigeni sposati che già presiedono le loro comunità possono presiedere alla celebrazione della cena del Signore al posto del prete celibe assente in qualità di “supplenza della Chiesa“. Fungono da ministri straordinari dell’Eucarestia e lo fanno con l’intenzione di stare con la Chiesa (cum Ecclesia), mai contro la Chiesa (contra Ecclesiam), e di fare tutto quello che avrebbe fatto il prete se fosse stato presente.
Qualsiasi situazione straordinaria richiede una soluzione straordinaria: la legittimazione del laico indigeno e sposato a presiedere alla celebrazione della cena e alla memoria del Signore. Necessità non ha legge. L’ordo caritatis (l’ordine della carità) e la richiesta della salus animarum (della salvezza delle anime) e l’oeconomia salutis (il processo storico della salvezza) supportano teologicamente tale prassi.
La stessa visione la si ritrova nel sistema giuridico-canonico della Chiesa. Il Diritto Canonico afferma esplicitamente che la legge suprema della Chiesa è sempre la “salvezza dell’anima” (canone 1752). Ciò non implicherebbe anche l’accesso senza le limitazioni imposte dalle leggi umane al sacramento dell’Ordinazione?
È ingiusto considerare le donne cristiane inferiori
Lasciamo da parte la questione del diaconato delle donne, anch’esso negato nell’Esortazione. Tale rifiuto non supera, com’era purtroppo previsto, la questione del genere e fa sì che le donne restino, per impegnate che siano nelle comunità, cristiane inferiori, di seconda categoria, come sostiene anche la cultura maschilista ancora dominante per quanto le riguarda. Sarebbe bene che nella Chiesa si rompesse con una tradizione così ingiusta. Per le donne non valgono i sette sacramenti: per esse i sacramenti sono solo sei, essendo escluse dall’Ordine.
Ricordiamo che San Tommaso d’Aquino, nella sua dottrina sui sacramenti, sosteneva che il battesimo è il sacramento dell’iniziazione alla vita cristiana e contemporaneamente è per tutti l’iniziazione a tutti gli altri sacramenti e quindi contiene i sette sacramenti. Secondo questa interpretazione del Dottore Angelico, per il fatto di essere donna, essa, la donna, riceve un battesimo minore perché le manca il contenuto del sacramento dell’Ordinazione.
Ma noi non vogliamo non ricordare un paradosso flagrante: una donna può generare un figlio che è Figlio di Dio. Questa stessa donna che ha dato alla luce questo figlio che è Figlio di Dio non può rappresentare suo figlio che è figlio di Dio. Solo per il fatto di esser donna. Le Scritture dicono che questa donna, Maria, “è benedetta tra tutte le donne” (Lc 1,41). Sembra tuttavia che non sia benedetta abbastanza per rappresentare il proprio Figlio che è il Figlio di Dio che si è fatto uomo.
Aggiungo anche il fatto che le donne non hanno mai tradito Gesù, come fecero Pietro e gli apostoli, che lo abbandonarono. Sono state sempre fedeli e sono state esse le prime testimoni del più grande fatto della fede, che è la Resurrezione. Solo per queste ragioni dovrebbero avere un posto centrale nella Chiesa, se questa non fosse stata vincolata alla cultura maschilista latino-occidentale.
Niente è più forte di un’idea quando raggiunge il suo punto di maturità
Tutto quello che ho scritto non significa mancanza di lealtà a papa Francesco, che è incrollabile in me. Vale però il vecchio detto: Amicus Plato, sed magis amica veritas. Compete al teologo cercare nuove vie per i nuovi problemi, sempre al servizio delle comunità cristiane e della stessa Chiesa universale.
Come già si è detto: “Niente è più forte di un’idea quando arriva il momento della sua realizzazione”. Verrà questo momento per i viri probati indigeni e soprattutto per le donne all’interno della Chiesa cattolica romana.
Ma quanto tarda questo momento …
Nonostante questi vincoli interni, l’Esortazione Apostolica “Cara Amazzonia” è, in questo momento cruciale della crisi ecologica come emergenza planetaria, la difesa più determinata e coraggiosa del Rio delle Amazzoni, presente in 9 paesi, fonte di vita per tutta l’umanità, garanzia del futuro della Terra e speranza della salvaguardia della nostra civiltà. Per questo non smetteremo di ringraziare papa Francesco per questo servizio profetico a vantaggio di tutta l’Umanità e per tutti coloro che amano e si prendono cura di questo bello e splendido pianeta, la nostra Casa Comune, la grande e generosa Madre Terra.
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Traduzione a cura di Pierluigi Mele



Giovedì 19 Marzo,2020 Ore: 23:01
 
 
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