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www.ildialogo.org 8 novembre 2019 incontro con padre Dario Bossi missionario comboniano in Amazzonia e padre sinodale al Sinodo per l’amazzonia a Roma dal 6 al 27 ottobre,a cura di Carlo Castellini

8 novembre 2019 incontro con padre Dario Bossi missionario comboniano in Amazzonia e padre sinodale al Sinodo per l’amazzonia a Roma dal 6 al 27 ottobre

a cura di Carlo Castellini

INTRODUZIONE ALL'ARTICOLO- RELAZIONE DI PADRE DARIO BOSSI
CHI E' DARIO BOSSI?
E' un religioso, missionario di DANIELE COMBONI, che presta la sua testimonianza di uomo e di cristiano con l'annuncio della Parola, in America Latina, ed esattamente nell'Amazzonia orientale dove hanno posto la loro missione da tanti anni i missionari comboniani. PADRE DARIO BOSSI è stato scelto come membro e padre sinodale al SINODO PER L'AMAZZONIA, presente a Roma, dal 6 al 26 Ottobre del 2019. La relazione che qui presentiamo porta la sua firma e la sua testimonianza qualificata, con idee e riflessioni personali. Grazie a MARIA SILVIA MAESTRI per l'invio a tutto il gruppo dei Giovedì della Missione.
(A cura di Carlo Castellini)

8 novembre 2019 incontro con padre Dario Bossi
missionario comboniano in Amazzonia e padre sinodale al Sinodo per l’amazzonia a Roma dal 6 al 27 ottobre
Relazione di p. Dario Bossi
Uso delle immagini così è più facile il dialogo. Usiamo spesso in Brasile questo proverbio “la testa pensa a seconda di dove si trovano i tuoi piedi”, non si può scollegare il ragionamento dall’esperienza pratica, per capire il valore di un’idea o l’apporto di una proposta. Perché le persone ragionano in un modo o in un altro a seconda dei passi che hanno percorso: per questo il sinodo, come lo vedo io, viene dal luogo dove io vivevo: ognuno vede il sinodo a suo modo e io sono stato inviato per una missione particolare, per difendere e parlare di un pezzo di Amazzonia che non è il volto tipico dell’amazzonia, ma è molto deturpato, distrutto e segnato dalle estrazioni minerarie. E in queste zone dell’Amazzonia orientale i missionari comboniani sono presenti da molti anni. È una regione in cui le estrazioni minerarie come l’acciaio, contaminano molto e hanno praticamente distrutto la foresta amazzonica. Però l’ Amazzonia è più di una riserva minerale, è uno spazio di una ricchezza estrema: è considerato il secondo spazio più geopoliticamente più importante al mondo dopo il Medio Oriente, luogo di molte risorse e una regione molto disputata; vi sono ancora più conflitti, è il secondo bioma più minacciato al mondo, dopo l’Artico che con i cambiamenti climatici sta diminuendo in modo estremo, ma anche l’ Amazzonia soffre profondamente di questi cambiamenti che sta vivendo, non è un caso che papa Francesco nella Laudato sii l’abbia citato come esempio, un banco di prova per il mondo per instaurare una nuova relazione con questo bioma: da un lato riusciremo a fermare questa distruzione planetaria, ma dall’altro dimostreremo che abbiamo imparato qualcosa di nuovo. È un territorio abbastanza grande nel continente, ma è relativamente piccolo se lo guardiamo a livello mondiale: è solo il 5% della superficie terrestre, però condensa in sé una pluralità e una vita così rigogliosa, così diversificata che ne fa uno dei biomi più interessanti dal punto di vista biologico ed etnico. L’ Amazzonia è divisa in 9 Paesi, non appartiene solo al Brasile, (anche se il nostro presidente si considera il solo padrone dell’A!) noi lavoriamo con alcune tribù indigene che si trovano in una triplice frontiera, Brasile, Colombia, Venezuela: è interessante questa spartizione sociopolitica che abbiamo fatto, che è arrivata a dividere le stesse etnie, per cui c’è un’etnia unica, però una parte sono peruviani, una parte brasiliani, questa è la differenza tra divisione geopolitica e quella etnica. Il numero delle persone è relativamente piccolo, 33 milioni, vedremo che il rapporto fra popolazione e territorio è molto importante, è un equilibrio molto delicato, molto fragile, è un territorio molto ricco con la sua biodiversità. La questione idrografica che forse è la ricchezza maggiore, il bacino idrografico noi lo consideriamo un’arteria che pulsa, che dà la vita per tutta la regione, ma anche che collega, è uno strumento di contatto tra tutti i popoli che vivono in quelle regioni. Il 34% delle foreste del mondo si trova in Amazzonia; sono 5 i doni che l’ Amazzonia fa al mondo: i fiumi aerei, che io ho imparato recentemente, perché la quantità di acqua che il Rio delle Amazzoni che viene dalle Ande e sfocia nell’oceano ed è un sistema idrografico molto grande, è enorme 17 milioni di tonnellate ogni giorno, una quantità impensabile che confluisce nel mare, ma nelle stesse proporzioni è la quantità delle acque che evapora dalle piante e quindi circola per le correnti atmosferiche con le nuvole e irrora tutto il continente a sud dell’ Amazzonia: è per questo che si chiamano fiumi arei perché se non ci fosse l’ Amazzonia tutta la parte sud del Brasile, la parte nord dell’Argentina, Uruguay, Paraguay seccherebbero, infatti alla stessa latitudine del sud dell’ Amazzonia ci sono i deserti maggiori del mondo (Kalahari, quello dell’Australia) invece da noi non c’è grazie a questi fiumi. Ha un valore estremamente importante per il continente intero. Ha questa ricchissima biodiversità e sociodiversità: ci sono tanti volti, quelli dei popoli indigeni che sono circa il 10% della popolazione, ma non si può generalizzare: non esiste un popolo indigeno, sono 380 etnie, 240 lingue parlate. Al tempo dell’occupazione spagnola e portoghese del 1500 si parlavano 1000 lingue nel contesto amazzonico! Immaginate l’estinzione culturale che la colonizzazione ha provocato, però ancora oggi c’è una diversità linguistica e culturale estrema e quindi è anche un patrimonio antropologico. Inoltre ci sono questi gruppi che sono chiamati popoli liberi, popoli isolati che sono tra i più minacciati, perché sono quelli che non vogliono farsi raggiungere, non vogliono “mischiarsi” con la civiltà esterna, perché probabilmente hanno avuto esperienze negative in passato. La legislazione cerca di proteggerli e di rispettare il loro diritto di “non incontro”, anche nel documento finale del sinodo sono particolarmente citati per tutelarli il più possibile. Poi c’è la densità etnica, oltre agli indigeni ci sono i riberiños, quelli che vivono lungo i fiumi e che hanno un ritmo interessantissimo perché regolato dalla vita del fiume, segue le stagioni della pioggia e della secca e quindi ci sono periodi in cui i fiumi sono molto stretti e periodi in cui si allargano per centinaia e centinaia di metri, oppure decine di metri in altezza: quindi la gente coltiva nel tempo della secca e pesca nei giorni della piena e adatta il suo ritmo di vita, le sue azioni comunitarie, la sua professionalità, il suo artigianato a seconda del ritmo della natura. E questa è un’immagine importante di come è possibile sì, anche simbolicamente, costruire un ritmo umano più capace di adattarsi, un adattamento reciproco: il ritmo della natura e il ritmo umano. I riberiños sono un esempio. Poi ci sono i gruppi degli afrodiscendenti, discendenti dagli schiavi deportati; in qualsiasi territorio questi gruppi sono riusciti, dopo 500 anni, a mantenere la cultura, le caratteristiche originali dei Paesi da dove venivano, dall’Africa: l’importanza di queste popolazioni ci rilancia del fare della cultura un elemento agglutinante.’ Un elemento che ti identifica e ti dà speranza e motivo per vivere. Non si sono dispersi e grazie a questo hanno mantenuto una visione, una struttura propria. E poi c’è la grande sfida delle grandi città, tutto il Brasile ha 80% della popolazione urbana, una cosa un po’ assurda di un Paese così grande e sterminato che concentra tutta la sua gente nelle grandi città: da una parte offre opportunità alla gente, ma dall’altra è un obbligo, una rassegnazione: la gente abbandona l’interno per andare nelle città perché viene espulsa dalle regioni interne o direttamente per aggressione dell’inquinamento, degli additivi chimici che usano per l’estrazione mineraria o il latifondo che sposta le persone sempre più lontano dalle loro regioni, costrette a migrare anche per mancanza di opportunità, condizioni di salute molto precaria, istruzione molto debole, si spostano in città che diventano delle bombe umane. Nel sinodo ne abbiamo parlato abbastanza.
Le minacce. Che cosa minaccia di più l’Amazzonia? Sicuramente il latifondo, questa volontà di espandere le colture dentro la foresta per produrre soia per allevare le vacche e che viene esportata: il consumo di carne del nord del mondo è direttamente collegato al disboscamento dell’ Amazzonia anche quando si parla di stili di vita che sembra più collegato a noi, alla nostra società, ma ha un impatto diretto con ambienti di altre parti del mondo. Come ad esempio la cellulosa, la produzione di eucalipto fa concorrenza con l’ Amazzonia, un’altra causa del disboscamente è la mono cultura dell’eucalipto. Le estrazioni minerarie: è una piaga, sia quella delle grandi imprese che quelle a macchia di leopardo, dei piccoli cercatori d’oro, i garimpo, che contaminano molte regioni; 30 fiumi del bacino a sono contaminati da mercurio e cianuro, utilizzati per l’estrazione dell’oro, per separare le pagliuzze d’oro dalla sabbia. Questa è un’altra minaccia, una piaga seria perché molto irregolare, illegale e pochissimo controllata. Nella cartina in viola sono le estrazioni minerarie illegali, i garimpo, in azzurro sono quelle industriali, contrattate dallo Stato, ma ugualmente dannose. C’è tutta una connessione tra i grandi progetti estrattivi e le infrastrutture, le strade, le industrie idroelettriche per produrre energia: è un sistema complesso di aggressione all’Amazzonia, la considera come un grande serbatoio da cui estrarre cose da portare via soia, carne, minerali, petrolio, acqua, legno. Questo modello, che noi chiamiamo estrattivista predatorio, è esattamente l’opposto del modello che le popolazioni vivono in Amazzonia: modello socio – ambientale, integrato, in cui hanno imparato a vivere col ritmo della natura, c’è un conflitto grande tra questi 2 modelli. Ora velocemente il Sinodo: perchè papa Francesco ha inventato questo Sinodo, da dove è venuta questa intuizione? Lui dice che ancora da quando c’era stata la conferenza di Apareçida (2007) e lui era vescovo di Buenos Aires, non sapeva niente di Amazzonia, però si è incontrato con i suoi compagni vescovi del nord e gli hanno messo la pulce nell’orecchio, perché molti parlavano della fragilità di questo bioma, poi nel 2017, in ottobre, ha aperto quella finestra, da cui ogni tanto ci sorprende, e ha detto: “convoco un Sinodo per l’Amazzonia e ha già dato alcune caratteristiche: ha detto vorrei che questo Sinodo si dedicasse principalmente ai popoli indigeni e questa è stata una chiave importante, perché ha scelto questi popoli che sono il 10% dell’Amazzonia? per tanti motivi: non solo perché sono un gruppo in estinzione, neanche perché sono folcloristici, ( hanno dato colore alla Chiesa in Vaticano!), ma soprattutto perché nell’intuizione di questi popoli trova un’ispirazione, un modo per relazionarsi col resto della creazione. Non sono un oggetto della nostra preoccupazione, ma sono il soggetto di un modo nuovo di pensare il mondo. In un certo senso si inverte anche il processo di apprendimento: che cosa la loro cultura ci può insegnare? Nel gennaio 2018 papa Francesco ha voluto incontrarli e è andato in Perù e lì ha detto due cose importanti per questi popoli che oggi sono più minacciati e poi ha detto loro: “mi aspetto che voi aiutiate i nostri missionari ad imparare un nuovo volto amazzonico”. Ha fatto questa inversione, cioè che dobbiamo imparare da loro anche dal punto di vista religioso, è una sfida perché noi missionari abbiamo spesso la convinzione che andiamo a insegnare, volere o no anche con tutta la teologia che studiamo, c’è sempre questo atteggiamento del buon samaritano e invece lui ci dice che dobbiamo reimparare a cogliere il valore della evangelizzazione che, prima di tutto, si fa evangelizzare, ha molto da imparare, tanto è che nel documento finale del Sinodo si dice che la Chiesa deve desimparare e reimparare e finalmente rilanciare il cammino! Sono due verbi importanti! Cioè smontare certe convinzioni, certi assoluti e reimparare con la cultura che si incontra e camminare insieme. Abbiamo fatto un documento di studio che abbiamo applicato in tante situazioni: durante 8 mesi di lavoro abbiamo incontrato circa 87.000 persone, in gruppi, circoli, barache delle persone, assemblee molto numerose, incontri con gli studenti, con professori universitari, anche con persone di altre religioni, tutte però con l’idea: “aiutateci a capire che cosa pensate voi del Sinodo”. I 9 Paesi hanno risposto in un modo molto ricco, sono stati prodotti molti documenti scritti (più di 260 arrivati in Vaticano) oltre a migliaia di prodotti della consulta popolare. Il papa ha detto: “ io vorrei che incontraste soprattutto i popoli indigeni” e allora noi abbiamo incontrato 172 etnie delle 380 che popolano l’ Amazzonia: più del 40% dei popoli indigeni è stato consultato, il che dà un peso a questo Sinodo, non è un sinodo di ufficio di alcuni funzionari della Chiesa, è un Sinodo che sta trascinandosi la parola, le aspettative, le esperienze, le speranze di molta gente e questo ci ha un po’ legato le mani perché dobbiamo tornare a restituire tutto il lavoro fatto e loro stanno aspettando per sapere se quello che hanno detto si manterrà! siete stati fedeli, si tradurrà in quali scelte? Così in ottobre abbiamo avuto queste tre settimane, il gruppo era minore non potevano venire 87.000 persone! Quindi c’erano tutti i vescovi della Panamazzonica, ma il papa ha arricchito questo spazio con una pluralità di persone: c’era un gruppo numeroso di donne (35), un numero di indigeni (17) e poi c’erano vari specialisti (alcuni scienziati, antropologi, rappresentanti dell’ONU, non politici però, volutamente lasciati fuori, teologi, pastoralisti) per dare una forza strutturata alle idee. Così questa mistura di volti e di colori è stata la caratteristica del sSinodo, dentro. E fuori poi c’era la Tenda dell’ Amazzonia casa comune con molta più gente ancora, durante tutto il mese, testimonianze, dibattiti, incontri, preghiera, celebrazioni, processioni, una vitalità incredibile più di 150 eventi: chi era a Roma in quei giorni non poteva non “vedere” l’ Amazzonia presente: abbiamo un po’ “amazzonizzato” quella zona di Roma! Alcune parole chiave come riassunto del sinodo: uso questa immagine come simbolo quando il primo giorno abbiamo fatto la processione da S. Pietro fino alla sala sinodale, mi ha sorpreso molto perché quello spazio di S. Pietro che generalmente per me, nella nostra cultura, è lo spazio della solennità celebrativa, in quel giorno, anche in un modo inaspettato, si è creato questo circolo in cui cardinali, vescovi, preti si sono mischiati con gli indigeni, agenti di pastorale, gruppi molto attivi in Brasile, laici, donne e la celebrazione ha avuto un tono molto amazzonico con canti , preghiere tipiche, alcuni simboli tipici, poi sono usciti in processione e chi la guidava erano i cartelli di circa 20 – 25 martiri dell’ Amazzonia : un gesto molto forte i martiri che aprivano il cammino e dietro la gente, il protocollo romano aveva organizzato tutto, ma invece si sono mischiati tutti! Chi ha confuso è stato il papa che è uscito dal suo posto e si è messo insieme agli altri: questa mistura che è espressione della vita, perché nessuno vive mai separato. È stata veramente una processione viva, dietro a questi uomini e donne vivi martiri …è stato un gesto molto forte. Questa pluralità circolare che abbiamo celebrato a Roma ci porta a vedere alcune parole chiave, che sono il frutto finale del sinodo: una è urgenza, la Chiesa ha assunto in modo ufficiale che non si tratta di un tema, quello dell’emergenza ambientale, uguale agli altri, ma è assolutamente urgente se non lo si risolve in breve, se non lo si affronta seriamente non ci sarà più tempo; una delle parole che si ripetevano al Sinodo era: più tardi sarà troppo tardi! Il tema dell’urgenza è una cosa che la Chiesa ha assunto con vigore; fatto è che quando papa Francesco ha pubblicato la Laudato sii nel 2015, ha fatto apposta a presentarla con un’incidenza grande perché arrivasse a tempo per la Conferenza sul clima di Parigi e poi forse è stata l’elemento internazionale più importante di questi ultimi anni. Quindi la politica, la società e la Chiesa devono convincersi che è molto urgente. Adesso vengo dalla Germania dove abbiamo fatto alcuni incontri: la sensazione dell’urgenza là è ancora più forte, pur essendo la Germania uno dei Paesi che più inquina, c’è questa sensibilità contradditoria. L’urgenza però non è un’urgenza che ci porta come scarafaggi impazziti, come diciamo in Brasile, che corrono senza sapere cosa fare! Occorre una strategia profonda, molto consistente e passa dall’ascolto: questa è stata un’altra parola forte del Sinodo per comprendere come uscire da questo vicolo senza uscita che il sistema attuale ha creato, l’unica maniera è ascoltarci gli uni e gli altri e ascoltare le culture che consideriamo meno tecnologiche, meno sviluppate che, al contrario hanno qualcosa di più ricco da provocare in noi. L’ascolto si fa anche alleanza, l’alleanza è un’altra categoria biblica, è la parola che in quei mesi in cui abbiamo fatto consultazioni con la gente che ci chiedeva di restare loro a fianco. “Non occorre che parli al nostro posto noi vogliamo che restiate al nostro fianco con voi abbiamo una forza maggiore”. Si è approfondito molto il tema dell’ecologia integrale, che è molto approfondito nella Laudato sii: è ben chiaro il progetto che parla di politica, educazione, di stili di vita e anche un modo di essere Chiesa più attento alla vita del pianeta, alla relazione tra tutte le creature. Questo paradigma lo abbiamo ripreso, però lo abbiamo applicato concretamente all’ Amazzonia. Per ultimo la parola forte conversione, cioè la Chiesa che non dice dall’alto in basso bisogna cambiare, ma la Chiesa che dice io voglio cambiare, devo cambiare su tanti aspetti: dal punto di vista pastorale, culturale, della capacità di dialogare tra le culture, ecologico e sinodale dal punto di vista della partecipazione della gente nell’essere Chiesa. È chiaro che il Sinodo non ha parlato solo di questioni ambientali, si è approfondito molto il volto amazzonico di essere Chiesa, la chiamiamo inculturazione, la capacità di non replicare la Chiesa come una fotocopia che si vende alle culture e deve essere accettata nei limiti nei casellari che abbiamo disegnato. Anche noi dobbiamo farci disegnare dagli altri, senza perdere l’essenza chiave del vangelo; si è approfondito molto questo, poi si è parlato di ministerialità, del coinvolgimento dei laici e delle laiche.
Dibattito:
  • La politica non era coinvolta direttamente, ma i Paesi dell’Amazzonia che cosa hanno pensato , hanno temuto questo Sinodo?
La dottrina sociale della Chiesa ci ha aiutato a comprendere che uno dei compiti più ricchi della Chiesa è quello di generare relazioni di pace e di giustizia tra le persone: papa Francesco nella Evangelii gaudium dice che evangelizzare è rendere presente il regno di Dio nel mondo. Fare in modo che Il nostro credere in Dio si concretizzi in relazioni che siano “divine” tra di noi, come Dio le sogna! Alcuni hanno criticato anche dal punto di vista politico: “ Chiesa non metterti in questo perché non è il tuo compito” ma, sinceramente questo, fin dall’inizio del vangelo e della bibbia, è la nostra missione, anche nel libro della Genesi si dice che Dio ha messo nelle mani dell’umanità il mondo da curare e custodire: questo è il nostro compito, però abbiamo chiaro che la Chiesa non è un partito, non è un governo, non ha né il dovere né il diritto di governare un Paese, quello che si dice sovranità popolare. Anche il nostro presidente dice che la Chiesa cattolica si sta intromettendo nella sovranità nazionale: noi rispondiamo che il dovere di amministrare è del presidente, ma la Chiesa ha il diritto e il dovere di denunciare se la sua amministrazione provoca morte, persecuzione, distruzione…non possiamo stare in silenzio , che è un po’ la funzione profetica della Chiesa. Questo ha creato tensioni, per esempio è apparso sui giornali che i servizi segreti stanno spiando il sinodo, un bel segreto pubblicare sul giornale cosa state facendo! È un modo intimidatorio, siamo al limite della conflittualità. Quindi stiamo cercando di non invadere spazi, ma nello stesso tempo di non tradire la missione cristiana, poi il presidente voleva che alcuni politici partecipassero al Sinodo, ma il papa in questo è stato molto chiaro: solo i vescovi! Il problema che il nostro governo, sempre più aggressivo sia nei riguardi dell’ambiente che dei popoli, ha preso delle posizioni molto dure nei confronti della Chiesa, per i vescovi, per organizzazioni pastorali, è un rapporto difficile attualmente.
  • Che cosa possiamo imparare dai popoli amazzonici uguaglianza nella diversità?
  • La Chiesa e la donna
Una delle ricchezze più grandi delle culture indigene è esattamente il valore della relazione: un vescovo che è stato segretario al Sinodo diceva che la differenza grande tra la cultura indigena e la cultura occidentale, senza volere fare manicheismi dicendo che loro sono perfetti oppure il contrario, ogni cultura ha le sue luci e le sue ombre, però quali sono le luci indigene che magari da noi sono ombre? Lui diceva che la cultura occidentale tende ad accumulare denaro e potere, crescere economicamente e in fama e autorità. Per gli indigeni ha valore intrinseco il tessuto di relazione, tendono ad accumulare relazioni. Questo determina anche il valore della felicità. Che cosa vuol dire vivere bene per un occidentale e per la cultura indigena? Spesso noi siamo deturpati da questa cultura che ci spinge a credere di essere felici perché abbiamo sempre più risorse, opportunità, spazi, mentre nella cultura indigena c’è questa questione di arricchire sempre più le relazioni, a tradurre nella comunità valori come l’eticità, il rispetto tra le generazioni, la cura delle relazioni con le altre specie viventi e la cura della relazione con il trascendente; questa spiritualità che vivono nel quotidiano del loro relazionarsi con la natura, ma non perché adorano una pianta, per un pantheismo, (si banalizza dicendo che sono i soliti pagani), ma hanno la profondità di cogliere che, in questo tessuto costantemente vivo e interattivo di relazioni, c’è una manifestazione di Dio, il che è anche una intuizione cristiana, ci sono spazi di interazione per arricchire la nostra spiritualità e anche per dialogare con loro, sono molto aperti: se riuscissimo a scoprire e a ravvivarci gli uni gli altri con il meglio della nostra cultura, invece a volte ci si ferma a catalogare l’altro perché, essendo diverso da me mi spaventa, mi minaccia, lo considero inferiore.
Il tema della donna è stato uno dei più dibattuti al sinodo: le donne sono i 2/3 nelle nostre comunità, inoltre la vita quotidiana ha un impatto diretto maggiore sulla donna che sull’uomo (aggressioni, violenze, deturpazione della vita…) perché la donna è quella che cura di più la relazione col territorio, con le generazioni, la cura dei piccoli nella famiglia. Ad esempio ci sono studi molto interessanti sul rapporto tra l’estrazione mineraria e la condizione della donna, certi impatti non sono distribuiti orizzontalmente, in modo democratico, le donne sono quelle che soffrono di più, ma, nello stesso tempo, nei movimenti sociali sono le più attive, più dinamiche, più forti. Si è toccato molto nel Sinodo il tema della donna, appare almeno 18 volte nel documento finale sia rispetto all’iniziativa, al protagonismo, al fatto che le donne spesso sono vittime, si parla anche della tratta delle donne, del machismo che nel documento non appare come parola, ma se ne è parlato molto del machismo nella società e nella Chiesa e da quanto la donna è segnata da questa violenza. Nel Sinodo si è parlato molto del ruolo della donna nella comunità cristiana e si è cercato di vedere come permettere che la donna abbia uno spazio istituzionale più consistente nella comunità cristiana. Le risposte non sono state all’altezza delle aspettative. Il papa ha detto che sul tema della donna “siamo andati corti”! il dibattito è stato maggiore del risultato scritto, il che dimostra che c’è ancora una certa paura e molta prudenza. E poi il papa ha usato un’altra espressione: “io raccolgo il guanto perché le donne durante il sinodo hanno parlato molto e molto bene, parlavano col cuore” la maggior parte degli indigeni erano donne e parlavano con forza, visceralmente, anche in modo poetico. Il papa si è sentito molto toccato, gli è stato gettato il guanto della sfida di prendere questo tema in modo più radicale: attenzione però non dobbiamo semplicemente pensare come a una condizione sostitutiva, cioè quello che prima lo facevano gli uomini, lo fanno ora le donne, ma dobbiamo cogliere quella che è la caratteristica tipica della donna e il suo potenziale perché possa esprimerlo nel modo più pieno nella Chiesa. I risultati concreti sono stati pochi, ma si sono aperti dei processi, uno quello sugli ordini minori, lettorato e accolitato che il codice di diritto canonico riferisce agli uomini. Quello che è stato più importante, secondo me, è stato quello di proporre il ministero per la donna coordinatrice di comunità che di fatto già esiste, però il ministero istituito è qualcosa di importante, perché dà una rilevanza, una autorità, una identità formale, pastorale, riconosce ufficialmente la donna sia nell’ambito della comunità cristiana che nell’ambito civile, per cui in molte occasioni in comunità lontane, dove la comunità cattolica non ha il suo rappresentante, che magari è lontano chilometri, la donna coordinatrice di comunità può essere anche la rappresentante civile della comunità cattolica! È un ruolo importante che può aprire spazi interessanti che hanno a che vedere con il ruolo della donna nel governo della Chiesa. Altro argomento il diaconato femminile: nei 12 gruppi di lavoro si è dibattuto molto e di questi 8 avevano esplicitato l’importanza che fosse conferito il diaconato alle donne. Dal punto di vista canonico non ci sono impedimenti, si tratta però di un processo in cui occorre discernimento: su questo esisteva un problema perché essendo un Sinodo speciale per una Regione del mondo, questo toccherebbe un tema universale, anche se ribadivano che era richiesto per quel territorio specifico. È rimasto in sospeso per questa doppia interpretazione, però il papa ha detto: “a partire da quanto emerso in questo sinodo voglio creare una commissione allargata che torni a studiare il tema e lo consideri con la chiave del contributo amazzonico”. Questo fatto è importante perché c’era già stata una commissione che non era riuscita a arrivare a una conclusione: allora se il papa se dice che la riapriamo e la allarghiamo, è difficile che la riapra senza arrivare a una conclusione. Si sono aperti dei processi che sono inarrestabili, perché ha iniziato a far sentire una voce questo “guanto”delle donne che stanno chiedendo e offrendo proposte esplicite. Questo è un percorso che sta avanzando.
  • Le risorse oggi nella Chiesa
Quando hanno chiesto al papa “il prossimo Sinodo su che cosa sarà”? il papa ha risposto: “il prossimo Sinodo sarà sul Sinodo! cioè vuole studiare in un modo più concreto, più efficace, come si possano consolidare questi processi partecipativi di ascolto e di sviluppo in un coinvolgimento più ampio e permanente della Chiesa. Un po’ nella linea della collegialità delle Chiese, l’importanza di ascoltare la voce degli altri episcopati, del non centralizzare la Chiesa solo nella visione romana: la Chiesa per essere cattolica ha bisogno dell’apporto di tutti! Quindi un Sinodo sul Sinodo: lo dico con speranza perché abbiamo fatto esperienza di questo processo di ascolto della gente che ha creato dinamiche nuove! perché in certe comunità dicevano così (lo dico fuori dai denti!) : “è la prima volta che il vescovo, viene, si siede e non dice niente!” questo viene da un gesto molto bello del papa. Nei mesi precedenti al Sinodo aveva chiamato a Roma il consiglio presinodale, esperti da varie parti del mondo, ma principalmente latino americani: dicono che il papa entrava tutti i giorni nella sala del consiglio con la sua valigetta, si sedeva al tavolo, ascoltava tutto, prendeva nota poi alla fine della giornata chiudeva il quaderno, chiudeva la valigetta e usciva. Ma fuori era simpatico, beveva il caffè con tutti, raccontava barzellette, però dentro scriveva; dopo tre giorni gli dicono: “scusa ci chiami da tutte le parti del mondo perché dobbiamo preparare un Sinodo che se ne parlerà nel mondo intero, devi dirci qualcosa, che cosa ne pensi, che cosa dobbiamo fare, dicci perlomeno se stiamo facendo bene”. L’ultimo giorno ha preso la parola e ha detto: ”vi ringrazio molto, ho imparato tanto dall’ascoltarvi: è questo che voglio da voi, come primo passo del Sinodo l’ascolto” Questo processo di ascolto ha creato una orizzontalità, un ribilanciamento di relazioni che ha sorpreso la gente e l’ha fatta sentire più partecipe. In alcuni casi, con alcune associazioni e popolazioni indigene che avevano una frizione grande con la Chiesa con un passato e anche un presente aggressivo, coloniale, impositivo… invece con questo modo di approssimarsi questi gruppi si sono sorpresi che c’era qualcosa di diverso: la Chiesa che si è messa ad ascoltare anche le altre religioni. La prima cosa della sinodalità è l’ascolto, il dialogo, il contributo di più persone avviene in modo più consistente e poi, tutto lo sviluppo di questo ascolto è quello che ci tocca ora, tornare e reincontrare i gruppi perché sarebbe un tradimento per quelle centinaia di attività che abbiamo fatto; torniamo per concretizzare, a partire dai protagonismi locali, tutto questo percorso e molto di quello che è emerso.



Mercoledì 27 Novembre,2019 Ore: 18:48
 
 
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