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www.ildialogo.org DA LAMPEDUSA A RIO DE JANEIRO  ,di <i>Pierpaolo Loi</i>

DA LAMPEDUSA A RIO DE JANEIRO  

di Pierpaolo Loi

Dalla periferia dell’Europa al cuore di un Continente emergente. I primi viaggi di papa Francesco suscitano molta empatia, ma segneranno una svolta nella Chiesa?


“Adamo, dove sei?”; “Caino, dov’è tuo fratello?”: due domande poste da papa Francesco durante l’omelia a Lampedusa, un lembo di terra europea ai confini dell’Africa, dove approdano in cerca di speranza migliaia di profughi dalla guerra, dalle carestie, dall’ingiustizia di un mondo defraudato della sua ricchezza economica e antropologica. Il mare tra l’Africa e le coste italiane è diventato un immenso cimitero anche a causa della nostra indifferenza. “Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”. Questo titolo di giornale - dice il vescovo di Roma - è diventato “come una spina nel cuore che porta sofferenza”. Ecco la decisione del suo primo viaggio in questa terra periferica. Dopo aver ringraziato gli abitanti di Lampedusa e Linosa, la riflessione sulle due domande bibliche: “siamo disorientati”, si è rotta l’armonia iniziale per cui nella relazione tra umani l’altro “non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”.

La voce del sangue dei fratelli - qui Francesco si riferisce alle vittime; un numero che ufficialmente si avvicina alle 20 mila in fondo al Mediterraneo – “grida fino a me, dice Dio”. Chi è responsabile di questo? Tutti? Nessuno? La risposta del Papa a queste domande non lascia spazio a fraintendimenti di sorta:

“Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.

La “globalizzazione dell’indifferenza” è il mondo che la società occidentale cristiana, attraverso il capitalismo neoliberista, è riuscita a realizzare. Come non pensare al proclama di Antonio Gramsci: “Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”.

Alle due domande bibliche, il Papa ne aggiunge un’altra: “Chi di noi ha pianto…per la morte di questi fratelli e sorelle?”. La mancanza di responsabilità genera l’incapacità di com–patire, soffrire con l’altro. Atteggiamento diverso dal piagnucolio degli irresponsabili, come stigmatizza Gramsci: “Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano”.

Il viaggio di papa Francesco a Lampedusa, i gesti compiuti tra i quali l’ascolto dei giovani profughi, il non aver voluto “politici” al seguito, le parole dell’omelia dovrebbero determinare un cambiamento di stile e di prassi all’interno della Chiesa: una comunità di fede che non basa la sua capacità di evangelizzare sui privilegi e sulle alleanze con i poteri di questo mondo, ma sulla responsabilità verso tutti gli esseri umani e sull’opzione per gli ultimi. Ho usato il condizionale perché certamente ci sono resistenze a questo cambiamento, penso in particolare alle alte sfere della Chiesa italiana e ai politici cattolici.

Il viaggio in Brasile per la GMG è stato sicuramente un successo dal punto di vista mediatico. Le cifre sono imponenti: alla messa di domenica 28 luglio sulla spiaggia di Copacabana c’erano almeno tre milioni di giovani da tutto il mondo. Devo dire che la coreografia era stupefacente, con la presenza dei preti-cantanti sempre in primo piano e le inquadrature su religiosi e vescovi mentre eseguivano il flashmob. Come afferma il teologo José Oscar Beozzo, la religiosità della maggior parte dei brasiliani è molto legata alla tradizione popolare con tanti santuari sparsi nel Brasile, oltre a quello di Nostra Signora di Aparecida. Questo cattolicesimo è stato contaminato dalle romerías della terra e delle acque (sorta di processioni e pellegrinaggi) organizzate dalle CPT (commissioni pastorali della terra) e dalle Cebs (comunità di base). Afferma Beozzo: “A Río, il Papa toccherà con mano il contrasto con un cattolicesimo che, appoggiato negli anni ’30 da più del 98% degli stessi brasiliani che si dichiaravano cattolici, sognava una nuova cristianità e erigeva sulla cima del Corcovado la statua del Cristo Redentore che doveva regnare sulla città e sulla nazione. Oggi Rio è la capitale della stato con la minor percentuale di cattolici e la maggior percentuale di coloro che si dichiarano ‘senza religione’. Nella periferie i cattolici sono una minoranza di fronte ai fedeli di molte chiese battiste e pentecostali ”. (José Oscar Beozzo, ¿QUÉ IGLESIA CATÓLICA ENCONTRARÁ EL PAPA EN BRASIL?, in REDE de CRISTÃOS - Ano 18 -  24 de julho de 2013).

Il teologo fa notare anche che il papa nella visita alle favelas delle colline intorno a Río prenderà contatto con la realtà di 100 milioni di brasiliani di discendenza africana, ma a suo fianco durante le celebrazioni avrà una maggioranza di vescovi e sacerdoti di origine bianca ed europea e pochi afrobrasiliani.

Anche a Río si sono ripetute le scene di giubilo che hanno caratterizzato le apparizioni di Francesco in mezzo alla gente, con il superamento della rigidità del protocollo; tuttavia, più decisive sono state le visite che ha fatto le parole pronunciate.

Nell’omelia, tenuta al Santuario di Aparecida, il Papa ha insistito su tre atteggiamenti che dovrebbero caratterizzare la vita dei cristiani, in particolare dei giovani: mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere da Dio, vivere nella gioia. Di fronte alla crisi attuale, alle difficoltà del presente, alle tentazioni alle quali soprattutto i giovani sono esposti – “il fascino di tanti idoli…: il denaro, il successo, il potere, il piacere” – un forte richiamo alla speranza, allo sguardo positivo sulla realtà. E a lasciarsi sorprendere da Dio: “Dio non ci lascia soli”.

Infine, un invito a vivere nella gioia: “Il cristiano è gioioso, non è mai triste […] Il cristiano non può essere pessimista! Non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo. Se siamo davvero innamorati di Cristo e sentiamo quanto ci ama, il nostro cuore si “infiammerà” di una gioia tale che contagerà quanti vivono vicini a noi”.

Visitando l’Ospedale San Francesco di Assisi, che ospita e cura tossicodipendenti, il Papa ha richiamato alla necessità di fare come San Francesco che abbraccia il lebbroso: abbracciare chi è nel bisogno, quelle situazioni “che chiedono attenzione, cura, amore, come la lotta contro la dipendenza chimica”. Ma abbracciare non basta, bisogna arrivare alle cause; egli denuncia i “mercanti di morte”: “La piaga del narcotraffico, che favorisce la violenza e semina dolore e morte, richiede un atto di coraggio di tutta la società”. E qui il papa aggiunge: “Non è con la liberalizzazione dell'uso delle droghe, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina, che si potrà ridurre la diffusione e l’influenza della dipendenza chimica”. La proposta - che, tuttavia suona generica – è un appello ai valori ai quali bisogna educare i giovani: “E’ necessario affrontare i problemi che sono alla base del loro uso, promuovendo una maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita comune, accompagnando chi è in difficoltà e donando speranza nel futuro”.

Nella visita alla Comunità della favela di Varginha (Manguinhos), papa Francesco ha ribadito la sua preferenza verso le realtà marginali e ha espresso anche il suo messaggio più significativo a livello sociale. Sentendosi accolto, ha insistito sull’importanza dell’accoglienza e della solidarietà; parola quest’ultima “spesso dimenticata o taciuta, perché scomoda. Quasi sembra una brutta parola...”. Un richiamo forte quello del Papa, che ha riconosciuto e incoraggiato “gli sforzi che la società brasiliana sta facendo per integrare tutte le parti del suo corpo, anche le più sofferenti e bisognose, attraverso la lotta contro la fame e la miseria”. Un appello deciso a superare la cultura dell’individualismo: “Vorrei fare appello a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo! Ognuno, secondo le proprie possibilità e responsabilità, sappia offrire il suo contributo per mettere fine a tante ingiustizie sociali”.

Ritorna l’attenzione a chi vive ai margini, alle periferie: “Nessuno sforzo di ‘pacificazione’ sarà duraturo, non ci saranno armonia e felicità per una società che ignora, che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa. Una società così semplicemente impoverisce se stessa, anzi perde qualcosa di essenziale per se stessa. Non lasciamo, non lasciamo entrare nel nostro cuore la cultura dello scarto!... La misura della grandezza di una società è data dal modo con cui essa tratta chi è più bisognoso, chi non ha altro che la sua povertà!”.

Passaggio importante, il richiamo al documento della V Conferenza Generale Dell’Episcopato Latinoamericano di Aparecida: “La Chiesa, “avvocata della giustizia e difensore dei poveri contro le disuguaglianze sociali ed economiche intollerabili che gridano al cielo” (Documento di Aparecida, 395), desidera offrire la sua collaborazione ad ogni iniziativa che possa significare un vero sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo”.

Riconoscendo ai giovani una “particolare sensibilità verso le ingiustizie”, li invita a non lasciarsi scoraggiare “da fatti che parlano di corruzione, da persone che, invece di cercare il bene comune, cercano il proprio interesse” e a impegnarsi operando il bene. Incontrando i giovani argentini nella cattedrale di San Sebastían li ha invitati a farsi sentire nella chiese locali e ha riproposto la visione di una Chiesa che si proietta fuori dai sagrati: “…voglio che la Chiesa esca per le strade, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immobilismo, da ciò che è comodità, da ciò che è clericalismo, da tutto quello che è l’essere chiusi in noi stessi….”.

Parlando dei giovani, oggi per la maggior parte esclusi dal lavoro, il papa ha voluto ricordare l’importanza degli anziani e come una società che li esclude compie nei loro confronti una “eutanasia culturale” perché priva le nuove generazioni “della riserva culturale del nostro popolo, riserva che trasmette la giustizia, che trasmette la storia, che trasmette i valori, che trasmette la memoria del popolo”. Nello stesso tempo stigmatizza l’esclusione dei giovani dall’esperienza lavorativa come un’esclusione “dalla dignità guadagnata con il lavoro”. Invita, quindi, i giovani a “emergere”, “farsi valere”, “uscire per lottare per i valori”, quelli rappresentati dalle Beatitudini e dal cap. 25 del vangelo di Matteo.

Momento altamente significativo e vissuto con grande intensità è stato la Via crucis sul lungomare di Copacabana. Le parole rivolte da papa Francesco ai giovani mettono al centro la Croce di Cristo come momento culminante dell’amore di Dio per la umanità sofferente: “Con la Croce Gesù si unisce al silenzio delle vittime della violenza, che ormai non possono più gridare, soprattutto gli innocenti e gli indifesi; con la Croce, Gesù si unisce alle famiglie che sono in difficoltà, e che piangono la tragica perdita dei loro figli, come nel caso dei 242 giovani vittime dell'incendio nella città di Santa María all'inizio di quest'anno. Preghiamo per loro. Con la Croce Gesù si unisce a tutte le persone che soffrono la fame in un mondo che, dall'altro lato, si permette il lusso di gettare via ogni giorno tonnellate di cibo; con la Croce, Gesù è unito a tante madri e a tanti padri che soffrono vedendo i propri figli vittime di paradisi artificiali come la droga; con la Croce, Gesù si unisce a chi è perseguitato per la religione, per le idee, o semplicemente per il colore della pelle; nella Croce, Gesù è unito a tanti giovani che hanno perso la fiducia nelle istituzioni politiche perché vedono l'egoismo e la corruzione o che hanno perso la fede nella Chiesa, e persino in Dio, per l’incoerenza di cristiani e di ministri del Vangelo”.

Nell’incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (C.E.L.A.M.), riferendosi alla V Conferenza Generale svoltasi nel santuario mariano di Aparecida, papa Francesco ha chiesto un cambiamento a partire da due atteggiamenti di fondo:

  1. Rinnovamento interno alla Chiesa: “La Conversione pastorale concerne principalmente gli atteggiamenti e una riforma di vita. Un cambiamento di atteggiamenti necessariamente è dinamico: «entra in processo» e solo lo si può incanalare accompagnandolo e discernendo. È importante tener sempre presente che la bussola per non perdersi in questo cammino è quella della identità cattolica concepita come appartenenza ecclesiale”. Questi cambiamenti concernono le strutture pastorali: consigli pastorali, parrocchie, valorizzazione del laicato…

  2. Dialogo con il mondo attuale: ricordando che “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, sono a loro volta gioie e speranze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo” (Gaudium et spes, 1), papa Francesco ha affermato: “La risposta alle domande esistenziali dell’uomo di oggi, specialmente delle nuove generazioni, prestando attenzione al loro linguaggio, comporta un cambiamento fecondo che bisogna percorrere con l’aiuto del Vangelo, del Magistero e della Dottrina Sociale della Chiesa[…]. Se noi rimaniamo solamente nei parametri de ‘la cultura di sempre’, in fondo una cultura di base rurale, il risultato finirà con l’annullare la forza dello Spirito Santo. Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso”.

Egli ha messo in guardia, inoltre, da alcune tentazioni ricorrenti: l’ideologizzazione del messaggio evangelico, il funzionalismo e il clericalismo. In particolare sul clericalismo mi sembrano importanti le sue parole: “Curiosamente, nella maggioranza dei casi, si tratta di una complicità peccatrice: il parroco clericalizza e il laico gli chiede per favore che lo clericalizzi, perché in fondo gli risulta più comodo. Il fenomeno del clericalismo spiega, in gran parte, la mancanza di maturità e di libertà cristiana in parte del laicato latinoamericano[…]. Esiste nelle nostre terre una forma di libertà laicale attraverso esperienze di popolo: il cattolico come popolo. Qui si vede una maggiore autonomia, in generale sana, che si esprime fondamentalmente nella pietà popolare”.

Infine, il mandato ai giovani nella messa della domenica 28 luglio davanti a una folla sterminata: “Andate, senza paura, per servire. Seguendo queste tre parole sperimenterete che chi evangelizza è evangelizzato, chi trasmette la gioia della fede, riceve più gioia. … Portare il Vangelo è portare la forza di Dio per sradicare e demolire il male e la violenza; per distruggere e abbattere le barriere dell'egoismo, dell'intolleranza e dell’odio; per edificare un mondo nuovo”.

Negli atteggiamenti, nei gesti e nelle parole di papa Francesco traspare una forza di rinnovamento che ha già messo in moto meccanismi di riforma: della Curia, dello Ior, della legislazione penale con l’introduzione del reato di tortura e dell’abolizione dell’ergastolo. Nelle risposte alle domande dei giornalisti al rientro dal Brasile si possono intravedere delle aperture sul problema della partecipazione ai sacramenti da parte dei divorziati, un atteggiamento di apertura nei confronti dei gay (“chi sono io per giudicare”). Permane, invece, la chiusura sul discorso del ministero alle donne – causa il pronunciamento di Giovanni Paolo II -.




Domenica 25 Agosto,2013 Ore: 18:13
 
 
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La chiesa di Papa Francesco

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