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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org PAOLO VI E DINTORNI MA FUORI DAL MITO: IL DIALOGO INTERVISTA IL GIORNALISTA ERNESTO MIRAGOLI TITOLARE DEL SITO WWW.WEBALICE.IT,DI CARLO CASTELLINI

PAOLO VI E DINTORNI MA FUORI DAL MITO: IL DIALOGO INTERVISTA IL GIORNALISTA ERNESTO MIRAGOLI TITOLARE DEL SITO WWW.WEBALICE.IT

DI CARLO CASTELLINI

1. Morto un papa scoppia l'orgia della retorica encomiastica che si concreta in una sorta di imbalsamazione agiografica, che poco serve a capire la storia. E' ciò che è avvenuto anche per PAOLO VI.
Cosa ci puoi dire? E' stato vero per tutti i papi? Mi sembra di capire specie per papa GIOVANNI PAOLO II?
Retorica encomiastica? Vero per Giovanni Paolo II ed anche per Giovanni Paolo I, ma per Paolo VI direi proprio di no. Ricordo bene quel 6 agosto 1978. Il papa morì a Castelgandolfo. La notizia si diffuse con rapidità. Lavoravo ad un quotidiano cattolico di Como, L’Ordine, ed ebbi modo di leggere agenzie di stampa e molti commenti di quotidiani nazionali ed esteri. La mia impressione fu che si parlò di Paolo VI con molto rispetto, accennando al dolore, ma non si andò oltre a questo. Paolo “mesto” (già ribattezzato così quando era ancora in vita) fu persona autorevole, rispettata, amata, ma non nel senso che successivamente siamo stati abituati ad intendere quest’ultimo verbo. Paolo VI è stato amato nel profondo del cuore di molti ai quali interessa poco che il papa sbraiti, faccia passeggiate panoramiche agitando il pastorale, ondeggi ritmicamente al suono di un canto…Paolo VI non l’ha mai fatto e non l’avrebbe mai fatto perché non era nelle sue corde (come non è nelle corde di Benedetto XVI).
Quando morì nessuno l’acclamò “santo subito” perché non aveva abituato la comunità cristiana a sfornare santi e beati a quintalate in quanto riteneva la santità una meta da raggiungere personalmente alla quale tutti devono sentirsi vocati, ma i santi da indicare come modelli di vita cristiana devono essere centellinati.
2. Un'altra distorsione molto facile e frequente è quella di isolare in maniera fissistica un aspetto del pontificato e di farne la chiave interpretativa e di lettura di tutta la personalità. E' così? Come evitare questa tendenza ed essere più autentici ed umani?
Sì, è nella natura delle cose. Non solo per quanto riguarda la lettura di un pontificato in vita e post mortem del pontefice, ma di tutte le personalità che reggono le sorti di un’istituzione per breve o lungo periodo.
Paolo VI è ancora ritenuto il papa del tormento interiore.
E’ vero e non è possibile cambiargli questa caratteristica perché fu la storia che visse che tormentò questa persona amante di Cristo, amante della Chiesa (si legga il suo testamento spirituale), amante del mondo, in costante tormento interiore (e Jean Guitton ne fu testimone) su come presentare il Vangelo di Cristo in un mondo che, quando divenne papa, era già diverso dagli anni in cui visse il suo sacerdozio. Il mitico ’68 trovò Montini al timone della barca di Pietro e lui, che era d’intelligenza superiore alla media, capì che le cose stavano cambiando molto prima di tanti intellettuali laici ed ecclesiastici. Queste qualità gliele riconobbero ecclesiastici che lo seguivano ed anche quelli che furono molto critici con lui, ma anche laici che non furono mai teneri con la chiesa, quella con la “c” minuscola.
Montini, che era un decisionista su cose di ordinaria amministrazione perché aveva il dono di andare al cuore del problema, soppesava i pro ed i contro quando sapeva che toccava a lui l’ultima parola su temi che coinvolgevano la Chiesa e la Società civile.
Fu così quando si trattò di morale coniugale (Humanae vitae), di riflessione sul ministero sacerdotale (Sacerdotalis coelibatus), di rispondere a grandi interrogativi umani come la cattura e la morte di Aldo Moro (Lettera alle Brigate Rosse e preghiera ai funerali di Aldo Moro). Sai che la famosa lettera alle Brigate Rosse ebbe ben quattro redazioni? Il papa la scrisse e mandò mons. Macchi in Segreteria di Stato dove si limarono alcune frasi; il papa la riscrisse (sempre di suo pugno) e si fece avanti e indietro dall’appartamento papale alla Segreteria di Stato fino alle ore piccole.
Al di là di questo aneddoto confermo che l’immagine che passa tuttora è quella di un papa tormentato.
3. E' più facile per me pensare a papa Montini come a fine diplomatico, (l'immagine fissa è quella del Montini, dietro la cattedra di Pio XII, papa Pacelli, in piedi, attento e concentrato), ma anche valorizzatore e riabilitatore di Don Primo Mazzolari, accoglienza di Oscar Arnulfo Romero che a uomo della profezia.
Eppure Montini ha criticato la diplomazia, ed ha avuto un suo concetto originale di Chiesa e della Diplomazia vaticana: aiutami a capire. Sono fuori dal seminato?
No, non sei fuori dal seminato.
La vera grandezza di Paolo VI è stata saper coniugare la diplomazia con il profetismo. Non sempre vi è riuscito, ma si è sforzato di farlo.
Finì in diplomazia pontificia più per segnalazioni di amici del padre (avvocato, noto esponente del Partito Popolare bresciano, direttore del quotidiano di Brescia) che per sua ricerca di carriera, ma mantenne sempre il contatto con la realtà non solo come assistente universitario della F.U.C.I, ma anche incontrando i “clandestini” del Partito Popolare durante il regime fascista, gli ebrei perseguitati dalle leggi razziste di Mussolini.
Non voleva fare il diplomatico (a testimonianza ci sono sue lettere personali ai familiari), ma imparò a farlo perché così gli chiedeva la chiesa che amava.
La sua carriera diplomatica non fu senza ostacoli interni (ad es. il card. Pizzardo sulla cui tomba si recò a pregare pochi giorni prima di morire) e finì male perché Pacelli lo “promosse” arcivescovo di Milano, ma senza dargli il galero cardinalizio, ma credo che Montini abbia sempre cercato di essere un uomo di Chiesa che fa il diplomatico per la chiesa e non viceversa.
4. Paolo VI, è noto “lippis et tonsoribus”, non è un papa che ride. Gli amici ne soffrivano e alcuni ritenevano che in questo si trovasse la radice della sua scarsa popolarità. Lo storico più popolare della città di Brescia, Antonio Fappani, gli ha inviato una lettera dal titolo: ”Santità, ci regali un sorriso”.
Cosa dire? Solo un papa serio e teso? O sono solo apparenze?
Sorrisi ce ne ha regalati tanti. Risate sguaiate, nessuna.
Non sono solo apparenze. E’ nel DNA di ciascuno di noi. Ci sono persone dalla risata sonora, fresca, comunicativa e contagiosa (ad es. papa Francesco) e persone che sorridono ed a volte ridono (ad es. papa Benedetto XVI), ma non riescono a farlo fragorosamente.
A molti estimatori di Paolo VI dispiace che Montini non si sia mai scompisciato dalle e nelle risate. Il suo segretario don Pasquale Macchi, in proposito, una volta disse che il papa era divertente, ironico anche nella quotidianità. Se non ricordo male la stessa affermazione la fece il card. Siri (non particolarmente filo Paolo VI) in un’intervista a Benny Lai.
5. La sua, quella di Montini, sembra quasi una vocazione, ma pilotata e predestinata già fin dai primi anni, allo studio - che gli piace - ma anche alla diplomazia, alla quale viene orientato. È mons. Giacinto Gaggia, antifascista, che lo consacra sacerdote, nel 1920, che lo manda a Roma, dove si iscrive alla Gregoriana per Filosofia e all'università statale per Lettere, perchè lui si sente anche incline ad approfondire questioni di studio; ma lui verrà orientato a dedicarsi al lavoro burocratico della segreteria di stato dove suo superiore sarà il card. Tardini.
Ma questa più che volontà di Dio, mi sembra volontà dei suoi educatori sia pure illuminati. Non è così, Ernesto?
Sì. Tutte le biografie e le testimonianze sul fatto che “dgbm” (come si firmava per gli amici: don Giovanni Battista Montini, ma anche dongibiemme, quando scriveva articoli) sia stato orientato alla diplomazia pontificia con ruolo di progressiva importanza in Segreteria di Stato dove fu apprezzato e valorizzato da Pacelli (allora Segretario di Stato) concordano.
Fu volontà di Dio o volontà dei superiori/educatori?
Per me furono tutte e due le cose.
La volontà di Dio, per tutti noi, s’incontra nella quotidianità del Padre Nostro quando accettiamo che “…sia fatta la tua volontà” e la Sua volontà si coglie nella nostra quotidianità. Spesso gli altri sono strumenti inconsapevoli della volontà di Dio.
Montini è stato un diplomatico prezioso per quel momento storico della chiesa in cui prestò servizio alla segreteria di Stato. Era il numero tre: c’era il papa, c’era il Segretario di Stato e c’era lui e la Chiesa doveva misurarsi con un’Europa che usciva da una guerra e ne stava preparando un’altra. Un’Europa che iniziava a vivere la dittatura (franchista, fascista, nazista, comunista) e viveva i fermenti del Modernismo e della riflessione critica sul modo di vivere il Vangelo come imposto da un Vaticano post Pio X perché le riflessioni critiche di Rosmini, Murri, Bonaiuti e teologi d’Oltralpe fermentavano fra i cattolici.
La Chiesa doveva misurarsi con un mondo che aveva inventato la bomba atomica per autodistruggersi, ma nel frattempo scopriva il progresso per arricchirsi e conservarsi.
Alla Fondazione Paolo VI di Brescia si può studiare quel che fu il Montini di quei tempi e come si rapportò con il mondo intero, sia con i potenti di quel momento che con i pensatori che erano guardati di traverso dall’establishment ecclesiastico.
6. Don Montini frequenta per un solo anno il Seminario Lombardo di Roma (1920-21). L’anno successivo è catapultato all’ Accademia Pontificia di Nobili Ecclesiastici, la scuola dei quadri diplomatici della Santa Sede. La chiamata è voluta personalmente dal Card. Gasparri sollecitato dal bresciano, amico di famiglia dei Montini, on. Longinotti. Ma la diplomazia lo infastidisce, perchè gli sembra in contrasto con il Vangelo e non gli permette di approfondire i suoi due amori: la vocazione intellettuale e la sua azione tra i giovani. E' un diplomatico mancato Giovanni Battista Montini?
È un diplomatico predestinato, non mancato.
Dongibiemme si sentiva vocato allo studio ed all’azione pastorale. Lo scrive spesso ai suoi familiari ed amici. Quando lo chiamano per la Segreteria di Stato come minutante scrive che accetta “…con trepidazione, ma confida nell’aiuto del Signore”.
Montini è colto, ma soprattutto intelligente e quindi s’immedesima nel ruolo per capire i suoi compiti e come li deve svolgere.
E’ una macchina da guerra, diranno i suoi collaboratori romani, poco abituati all’efficienza nordica. Montini è in ufficio alle 7 e mezza del mattino e sbriga tutte le pratiche, anche a costo di tirare le 10 di sera. La sua tabella di ricevimento dei collaboratori parte dalle 8 del mattino (orario poco consono al clero romano). Nel pomeriggio le udienze riservate a diplomatici, politici, personalità degli affari o altro - per il ruolo che progressivamente va ricoprendo – partono dalle 14 (quando a Roma in genere si va a pranzo).
Questo ritmo lo terrà per tutta la vita, anche da papa. Ce lo conferma don Pasquale Macchi che fu suo segretario da quando Montini fu nominato arcivescovo di Milano.
Montini s’imponeva un ritmo di vita quotidiano in cui c’era spazio per la preghiera e per il lavoro.
Predestinato – per volontà di Dio? – al lavoro diplomatico, imparò il mestiere e lo seppe far bene perché il Segretario di Stato Pacelli lo nominò Sostituto per gli Affari Ordinari, senza promuoverlo mai vescovo. Quando Pacelli divenne papa mantenne i suoi due collaboratori (Montini e Tardini) al loro ruolo di Sostituti, ma non li ordinò vescovi.
Ma il diplomatico predestinato – anche se non si sentiva vocato – non dimenticò mai la sua vocazione: dal Vaticano usciva per incontrare i giovani universitari (fu qui che conobbe Moro, Gonella...) e per incontrare il clero di Roma.
7. Come si fa a spiegare ai giovani che non vanno in chiesa, che Paolo VI è un “santo attuale”, capace anche di andare controcorrente, testimone della luce di Cristo, un eccezionale maestro della fede in Dio e nell'uomo”, un pontefice che soffrì per Cristo e per la Chiesa, così si esprime il Card. Angelo Becciu, la distanza che si è formata è troppo grande, non pensi? Che fare allora?
Non si può spiegare.
Scusa la franchezza, ma penso che Becciu abbia detto delle cose vere, ma di circostanza.
Anzitutto penso che Montini non si ritenga degno degli altari.
Non ho conosciuto così bene Paolo VI da poter fare questa affermazione con sicurezza, ma penso che Paolo VI non abbia mai aspirato all’onore degli altari e se gli fosse stata proposta una causa di canonizzazione simile alla sua l’avrebbe fermata perché aveva quel sensus Ecclesiae che gli faceva ponderare (magari “da tormentato”) fino alla fine i pro ed i contra per queste cose.
In secondo luogo penso che perché Paolo VI possa essere presentato come santo attuale, si debba fare molto di più che una cerimonia in Vaticano dove Paolo VI è stato canonizzato assieme ad altri sei “santi”, tutti meritevoli, certamente, ma che finiscono per confondersi l’uno con l’altro.
Paolo VI non faceva “la giornata delle canonizzazioni”.
Se non ricordo male Paolo VI, in quindici anni di pontificato, ha canonizzato una quarantina di santi – poco meno di tre all’anno, in media - dedicando a ciascuno una giornata (al massimo a due persone).
Con Giovanni Paolo II siamo andati giù di brutto e con papa Francesco anche; quasi seguendo il “todos caballeros” di Carlo V.
Così facendo non si aiuta ad approfondire la figura della persona che la chiesa intende indicare come “amici e modelli di vita”.
Quanto ha detto il card. Becciu è verissimo, ma occorre una “strategia di marketing” per far capire questa figura, altrimenti finirà che Brescia e Milano per un po’ sapranno che Paolo VI è santo, ma poi non sapranno più nemmeno chi fu e perché è diventato santo.
8. Secondo un detto dall'origine incerta da molti attribuito a san Vincenzo di Lerins: “Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”; ai contemporanei di Giovanni Battista Montini non è sempre stato chiaro, in quali tra queste categorie inserire il papa di Concesio: tu in quale di queste categorie ti senti di inserirlo?
Sono certo che Dio, nella terza persona della SS. Trinità, ci ha donato Paolo VI.
Dio non ha tollerato o inflitto Paolo VI alla Chiesa.
Non conosco tutti i cardinali che parteciparono al conclave dopo la morte di Giovanni XXIII, ma è singolare il fatto che Montini entrò papa ed uscì papa. Anzi…stando alle voci entrò papa anche al conclave seguito alla morte di Pio XII!
Montini fu osteggiato da pochissimi cardinali che facevano capo al card. Siri (altro papabile in tutti i conclavi) che, alla domanda di Benny Lai sulla voce che girava che Montini potesse essere il nuovo papa, rispose con un: “Montini? Montini no!” dando un pugno talmente forte sul tavolo che gli si staccò la pietra preziosa dell’anello vescovile.
Serviva un papa che sapesse condurre il concilio Vaticano II dove si doveva saper conciliare le istanze della potente curia romana (Cicognani, Ottaviani…) con quelle dei vescovi che puntavano su una chiesa più pastorale (Lercaro, Lorsheider…). Montini conosceva la curia e aveva fatto esperienza pastorale sia da giovane prete, sia come vescovo della più vasta diocesi del mondo.
Serviva un papa che sapesse conciliare le nuove istanze della teologia biblica, dogmatica e morale che stava ricevendo sempre più sollecitazioni dagli studi di teologi d’Oltralpe (il giovane Ratzinger, ma anche Bultmann, Barth, Rahner, Schoonenberg…) con la classica teologia biblica, dogmatica e morale che era codificata e quasi mummificata da teologi e cardinali di peso. Montini conosceva bene la “vecchia” teologia, ma conosceva bene anche le nuove proposte perché dialogava con gli intellettuali del tempo, soprattutto di scuola francese.
Serviva un papa che sapesse coniugare le varie anime presenti al Concilio componendo le frizioni e dando consigli al moderatore del Concilio (mons. Pericle Felici) e Montini sembrava la persona più adatta.
Per me Paolo VI fu un dono di Dio.
La storia successiva mette in evidenza sue incapacità ed errori che fece.
Sono d’accordo.
Sono d’accordo quando si parla di Humanae vitae e di Sacerdotalis coelibatus. Ma vorrei ricordarti che è facile giudicare gli eventi con il senno di poi. Un giudizio storico va sempre dato cercando di capire “quel” momento storico. Da qui l’importanza che gli storici attribuiscono allo studio quasi maniacale delle fonti.
9. Cosa dire del papa della POPULORUM PROGRESSIO?
Più facile per capirlo, collegare a una sua espressione o Enciclica, in questo caso di grande valore sociale. Quale accoglienza ed eco ebbe questa Enciclica? Perchè il popolo di Dio non legge quasi per nulla le encicliche dei papi? Sono troppe? Linguaggio incomprensibile? Idee fumose? O c'è dell'altro?
La Populorum Progressio ebbe un’eco che fu seconda solo all’Humanae Vitae.
Panfilo Gentile la recensì subito sul Corriere della Sera e non fu tenero. Il card. Siri – che non poteva mettersi apertamente contro il papa, come s’usa fare oggi – disse, molto diplomaticamente, che l’enciclica “…esaltava i principi fondamentali del cristianesimo” facendo intendere che non v’era nulla di nuovo (e sapeva che non era vero). Affiderà poi l’analisi del documento al suo fido Gianni Baget Bozzo (che si candiderà al parlamento con Berlusconi!) nella rivista “Renovatio”.
La stesura di fondo fu affidata a Joseph Lebret, un domenicano che aveva come riferimenti Fromm, Tehillard de Chardin e il filosofo-pedagogo Illich, tutta gente non proprio ben vista dalle parti del Vaticano di allora (siamo nel 1967).
L’enciclica ebbe una buona eco (non vasta) presso i cattolici che allora si definivano progressisti che non erano i cattolici marxisti, ma cattolici che militavano in associazioni ancora controllate dalla gerarchia (ad es. Le Acli).
Lo scorso anno – ricorrendo i 50 anni della pubblicazione – non si fece molto, ma qualcosa si fece e ricordo un articolo sul Corriere della Sera che non solo ricordava l’importanza dell’enciclica dopo la Rerum Novarum e la Quadragesimo anno, ma sottolineava che quanto ha scritto papa Francesco nella sua “Evangelii Gaudium” aveva molti riferimenti nell’enciclica di Paolo VI che, a mio avviso, rimane attualissima perché affronta i temi che sono ancora sulla bocca di tutti: emergenza ambiente, emergenza fame, giustizia sociale, emergenza sanitaria…
Sul motivo per cui il popolo di Dio non legge le encicliche papali le risposte sarebbero molte.
Anzitutto alle encicliche papali si assommano i documenti delle Congregazioni Romane, delle conferenze episcopali, dei vescovi diocesani e dei parroci. Troppa roba!
In secondo luogo quando si presenta un’enciclica si chiama il teologo di turno il quale si dà un gran da fare per far sapere che sa molte cose e quasi mai cattura l’uditorio perché parla più a sé stesso e per sé stesso che alla gente e per la gente.
In terzo luogo media e social (anche cattolici) quando devono descrivere un’emergenza non attingono mai a un’enciclica, ma alle dichiarazioni di qualche illustre prelato o teologo ai quali non par vero di avere un momento di celebrità in cui possono scodellare il loro verbo.
Ci sono poi altri fattori fra i quali, l’ammetto, il linguaggio un po’ aulico e molto teologico che richiede un background culturale che non tutti posseggono.
10. Ma chi era veramente Paolo VI fuori dal mito e dall'orgia agiografica che si alimenta prima della canonizzazione?
Fappani e Molinari, nella loro scelta di indagare sui documenti che sono confluiti abbondanti e illustrati nel “Montini giovane” (documenti inediti e testimonianze) dell’editrice Marietti, volevano evitare di costruire il solito mito storiografico; per fare in modo che il messaggio autentico di Paolo VI, dopo la sua morte, venisse messo a tacere dentro schemi interpretativi preconfezionati o fuorvianti. Però questo tentativo riesce solo in parte.
Perchè anche per Giovanni Battista Montini si parla di famiglia esemplare, di scolaro eccellente, di intelligenza vivace, anche se di salute delicata.
Cosa dire? Difficile ricostruire un Paolo VI fuori dal mito agiografico?
Non ho letto la biografia di Fappani e Molinari.
A me sembra che non sia agiografia parlare di Montini come alunno eccellente (le pagelle lo dimostrano), appartenente ad una famiglia esemplare (il padre, cattolico, si giocò in prima persona contro il regime fascista). Che fosse di salute delicata è risaputo: non riuscì a vivere tutti gli studi nel seminario di Brescia a causa dei suoi problemi fisici. Intelligente? Beh…Montini lo era! Eccome, se lo era! Questa non mi pare agiografia, ma semplicemente biografia.
11. Hanno fatto santo Paolo VI....Ci sono discussioni anche vivaci sul modo di riconoscere da parte della Chiesa e di proporre la santità di virtù cristiane esercitate in maniera eccellente.
Domanda: che cosa aggiunge la canonizzazione e il riconoscimento delle sue virtù esercitate in maniera eroica rispetto a quello che già conosciamo di lui?
Se non avesse compiuto il miracolo, riconosciuto dalla commissione medica e da quella teologica, facendo nascere la piccola Amanda dalla signora Anna, di Villa Bartolomea del Basso Veronese, per intercessione di Paolo VI, ora avremmo Montini sugli altari?
Oppure poteva essere riconosciuto santo anche senza il miracolo?
In parte ti ho già risposto alla domanda n.7.
Penso che il miracolo della nascita della piccola Amanda sia un tassello in più alla canonizzazione del papa, anche se penso che sarebbe comunque avvenuta sia per pressioni esterne in tale direzione, sia perché convenzionalmente non è possibile che sia stato santificato il papa che ha indetto il Concilio e non quello che l’ha portato a termine.
Cosa aggiunge la canonizzazione a quello che conosciamo di lui?
Nulla se non il fatto che, essendo indicato a tutta la comunità cristiana cattolica come “amico e modello di vita” può essere che qualche cattolico (ma anche non cattolico) si incuriosisca e voglia conoscere meglio questa figura che giganteggia nella storia della chiesa del secolo scorso.
La santità di Montini sta nella sua fede incrollabile, nella preghiera, nella capacità di amare la Chiesa, anche quando la chiesa non l’ha amato molto e, spesso, l’ha fatto soffrire.
Nella sua posizione avrebbe potuto vendicarsi di cose dette su di lui, di menzogne fatte girare sul suo conto e farla pagare agli autori.
Non l’ha mai fatto. Ha sofferto e basta.
Pensa quando qualche “manina” creò la storia della sua omosessualità e della sua relazione con l’attore Paolo Carlini! O quando fu accusato di usare i soldi dell’obolo di s.Pietro per arricchire di opere d’arte moderna la collezione vaticana!
Non fece inchieste, non controbattè, non fece prigionieri…nulla! Si limitò, a cose chiarite, a ringraziare “…chi ha avuto fiducia in Noi e nel Nostro servizio alla Chiesa” (Paolo VI fu l’ultimo papa ad usare il plurale maiestatico).
Il vero miracolo che compì Montini fu di essere un buon cristiano cattolico e un buon prete. Il resto è venuto perché la sorte e la Provvidenza l’hanno collocato in posizioni di totale visibilità.
Sono certo che in quel periodo in cui ha vissuto vi siano stati altri cattolici, altri preti, altre cattoliche, altre suore che hanno vissuto come lui, ma – essendo anonimi – non son balzati agli onori degli altari.
12. Non ho nessuna intenzione di togliere alcun merito a nessuno e nemmeno a Paolo VI per la sua testimonianza cristiana e umana; ricordo però che l'ex abate Giovanni Franzoni, aveva formulato alcune serie obiezioni sulla beatificazione di Giovanni Paolo II, il papa polacco, per motivi che sono stati spiegati alla opinione pubblica del mondo cattolico; alcuni hanno riflettuto su questo fatto, cioè che quando la Chiesa cattolica santifica sé stessa c'è qualcosa che non convince: cosa dire?
Contro la beatificazione di Giovanni Paolo II si espressero in tanti, non solo Giovanni Franzoni.
Per me avevano ragione ed hai ragione tu quando dici che, beatificando i propri papi, la Chiesa cade in un’autoreferenzialità che non le giova.
E’ il motivo per cui continuo a pensare che da lassù Paolo VI guardi con ironia la sua salita sugli altari. Lui che anche per la sua morte non volle cerimonie fastose e sarcofaghi, ma stabilì d’essere sepolto nella nuda terra (“…nessun monumento per me”) non pensa di essere santo, se non come lo sono stati tanti cristiani che hanno vissuto con fede ed amore la loro vita seguendo il Vangelo e non hanno avuto la fortuna di essere sulla bocca di tutti per un ruolo che hanno rivestito.
C’è da riconoscere che nessuna voce contraria s’è levata alla beatificazione e santificazione di Paolo VI.
13. Ho fatto questa riflessione leggendo alcuni articoli dedicati a Paolo VI, cioè che grandi personalità della Chiesa e del mondo moderno di spiccata levatura intellettuale e morale hanno avuto nei confronti di Papa Montini, hanno avuto dei grandi maestri, di grande spessore umano e spirituale: sono questi che sarebbero da far conoscere o mettere sugli altari; invece sono spesso ignorati e dimenticati. Don Giulio Facibeni per Lorenzo Milani, don Benzi, padre Giulio Bevilacqua di Isola della Scala, per il nostro Montini; elevato alla porpora cardinalizia ma scegliendo di restare parroco della sua comunità.
Quali delle obiezioni dei critici sono condivisibili?
Concordo pienamente.
Aggiungo solo che molti cattolici fanno riferimento a queste ed altre persone che, pur non avendo avuto l’onore degli altari, hanno speso la loro vita vivendo il Vangelo per le strade del mondo seguendo la loro personale vocazione e, spesso, hanno sofferto proprio a causa di uomini di chiesa. Torno sempre al solito punto: il prefazio della festa dei Santi prega Dio per tutti i Santi che per noi sono “amici e modelli di vita”. Domanda: chi è santo allora? Chi è sentito da noi come amico e modello di vita? Ci si riferisce più a don Milani o a Giovanni Paolo II? Si legge di più Mazzolari o Montini?
14. Ma quello che a mio modesto parere, è stato chi l'ha compreso meglio nella sua interiorità è stato il padre gesuita Carlo Maria Martini nel suo incontro del 2008, quando si era recato dal papa, per presentare il suo libro su “Montini spirituale”.
Per l'occasione il segretario personale di Paolo VI, don Pasquale Macchi, aveva supplicato i 200 professori presenti che facessero attenzione a non avvicinarsi troppo al papa “perchè altrimenti si sente senza fiato; bisogna lasciargli spazio che lui cominci a parlare con ciascuno”.
Cosa dire? Cose inedite?
Questa è una notizia di cronaca che non conosco e che fatico a collocare nel tempo che indichi perché nel 2008 erano morti sia Montini che il suo segretario.
Ti dirò che non saprei in quanta considerazione Paolo VI tenesse il gesuita Martini che, a quei tempi, era insigne biblista e professore alla Gregoriana. Martini era un biblista d’avanguardia e Montini era attento a queste cose.
15. “Questo era il suo stile, lui non era l'uomo delle masse, ma l'uomo del dialogo personale. In questo aveva una capacità di ascolto straordinaria”.
Cosa dici? Tu lo hai mai incontrato?
Il mio ricordo personale di Paolo VI risale al 1974, anno della mia maturità classica.
Ero a Roma, in Vaticano, nell’estate di quell’anno e il papa – come si sa – passava le vacanze a Castel Gandolfo. Veniva in Vaticano solo il mercoledì per l’udienza. Un pomeriggio assolato giocavo tirando due calci al pallone nei pressi della stazione ferroviaria vaticana che era luogo in cui si poteva stare perché altri erano i luoghi off limits nei giardini vaticani. Il papa passò con il suo segretario e due gendarmi. M’inginocchiai, come ci era stato insegnato di fare, ed egli mi fece cenno d’avvicinarmi. Mi chiese chi fossi. Gli risposi che era un giovane seminarista di Como, che quell’anno avevo fatto la maturità classica e in ottobre avrei iniziato il percorso teologico. Mi chiese cosa ricordassi della maturità e gli risposi che mi piaceva la lingua greca e avevo portato l’Antigone di Sofocle spiegandogli i motivi. Ricevetti la benedizione. Il papa proseguì la passeggiata. La stessa scena avvenne la settimana successiva, ma rimasi esterrefatto: il papa non si ricordava il mio nome, ma si ricordava di Antigone. Mi chiesi: “Ma quest’uomo, con tutto quello che ha per la testa, con i problemi della Chiesa e del mondo…come fa a ricordare anche questo?” Lo riconosco: da allora ho mitizzato Paolo VI e ancora fatico a vederlo con occhi diversi.
Ho avuto la fortuna di visitare privatamente la sua casa a Brescia, di leggere la sua corrispondenza con la mamma quando era bambino…sono cose che mi commuovono. Ecco perché non sono un testimone attendibile sulla figura di questo papa che per me rimane un gigante nella storia della chiesa.
Sì, hai ragione, Montini non era votato alle masse, non le sapeva catturare con gesti anche un po’ istrionici. Amava il rapporto personale che, secondo me, è quello più vero.
16. “Il suo rispetto e riserbo per il lavoro dei competenti”. “Una volta – testimonia Carlo Maria Martini - andai da lui quando ero rettore dell'Istituto Biblico di Roma per comunicargli una possibile scoperta che avrebbe forse rivoluzionato un po' anche la storia del Nuovo Testamento. Io ero pieno di entusiasmo per le prospettive che si sarebbero aperte. Mi colpì il fatto che Montini rimase un po' scettico, un po' freddo. Poi disse: ”Alla fine i competenti vedranno”. Non si lasciava prendere dall'entusiasmo apologetico; era molto oggettivo e rispettoso delle competenze. Come vuoi commentare questo aspetto?
Era nello stile del papa.
Martini era un giovane biblista, colto, intelligente, aperto agli studi perché così devono fare i teologi. Il papa ne aveva già viste tante. Non ha dimostrato chiusura, ma prudenza. Forse sapienza.
17. Ancora Carlo Maria Martini: “Vorrei ricordare il motivo per cui ho scritto un libro su “Montini spirituale” che fu per me un po' come un padre. Non ho mai detto questo, forse non riesco a dirlo bene, forse non è neanche bene dirlo. Però mi ha colpito e vorrei esprimerlo. Come gesuita facendo gli ultimi voti, rinunciavo all'eredità paterna, a tutto quanto poteva essere di mia spettanza, e potevo anche calcolare a occhio e croce la somma a cui rinunciavo. Ebbene mi colpì molto il fatto che Montini, una volta quando c'era una grave necessità dell'Istituto Biblico, per ricostruzioni importanti mi diede più o meno la stessa somma. Quindi lo considerai come un padre e mi dissi: ”Veramente è stato capace di rendersi conto delle mie necessità e mi viene vicino”.
Questo era Paolo VI.
Montini era la persona che non portava mai denaro con sé perché a lui provvedeva il segretario. Una volta, era arcivescovo di Milano, presenziò ad una manifestazione di raccolta fondi. Passarono con la bussola per raccogliere soldi. Montini sfilò il suo anello e ci mise quello.
Non ricordo in quale stato dell’Africa c’era emergenza di cibo. Diede ordine di armare una nave di viveri e far recapitare tutto al più presto con il timbro diplomatico del Vaticano e a chi gli obiettò che ci voleva tempo rispose che non l’imbrogliassero: i viveri sono reperibili in un paio di giorni, la nave si trova subito se si paga, in una settimana la merce può essere al porto e laggiù si organizza subito il transfer con i camion.
18. “Vorrei ancor ricordare un altro aspetto della sua delicatezza. Quando ero rettore dell'Istituto Biblico andai da lui e mi fece una proposta riguardo ad una iniziativa molto prestigiosa che voleva affidare all'istituto biblico. Io gli feci notare prudentemente che forse, com'era avvenuto in altri casi, se si affidava un compito importante solo ad un singolo istituto, la cosa sarebbe stata snobbata nel resto della Chiesa. Capì immediatamente e creò poi una struttura ecclesiale che si occupò di questa iniziativa., così che venne accettata dalla chiesa intera. Quindi anche in questo emergevano la sua prudenza, delicatezza, riserbo, rispetto”.
Come consideri quanto detto da Martini?
Questo è il Montini diplomatico e il Montini che è certo di non possedere la verità in tasca. E’ il Montini che ha subito un’idea, ma ascolta chi gli presenta i pro ed i contra e agisce con la consumata esperienza dell’uomo che per decenni ha girato tutte le stanze vaticane.
19. Vorrei dire ancora qualcosa sul suo “Pensiero alla morte”. Ho detto nella mia riflessione conclusiva al volume, che ritengo che il “Pensiero alla morte” sia stato scritto vari anni prima della sua morte, quando lui la sentiva come tutti noi, la sentiamo, incombente, ma non imminente.
Invece io mi trovo a riflettere nel contesto di una morte ormai imminente. Sono più o meno nell'ultima, o nella penultima sala d'aspetto. Mi accorgo allora che se dovessi scrivere, non scriverei così. Troppo bello questo testo meraviglioso, lirico..........Ma chi si trova dentro deve piuttosto sentirsi scarnificato nelle parole, e nei sentimenti, e si trova di fronte a difficoltà che non ha ancora risolto..........non facili da superare. Si tratta di descrivere una realtà tutta negativa con parole razionali che sempre hanno bisogno di qualcosa di positivo. Mi trovo perciò di fronte a questa esperienza che è esperienza definitiva e non riesco ancora ad esprimerla. In questo mi ha aiutato lo stesso Paolo VI negli ultimi mesi della sua vita, quando gli ho dato gli ultimi esercizi spirituali negli ultimi mesi della sua vita(1978) e poi quando l'ho visto tragicamente cedere di fronte alla malattia, di fronte al morbo che lo opprimeva. Chiedo per sua intercessione di poter avere anche questo sguardo di verità.
Che sentimenti provi di fronte a queste parole?
E’ il Martini degli ultimi tempi, il Martini che – lasciato il governo della diocesi di Milano – si ritira dapprima in Terrasanta e poi torna in Italia a Gallarate, nella casa dei gesuiti.
E’ il Martini che rende omaggio ad un papa che era già dimenticato perché schiacciato fra Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
E’ il vero Martini, l’autentico Martini che, alla fine della vita, ripercorre lucidamente la sua storia nella storia di una chiesa che s’è dovuta misurare con il tempo e che guarda criticamente le figure che l’hanno guidata.
So di non essere obiettivo, ma non credo che Giovanni XXIII avrebbe saputo condurre e chiudere il Concilio che lui profeticamente aveva iniziato e credo che Giovanni Paolo II non avrebbe saputo condurre e concludere il Concilio come Montini.
Paolo Vi, credimi, è stato un vero dono di Dio alla nostra chiesa.
20. Ci sono alcuni episodi della vita di Giovanni Battista Montini, che mi hanno colpito più di altri, e che a giudizio di alcuni rappresentano il picco della sofferenza raggiunto da Paolo VI.
Il primo è rappresentato dalle incomprensioni dei fedeli seguite alla pubblicazione dell'enciclica Humanae vitae, su cui anche alcuni esperti ma non solo, cercano di svicolare quando si tenta di intavolare il discorso e approfondire gli argomenti a favore o contro l'uso dei contraccettivi per le coppie dei credenti; ma anche la lacerazione prodotta nella Chiesa da parte di Mons. Lefebvre ed i sui seguaci.
Il secondo si riferisce al sequestro e uccisione della persona di Aldo Moro, segretario della Dc, rapito e giustiziato dalle Brigate rosse, dopo 55 giorni di prigionia.
I due episodi sono di natura diversa. Ma tu cosa pensi che sia stato il suo maggiore motivo di sofferenza e lacerazione?
Vedo che riprendi quanto abbiamo accennato sopra.
E fai bene perché l’Humanae vitae non è l’enciclica sui contraccettivi. Al n. 10 il papa scrive: “…In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete”. E’ essere contro i contraccettivi? Sono i preti che tirano l’acqua al loro mulino!
Conosco già la contro obiezione: ma al n. 14 dice il contrario!
Sembra che dica il contrario! Dice che il ricorso a mezzi meccanici o all’aborto è illecito. Ma non smentisce quanto detto prima sulla “retta coscienza”.
Mi spiego perché ho discusso decine e decine di volte su questo tema. E mi spiego con un esempio. Due coniugi non vogliono figli dal loro matrimonio. Non li vogliono per egoismo perché sono giovani e vogliono godersi la vita. La moglie è regolare come un orologio svizzero nel ciclo mestruale. Non solo: attraverso la misurazione della temperatura basale sa quando può rimanere feconda o meno. I rapporti con il marito avvengono solo in quel periodo. Fanno amore – cioè sesso – in tutta tranquillità. Non avranno figli se non quando decideranno loro ed andranno a messa ogni domenica facendo tranquillamente la comunione. Sono a posto? A rigore di legge, sì. Il confessore curiosone che li confessa, non sentendoli accusare di uso di contraccettivi, chiede loro come si comportano e, rassicurato, assolve.
Due coniugi hanno già un figlio, due figli…fanno fatica a tirare avanti la carretta. Lui trova lavoro lontano da casa e può arrivare in famiglia solo due volte al mese. Lei non è regolare nel ciclo. Che fanno se il marito giunge a casa nel periodo fecondo? Meglio salvare il valore unitivo a sfavore di quello procreativo ricorrendo a mezzi meccanici o no? (n.11 dell’H.V).
Anche questi vanno a confessarsi ed accusano di far uso di mezzi contraccettivi perché gli hanno detto che è peccato. Il prete li assolve dal peccato, magari a condizione che non usino contraccettivi.
Il papa non dice questo, quando parla di “retta coscienza”.
L’uccisione di Moro fu un trauma per il papa perché aveva pregato Dio “per questo uomo buono”, ma …”tu, Signore, non hai ascoltato la nostra voce”.
Non so quale dei due episodi possa essere più doloroso per la vita di Montini.
Per me sarebbe il secondo perché mi chiederei il motivo per cui Dio non mi ha ascoltato e per quale motivo Dio ha permesso che un uomo pagasse con la vita per l’ideologia di altri.
21. Nell'incontro di “Castenedolo incontra”, per la presentazione del libro di Mons. Leonardo Sapienza “La barca di Paolo”, il prelato reggente la Prefettura della casa pontificia si è soffermato, un po' troppo a mio parere, sul problema delle lettere di dimissioni (Lettera o lettere?) attribuite a Paolo VI sparite dalla cartella contenitrice in maniera misteriosa e dopo accurate ricerche fatte ricomparire.....sollecitano troppo la curiosità dei presenti e non aiuta a capire la storia......gli esperti invece presenti hanno sorvolato abilmente sulla Humanae vitae, argomento piu' difficile e ostico da affrontare.
Cosa ne pensi?
Del fatto che Paolo VI prevedesse che, in caso di grave infermità che gl’impedisse di reggere il timone della barca di Pietro, egli potesse dimettersi parlò – anche se non maniera non circostanziata – il suo segretario don Pasquale Macchi qualche anno dopo la morte del papa.
La cosa m’incuriosì, ma allora non c’era mezzo di capire come stessero veramente le cose e le fonti di prima mano che riuscii a consultare mi convinsero che il papa scrisse una sola lettera che avrebbe dovuto possedere il cardinale Camerlengo (colui che regge la Chiesa alla morte del papa) con facoltà di rendere nota la cosa al cardinale Segretario di Stato.
Ci fu un “giallo” che, a mio avviso, venne creato ad arte perché il fascino segreto delle cose vaticane non s’appanna mai.
E’ una mia illazione, ma penso che don Pasquale Macchi, alla morte del papa, abbia tenuto copia della lettera per sé, fra gli effetti personali di Paolo VI. Il Camerlengo non aveva alcun motivo di divulgare la cosa, anche perché il papa fu “compos sui” fino all’ultimo.
In ogni caso, anche qui, si dimostra la grandezza di Paolo VI che previde anche questa cosa non solo per evitare l’esperienza di cui fu indiretto testimone della morte di Pio XII le cui fotografie furono vendute dall’archiatra pontificio Galeazzi Lisi alla stampa, ma perché capì che i tempi erano cambiati e Benedetto XVI, ultimo cardinale creato da Paolo VI, mise in pratica quello che il papa che l’aveva voluto vescovo e cardinale aveva pensato di fare.
(Carlo Castellini)



Martedì 06 Novembre,2018 Ore: 08:21
 
 
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La chiesa di Papa Francesco

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