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www.ildialogo.org "LUMEN FIDEI",  "LUMEN GENTIUM", E CARTA Di IDENTITA'. Omelia di Papa Francesco a Santa Marta. Un resoconto di Sergio Centofanti - con appunti,a c. di Federico La Sala

CRISTIANESIMO ("DEUS CHARITAS EST") E CATTOLICESIMO COSTANTINIANO ("DEUS CARITAS EST"). Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno (nemmeno Papa Francesco) ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
"LUMEN FIDEI",  "LUMEN GENTIUM", E CARTA Di IDENTITA'. Omelia di Papa Francesco a Santa Marta. Un resoconto di Sergio Centofanti - con appunti

Dio ha riconciliato con sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione e la grazia di portare avanti con forza, con la libertà dei figli, questa parola di riconciliazione. Noi siamo salvati in Gesù Cristo! E nessuno ci può rubare questa carta di identità. Mi chiamo così: figlio di Dio! Che bella carta di identità! Stato civile: libero!


a c. di Federico La Sala

Materiali per riflettere:

ATTENZIONE A MAGHI E A TAROCCHI: SOLO GESU'  - SOLO "DIO SALVA"!  MA QUALE GESU', QUALE DIO, QUELLO DEL MESSAGGIO EVANGELICO O QUELLO DI COSTANTINO?:  

DUE PAPI IN PREGHIERA: MA CHI PREGANO?! Bergoglio incontra Ratzinger: "Siamo fratelli". Ma di quale famiglia?! Un resoconto dell’incontro, con note

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note

VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.  

Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito. UN NUOVO CONCILIO, SUBITO! Il cardinale Martini, dalla “città della pace”, lo sollecita ancora!!! 95 TESI ? NE BASTA UNA SOLA!  (fls)

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IL PAPA A SANTA MARTA

Siamo figli di Dio nessuno ci può rubare questa carta d’identità

Noi siamo figli di Dio grazie a Gesù, nessuno ci può rubare questa carta d’identità: è quanto ha affermato stamani Papa Francesco durante la Messa a “Casa Santa Marta”. Ha concelebrato con il Papa, il cardinale indiano Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi. *

Al centro dell’omelia del Papa il Vangelo della guarigione di un paralitico. Gesù all’inizio gli dice: “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati”. Forse - afferma Papa Francesco - questa persona è rimasta un po’ “sconcertata“ perché desiderava guarire fisicamente.

Poi, dinanzi alle critiche degli scribi che fra sè lo accusavano di bestemmiare - “perché soltanto Dio può perdonare i peccati“ - Gesù lo guarisce anche nel corpo. In realtà - spiega il Pontefice - le guarigioni, l’insegnamento, le parole forti contro l’ipocrisia, erano “soltanto un segno, un segno di qualcosa di più che Gesù stava facendo“, cioè il perdono dei peccati: in Gesù il mondo viene riconciliato con Dio, questo è il “miracolo più profondo”

“Questa riconciliazione è la ricreazione del mondo: questa è la missione più profonda di Gesù. La redenzione di tutti noi peccatori e Gesù questo lo fa non con parole, non con gesti, non camminando sulla strada, no! Lo fa con la sua carne! E’ proprio Lui, Dio, che diventa uno di noi, uomo, per guarirci da dentro, a noi peccatori“. Gesù ci libera dal peccato facendosi Lui stesso “peccato“, prendendo su di sé “tutto il peccato“ e “questa - ha detto il Papa - è la nuova creazione“. Gesù “scende dalla gloria e si abbassa, fino alla morte, alla morte di Croce“ fino a gridare: “Padre, perché mi hai abbandonato!”. Questa “è la sua gloria e questa è la nostra salvezza“.

“Questo è il miracolo più grande e con questo cosa fa Gesù? Ci fa figli, con la libertà dei figli. Per questo che ha fatto Gesù noi possiamo dire: ’Padre’. Al contrario, mai avremmo potuto dire questo: ’Padre!’. E dire ’Padre’ con un atteggiamento tanto buono e tanto bello, con libertà! Questo è il grande miracolo di Gesù. Noi, schiavi del peccato, ci ha fatto tutti liberi, ci ha guarito proprio nel fondo della nostra esistenza. Ci farà bene pensare a questo e pensare che è tanto bello essere figlio, è tanto bella questa libertà dei figli, perché il figlio è a casa e Gesù ci ha aperto le porte di casa... Noi adesso siamo a casa!“.

Adesso - ha concluso il Papa - si capisce quando Gesù dice: “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati!”. “Quella è la radice del nostro coraggio. Sono libero, sono figlio... Mi ama il Padre e io amo il Padre! Chiediamo al Signore la grazia di capire bene questa opera sua, questo che Dio ha fatto in Lui: Dio ha riconciliato con sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione e la grazia di portare avanti con forza, con la libertà dei figli, questa parola di riconciliazione. Noi siamo salvati in Gesù Cristo! E nessuno ci può rubare questa carta di identità. Mi chiamo così: figlio di Dio! Che bella carta di identità! Stato civile: libero! Così sia“.

Sergio Centofanti - Radio Vaticana

* Avvenire, 4 luglio 2013



Giovedì 04 Luglio,2013 Ore: 17:18
 
 
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Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/7/2013 19.15
Titolo:Gesu', il Tempio, e i Mercanti. Le riforme e il denaro un intreccio secolare....
Le riforme e il denaro un intreccio secolare nella storia del papato

di Agostino Paravicini Bagliani (la Repubblica, 4 luglio 2013)

Le cronache di questi giorni ci parlano di un nuovo scandalo che coinvolge l’Istituto per le opere di religione (Ior), sulla cui esistenza papa Francesco espresse pubblicamente dubbi, affermando: «Lo Ior è necessario fino a un certo punto»; e «San Pietro non aveva un conto in banca». Sono affermazioni che nascono da una profonda riflessione sul rapporto tra Chiesa e denaro e preannunciano una radicale riforma della Curia.

Anche nel corso della lunga storia del papato, le riforme della Curia (peraltro frequenti) sono state sovente motivate da problemi di natura finanziaria. E in momenti particolarmente importanti non mancarono decisioni radicali.

Nel pieno della cosiddetta Riforma gregoriana, un papa francese, Urbano II (1088-1099), già monaco di Cluny, decise persino di affidare l’intera amministrazione papale. Lo fece perché Cluny era allora forse l’istituzione europea più efficiente in termini di amministrazione finanziaria. Ma Urbano II voleva anche proseguire nel programma della Riforma, e rendere il papato sempre più autonomo dall’aristocrazia romana. Questo legame tra Cluny e il papato introdusse a Roma due termini - quello di Camera e di Camerlengo - che sono ancor oggi in uso. Il cardinale Camerlengo è responsabile dell’amministrazione papale durante la Vacanza della Sede apostolica.

Quando Benedetto Caetani fu eletto papa Bonifacio VIII (1294), la Curia non era in buone condizioni. La debolezza, in termini amministrativi, del pontificato di Celestino V, il papa del “gran rifiuto”, aveva provocato gravi disfunzioni, permettendo persino a prelati di curia di disporre di bolle papali in bianco... Che cosa fece Bonifacio VIII? Congedò - lo dice un cronista inglese bene informato - tutti «i banchieri della Camera apostolica, conservando ai propri servizi solo tre società, quelle dei Mori, degli Spini e dei Chiarenti». A questi banchieri “esterni” alla Curia, assegnò l’intera amministrazione papale, sottoponendoli ad uno stretto controllo. Tutti i venerdì dovevano far verificare i loro registri dal Camerlengo.

Bonifacio VIII fu uno dei primi papi ad essere stato eletto da cardinali “chiusi in conclave”. Ora, anche il conclave fu introdotto (nel 1274 da Gregorio X) per risolvere problemi di natura finanziaria. I cardinali avevano infatti preso l’abitudine di prolungare le Vacanze della Sede apostolica perché così potevano fruire dei proventi della Camera apostolica. Proprio Gregorio X era stato eletto al termine di una Vacanza durata quasi tre anni...

Innumerevoli parodie e testi satirici di quei secoli mettono in evidenza l’avidità della Curia. Per i Carmina Burana, «Roma è la capitale del mondo ma non conserva nulla di pulito». Il poema si serviva del gioco di parole tra mundi (del mondo) e mundum (pulito). Non si trattava di retorica.

Il 16 giugno 1281, il vescovo di Hereford Tommaso di Cantilupo sapeva che «gli affari in curia non possono progredire se non si organizzano “visite” generali e individuali», ossia offrendo doni. Anche in natura. Il maestro generale dei Serviti (un ordine mendicante) regalò sovente libbre di zafferano, di un altissimo valore economico, a diversi cardinali, tra i quali il futuro Bonifacio VIII. Il giorno dell’elezione di questo papa, il procuratore della città di Bruges gli fece pervenire tessuti del valore di 220 fiorini per «ringraziarlo dei servizi resi alla sua città quando era avvocato di curia». A questo generale “sistema di doni”- certo non circoscritto allora alla sola curia romana - alcuni papi cercarono di porre rimedio.

Per tagliare alla radice “ogni occasione di cupidità”, Innocenzo IV (1243-1254) decretò che coloro che avrebbero offerto ad un curiale una somma superiore a 20 soldi (una cifra relativamente alta) dovevano farsi rilasciare una quietanza, il che significa che tale dono non era di per sé illecito.

Non mancarono nemmeno tentativi per imporre più austerità in termini di vita di corte. Soltanto due settimane dopo la sua elezione, il terzo papa avignonese, Giovanni XXII (1314), decretò che i cardinali avrebbero dovuto accontentarsi di due sole portate, o di solo pesce o di pesce e carne. La selvaggina (caprioli, cervi, pavoni, fagiani, cigni) poteva essere aggiunta alle due portate di base, ad esclusione di lepri, conigli, pernici (molto abbondanti in Provenza).

Malgrado queste restrizioni, la mensa dei cardinali continuò però ad essere eccezionalmente ricca e varia. Ed anche la circolazione di doni in Curia continuò a imperversare ben al di là del Medioevo, diventando persino una delle principali polemiche, nei primi decenni del Cinquecento, da parte dei protagonisti della Riforma protestante.

Insomma, il legame tra riforma della Curia e denaro attraversa i secoli. Tentativi di riforma, anche radicali, non mancarono, né nel Medioevo né in epoca moderna, ma il loro successo fu relativo. La riforma medievale più duratura fu l’introduzione del conclave, che riuscì ad eliminare le lunghe Sedi vacanti, togliendo ai cardinali la possibilità di interessanti proventi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/7/2013 11.33
Titolo:SULLE SPALLE DEL PAPA PASTORE IL PAPA TEOLOGO segna la strada ...
“Lumen Fidei”, la prima enciclica scritta da due papi

di Frédéric Mounier

in “La Croix” del 5 luglio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Ci saranno le firme di entrambi i papi sulla “loro” enciclica, pubblicata oggi a metà giornata? Si può pensare di no, dato che la Sala stampa della Santa Sede la presenta come l’enciclica di papa Francesco. Resta il fatto che Lumen Fidei, che sarà ampiamente diffusa in Italia, dove la Libreria editrice del Vaticano ne ha già stampato 500 000 copie (pp. 90, € 3,50), è sicuramente, e la cosa è già di per sé un evento nuovo, frutto del lavoro “a quattro mani”, come ha detto lo stesso papa Francesco, dei due papi viventi, l’emerito e il regnante.

L’indomani della rinuncia di papa Ratzinger, l’11 febbraio scorso, la sorte di questo testo era ancora molto incerta. Si sapeva che Benedetto XVI aveva deciso di completare la sua trilogia cominciata il 25 gennaio 2006 con Deus caritas est sulla carità, proseguita il 30 novembre 2007 con Spe salvi sulla speranza, con un’enciclica sulla prima delle tre virtù cardinali: la fede.

Questo testo, che si dava già per molto avanzato, avrebbe potuto restare nella grande scatola bianca posta sul tavolo di Castel Gandolfo durante l’incontro storico tra i due uomini in bianco, il 23 marzo scorso. Joseph Ratzinger avrebbe anche potuto, come aveva scelto per la sua trilogia su Gesù, di firmarla con il suo nome personale, e non come atto del suo magistero.

Papa Francesco ha deciso altrimenti, spazzando via le previsioni ufficiali. Il 13 giugno, improvvisando davanti ai membri della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, si è lasciato andare ad una confidenza: “Ora deve uscire un’enciclica a quattro mani”. Proprio quella che Benedetto XVI aveva cominciato: “Me l’ha trasmessa. È un documento forte. È lui che ha fatto il grosso del lavoro, e io lo proseguirò”.

Ormai è cosa fatta. Segnando così una continuità pontificia evidente sui contenuti, se non sulla forma, il papa argentino, pastore dei poveri, riprende in prima persona il lavoro minuzioso e preciso realizzato dal teologo professore universitario tedesco. Sia l’uno che l’altro si preoccupano di un ritorno essenziale ai dati fondamentali della fede cristiana, che deve essere sempre e ovunque approfondita. Come ha ripetuto nella sua omelia a Santa Marta martedì scorso, papa Francesco rifiuta sia il pelagianesimo che lo gnosticismo, sia il rigorismo formale che l’evanescenza spirituale.

Per i due papi, l’incontro con Cristo è centrale. Sarà probabilmente al centro di questa enciclica. Firmando la sua prima enciclica esattamente a quattro mesi dalla sua elezione, papa Francesco ha, anche in questo ambito, sconvolto i tempi pontifici. Il suo predecessore aveva aspettato otto mesi.

È vero che già Deus caritas est aveva beneficiato di apporti importanti lasciati da Giovanni Paolo II. Che aveva dedicato sei mesi a redigere Redemptoris hominis , il suo primo testo forte. Paolo VI aveva avuto bisogno, invece, di quattordici mesi per Ecclesiam suam del 6 agosto 1964.

Se l’impostazione ratzingeriana di Lumen Fidei suscita pochi interrogativi, l’apporto del papa argentino sarà invece scrutato con grande interesse. In effetti, le fonti “bergogliane” in materia di teologia fondamentale non sono così numerose.

Nell’ottobre 2012, l’arcivescovo di Buenos Aires aveva scritto alla sua diocesi in occasione dell’apertura dell’Anno della fede. Invitava gli uomini di buona volontà a “varcare la soglia della fede” poiché “Gesù ne è la porta”.

Precedentemente, nel 2007, ricordiamo che era stato uno dei redattori essenziali del documento detto “di Aparecida” , pubblicato al termine dell’incontro di tutti gli episcopati latino-americani. Insieme, avevano lanciato un appello alla “missione continentale”.

Più recentemente, il 18 maggio scorso, la vigilia di Pentecoste, papa Francesco aveva improvvisato in Vaticano davanti ad una folla composta di membri di movimenti di evangelizzazione. Si era situato in una prospettiva molto dinamica, insistendo sulla persona di Cristo, sulla necessità della preghiera “che non è una strategia”.

Ai suoi occhi, la testimonianza è vitale, così come l’attenzione ai poveri, “carne di Cristo”. E il battezzato, facendo di tutto per evitare di “chiudersi”, deve però coltivare la modestia, l’umiltà. Questi elementi, rielaborati da papa Francesco, potrebbero costituire la prefazione, o la conclusione, di questa prima enciclica comune ai due papi viventi.

Lumen Fidei aprirà la strada ad altri testi molto attesi del papa argentino. Dedicherà il mese d’agosto, in Vaticano, ma senza udienze, a lavorare sulla esortazione apostolica successiva al sinodo del 2012 sulla nuova evangelizzazione. Riprendendo le proposizioni e il messaggio finale, ha previsto di dare loro maggiore ampiezza, anche in questo caso spianando la via a prospettive dinamiche aperte a tutti. Ma di quel testo, sarà autore lui solo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/7/2013 14.01
Titolo:"DOMINUS IESUS"!!! FIRMA DI FRANCESCO MA SI LEGGE BENEDETTO XVI ...
- Lumen Fidei, enciclica a quattro mani.
- "La luce della Fede illumina la vita"

Il testo porta la firma di Bergoglio ma in controluce si legge la prima stesura di Ratzinger. Una riflessione sull’amore e sulla natura dell’uomo. Con riferimenti al matrimonio, alla famiglia e ad un mondo che non si basi solo su utili e profitti. "Papa Giovanni e Woytjla saranno santi"

di ANDREA GUALTIERI (la Repubblica, 05.07.2013)

Lumen Fidei, enciclica a quattro mani. "La luce della Fede illumina la vita" (ansa) QUATTRO capitoli più un’introduzione e una conclusione. E una traccia chiara: anche se si è pensato che "non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro", la "luce della fede" è "capace di illuminare tutta l’esistenza" perché è "in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune". Appaiono tredici volte le espressioni "vita comune" e "bene comune" nel testo dell’enciclica "Lumen fidei", presentata stamattina in Vaticano dai cardinali Mark Ouellet e Gerhard Muller, prefetti della Congregazioni dei vescovi e della dottrina della fede, e dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione.

UN’ENCICLICA A QUATTRO MANI - Ottantadue pagine scritte a quattro mani. Nell’ultima c’è la firma autografa di Francesco, il pontefice regnante. Ma in controluce si legge anche quella di Benedetto XVI, il papa emerito, che proprio stamattina insieme al suo successore argentino ha benedetto la statua di San Michele Arcangelo davanti al Governatorato. Nella Lumen Fidei è lo stesso Bergoglio a scrivere senza remore che dopo le lettere sulla carità e sulla speranza, Ratzinger "aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede": "Gliene sono profondamente grato - afferma Francesco - e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi".

Alcuni appaiono evidenti. Come la metafora usata nel primo capitolo: "In tanti ambiti della vita ci affidiamo ad altre persone che conoscono le cose meglio di noi. Abbiamo fiducia nell’architetto che costruisce la nostra casa, nel farmacista che ci offre il medicamento per la guarigione, nell’avvocato che ci difende in tribunale". Papa Francesco, che è solito usare immagini vicine al vissuto comune, sottolinea che "abbiamo anche bisogno di qualcuno che sia affidabile ed esperto nelle cose di Dio" e inquadra in questo modo la figura di Cristo come "colui che ci spiega Dio", attraverso "il suo modo di conoscere il Padre, di vivere totalmente nella relazione con lui".

SENZA FEDE SI STA UNITI PER PAURA E INTERESSI - Parte da lì, spiega il pontefice, la propagazione della fede che "si trasmette nella forma del contatto, come una fiamma che si accende dall’altra" tanto che "è impossibile credere da soli" perché non si tratta di "un’opzione individuale". Proprio sulla base dell’esperienza cristiana, si comprende, secondo il Papa, anche "l’architettura dei rapporti umani": "Senza un amore affidabile - si legge nell’enciclica - nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini. L’unità tra loro sarebbe concepibile solo come fondata sull’utilità, sulla composizione degli interessi, sulla paura, ma non sulla bontà di vivere insieme, non sulla gioia che la semplice presenza dell’altro può suscitare". Proprio nell’amore, invece, "è possibile avere una visione comune", imparando a vedere la realtà con gli occhi dell’altro, in un atteggiamento che "non ci impoverisce, ma arricchisce il nostro sguardo".

NELLA SOCIETA’ MA SENZA ARROGANZA - Ed è in questo spirito che il Papa afferma che "la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace". Nel quarto capitolo si legge infatti del rispetto per il creato e di come i credenti siano chiamati a trovare per il pianeta "modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto". Si affronta il tema dei rapporti sociali, con un richiamo alla fraternità, inseguita in tutta la storia della fede che, ammette Francesco, non è stata priva di conflitti. E si fa appello alla ricerca di forme giuste di governo, "riconoscendo che l’autorità viene da Dio per essere al servizio del bene comune".

Una fede che si riflette sulla società, nell’ambito della quale però il credente non può mostrarsi "arrogante" perché la sicurezza "lungi dall’irrigidirci - scrive il Papa - rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti".

MATRIMONIO UOMO-DONNA GENERA FEDE - Una fede, poi, che deve maturare dalla famiglia. E in questo c’è un richiamo al matrimonio, che nasca "dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale" e che trovi la forza di essere una promessa "per sempre" nell’ottica di un disegno più grande dei propri progetti, "che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata". Fondati su quest’amore, sottolinea il Papa, "uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede".

"NON FACCIAMOCI RUBARE LA SPERANZA" - Uno spazio Bergoglio lo dedica anche ai giovani e al loro modo di vivere la fede con gioia, come manifestato nelle Giornate mondiali della gioventù. Di contro, però, citando l’esempio di san Francesco e madre Teresa di Calcutta come testimoni della carità, Bergoglio ricorda che Dio parla anche "all’uomo che soffre": non dona loro un ragionamento che spieghi tutto, ma "offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce". E’ il preludio di un passaggio che cristallizza nel documento un’espressione molto ricorrente in papa Francesco: "Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino".

WOJTYLA E RONCALLI SARANNO SANTI - L’enciclica, che porta la data del 29 giugno, è stata divulgata stamattina, nel giorno in cui papa Francesco ha pure firmato i decreti per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II che saranno proclamati santi insieme entro la fine dell’anno. Il pontefice ha approvato il miracolo attribuito all’intercessione del suo predecessore polacco e ha sottoscritto i voti favorevoli della sessione ordinaria della Congregazione delle cause dei santi sul fascicolo del "Papa buono". Un’espressione, quest’ultima, che conferma che la canonizzazione di Roncalli avverrà derogando dall’accertamento del miracolo con una decisione che solo il pontefice poteva prendere e che permette all’ideatore del Concilio di compiere l’ultimo passo verso la gloria degli altari proprio a cinquant’anni dalla morte. La data precisa sarà annunciata nel corso di un concistoro convocato da Bergoglio, ma è probabile che si converga sull’8 dicembre. Approvati oggi anche i decreti relativi a miracoli che aprono la via alla beatificazione del primo successore di Escrivà alla guida dell’Opus Dei, il vescovo Alvaro del Portillo, e di Madre Speranza, la spagnola suor Maria Giuseppa Alhama Valera, fondatrice delle Congregazioni delle Ancelle dell’Amore Misericordioso e dei Figli dell’Amore Misericordioso.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/7/2013 15.01
Titolo:Ecco la Lumen Fidei. Una sintesi ....
Ecco la Lumen Fidei, la prima enciclica di papa Francesco ma redatta a quattro mani con Joseph Ratzinger. Il documento ripercorre la storia della fede cristiana

di Alessandro Speciale *

Città del Vaticano

La lettura della prima enciclica di papa Francesco, Lumen Fidei, pubblicata oggi, è un tuffo nel passato - un passato recente che pure sembra lontanissimo alla luce di quanto è accaduto nella Chiesa negli ultimi cinque mesi.

Il testo, come ha spiegato lo stesso papa argentino durante un incontro con il Sinodo dei vescovi, è di fatto frutto di un lavoro “a quattro mani”: Benedetto XVI aveva praticamente completato il testo prima delle sue dimissioni lo scorso 28 febbraio, e ha consegnato quanto aveva fatto al suo successore, che lo ha rivisto, integrato e lo ha fatto suo mettendoci la propria firma.

Sfogliandone le pagine, però, risulta evidente che nel testo - un testo relativamente breve, 91 pagine per 58 paragrafi - la mano prevalente è quella del pontefice tedesco. E non solo perché l’enciclica sulla fede conclude il trittico sulle virtù teologali iniziato con Deus Caritas Est sulla carità e proseguito con Spe Salvi sulla speranza. L’impianto del testo, i frequenti rimandi a filosofi e dibattiti vivi nella cultura tedesca degli anni ’60, l’insistere su alcuni temi, persino il paragone tra la fede e le cattedrali gotiche, dove “la luce arriva dal cielo attraverso le vetrate dove si raffigura la storia sacra”: tutto testimonia come papa Francesco abbia fondamentalmente deciso di rispettare e accogliere il lavoro del suo predecessore.

Francesco lo dice esplicitamente al paragrafo 7 dell’enciclica: “Queste considerazioni sulla fede - in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale -, intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”.

Il titolo dell’enciclica, Lumen Fidei, “La luce della fede”, riassume la dinamica fondamentale lungo cui si muove il testo: la tradizione della Chiesa ha sempre associato la fede alla luce che disperde le tenebre e illumina il cammino; ma nella modernità la fede “ha finito per essere associata al buio”, è diventata sinonimo di oscurantismo: “Si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere”.

Il testo cita Nietzsche, uno dei punti di riferimento costanti - anche se naturalmente in negativo - del pensiero di Ratzinger, per il quale “il credere si opporrebbe al cercare”. Ma negli ultimi decenni, aggiunge, si è scoperto che la “luce della ragione”, da sola, “non riesce a illuminare abbastanza il futuro”: “L’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante”. Per questo, nel mondo di oggi, “è urgente recuperare il carattere di luce proprio della fede”, riscoprendo che sola la luce che deriva dal credere in Dio è “capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo”.

La strada per questa riscoperta del carattere ’luminoso’ della fede passa, naturalmente, dall’incontro con Cristo e con il suo amore: “Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro”.

Dopo l’introduzione, l’enciclica in quattro capitoli ripercorre la storia della fede cristiana, dalla chiamata di Abramo e del popolo di Israele fino alla risurrezione di Gesù e alla diffusione della Chiesa (Capitolo 1, “Abbiamo creduto all’amore”), il rapporto tra fede e ragione (Capitolo 2, “Se non crederete, non comprenderete”), il ruolo della Chiesa nella trasmissione della fede nella storia (Capitolo 3, “Vi trasmetto quello che ho ricevuto) e infine quel che la fede opera nella costruzione di società che mirano al bene comune (Capitolo 4, “Dio prepara per loro una città”). Lumen Fidei si conclude con una preghiera alla Madonna, modello di fede.

I due papi ricordano che la fede “ci apre il cammino e accompagna i nostri passi nella storia”. Per capire che cosa è la fede è necessario quindi “raccontare il suo percorso, la via degli uomini credenti, testimoniata in primo luogo nell’Antico Testamento”. La fede, infatti, affonda sì le radici nel passato ma è nello stesso tempo “memoria futuri”, memoria del futuro, e per questo è “strettamente legata alla speranza”.

È un tema che ritorna anche nella conclusione dell’enciclica, in uno dei passi in cui è forse possibile riscontrare più evidente la collaborazione dei due pontefici. È infatti la speranza, “nell’unità con la fede e la carità”, a collocare l’uomo in una prospettiva diversa rispetto alle “proposte illusorie degli idoli del mondo”, donando “nuovo slancio e nuova forza” alla vita di ogni giorno. Il punto di incontro tra fede e speranza è soprattutto la sofferenza: “La fede è congiunta alla speranza perché, anche se la nostra dimora quaggiù si va distruggendo, c’è una dimora eterna che Dio ha ormai inaugurato in Cristo, nel suo corpo”. Di qui l’appello agli uomini affinché non si lascino “rubare la speranza”.

Per questo la morte e risurrezione di Gesù sono centrali nella fede cristiana: mostrano che la fede è “veramente potente, veramente reale”, che è in grado di incidere sulla realtà in modo concreto - qualcosa che la nostra cultura ha ormai perso la capacità di concepire: “Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti”.

La fede, poi, è una e crea unità mentre il suo opposto, l’idolatria, è sempre un “politeismo” che “non offre un cammino ma una molteplicità di sentieri che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto”. Questa unità della fede implica quindi che essa non è mai qualcosa di individuale ma è sempre vissuta in mezzo ed insieme agli altri, nella comunità della Chiesa, senza che per questo il singolo con la sua individualità ne risulti schiacciato (sta qui, tra l’altro, la ragione del battesimo dei neonati). La Chiesa non vuole ridurre “il credente a semplice parte di un tutto anonimo, a mero elemento di un grande ingranaggio”.

L’unità della fede significa anche che non c’è distinzione tra il credere dei ’semplici’ e quello degli intellettuali - un rifiuto dello “gnosticismo” che ritorna spesso in papa Francesco - ma anche che non si può assumere la fede ’a pezzi’, scegliendo solo quello che più piace: “Ogni epoca può trovare punti della fede più facili o difficili da accettare: per questo è importante vigilare perché si trasmetta tutto il deposito della fede”.

E questo vale anche per il teologo, che deve mettere la sua ricerca “al servizio della fede dei cristiani”, nella Chiesa, senza considerare “il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma, al contrario, come uno dei suoi momenti interni, costitutivi”.

Nel secondo capitolo, quello dedicato al rapporto tra fede e ragione, torna il classico tema ratzingeriano del relativismo, legato al rifiuto del mondo moderno di accettare ogni affermazione della “verità”, vista come una prevaricazione dell’altro e come la radice del “fondamentalismo” che andrà inevitabilmente a sfociare nella “violenza”. Quello della verità è il “grande oblio” del mondo moderno, in un clima di pensiero relativista in cui la “domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più”. Invece, per i due papi, “la fede, senza verità, non salva” né “rende sicuri i nostri passi”.

Allo stesso tempo, se da una parte “l’amore ha bisogno di verità” per trovare un fondamento stabile e non ridursi “a un sentimento che va e viene”, dall’altra anche “la verità ha bisogno dell’amore”, perché “senza amore, la verità diventa fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona”. Il vero credente, infatti, “non è arrogante” perché “la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”.

E questo cammino è aperto anche per quei non credenti che tuttavia “desiderano credere e non cessano di cercare”. L’enciclica valuta positivamente gli sforzi di quegli ’atei devoti’ che “cercano di agire come se Dio esistesse, a volte perché riconoscono la sua importanza per trovare orientamenti saldi nella vita comune”.

Infine, la fede è un “bene comune” che non allontana il credente dal mondo ma lo pone “al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace”: “Essa ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza”. Grazie ad essa le famiglie scoprono la forza e i motivi di rimanere assieme “per sempre” e giovani, in eventi come le Gmg, assaporano il desiderio di una “vita grande”. La fede, infatti, “non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”.

* La Stampa, 05/07/2013

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