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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org DON GALLO, LA CARITA', E PAPA FRANCESCO. «Per lui la Chiesa userà poco inchiostro». Una lettera di don Antonio Mazzi - con note,a c. di Federico La Sala

IL NOME DI DIO: AMORE GRATUITO ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?! LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita (nemmeno papa Francesco) la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
DON GALLO, LA CARITA', E PAPA FRANCESCO. «Per lui la Chiesa userà poco inchiostro». Una lettera di don Antonio Mazzi - con note

I don Gallo... forse, verranno riconosciuti post mortem . Quando i ragionamenti scompariranno e riaffioreranno, invece, gli episodi eroici e profetici, carichi di altruismo, gratuità totale, misericordia radicale, tutto sarà più chiaro ed evangelico. Il cuore è un luogo senza regole, senza confini.


a c. di Federico La Sala

NOTE SUL TEMA:

IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"

LUDOVICO A. MURATORI E BENEDETTO XVI: LA STESSA CARITA’ "POMPOSA". Un breve testo dalla "Prefazione ai lettori " del "Trattato sulla carità cristiana" di Ludovico A. Muratori

OBBEDIENZA CIECA: TUTTI, PRETI, VESCOVI, E CARDINALI AGGIOGATI ALLA "PAROLA" DI PAPA RATZINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006). Materiali per riflettere (fls)

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«Per lui la Chiesa userà poco inchiostro»

di Antonio Mazzi (Corriere della Sera, 24 maggio 2013)

Caro direttore,

si è consumato anche il cuore di don Gallo. Uno alla volta ce ne stiamo andando senza chiasso e senza gloria. Dico «stiamo andando» perché, nel bene e nel male, faccio parte anch’io di quei pochi preti stimati più dai laici che dai cattolici. Le loro disobbedienze, il loro fuori «testo» hanno pesato e pesano molto di più dei rischi apostolici, delle appassionate e squilibrate scelte di campo per la difesa scriteriata degli ultimi e dei perdenti.

Noi siamo nati per camminare con Caino, per aspettare sull’uscio di casa il figliol prodigo, per cercare giorno e notte la pecorella smarrita. Noi siamo diventati grandi supplicando il Dio, del settanta volte sette, di lasciare qualche mese di ferie anche a Giuda. Esiste una categoria di persone che, se giudicate con il codice, con il testo dei comandamenti, non avranno mai speranza e collocazione dignitosa. Al massimo, secondo alcuni studiosi, moralisti, sociologi, meriterebbero l’alternativa al carcere e qualche programmino in comunità.

Tanti parleranno di lui perché, negli ultimi tempi, sono uscite biografie dell’uomo con il cappello e il sigaro. Il mondo ecclesiastico consumerà poco inchiostro. Per i funerali, come accade sempre, l’epigrafe sarà generosa.

Il papa Francesco diceva, qualche settimana fa, che vorrebbe un clero «con gli odori del gregge». Don Gallo questo odore lo spargeva in abbondanza, incurante di coloro che avevano rancurato (l’odore) e furbescamente raccolto in micro boccette «di elisir di pecora». Se lo spargevano (e se lo spargono) nei momenti giusti, nelle quantità giuste e nei luoghi adatti. La «tenuta» di questi profumi è sempre meno apprezzata e meno frequente. Aumentano invece, con abbondanza, i paludamenti da sinedrio, i discorsi da accademici e le analisi bibliche raffinate. Tanti sono i preti dispersi nelle università romane e rintanati nelle curie, nelle biblioteche e santuari. Questi preti la gente li capisce di più.

I don Gallo, invece, forse, verranno riconosciuti post mortem . Quando i ragionamenti scompariranno e riaffioreranno, invece, gli episodi eroici e profetici, carichi di altruismo, gratuità totale, misericordia radicale, tutto sarà più chiaro ed evangelico. Il cuore è un luogo senza regole, senza confini.

Il cuore osserva un solo comandamento: ama gli altri come te stesso, con la stessa «quantità» di amore con cui ama Dio. L’ha detto Cristo, l’ha detto Paolo, l’ha detto Francesco, l’ha detto Agostino. L’amore non fa peccati! Per don Gallo la paternità era legge, la parolaccia era carezza, la fede carnale, la speranza era Politica. Addio cappello sciupato: addio sigaro mai spento, addio parolaccia che affettava, come una lama affilatissima, l’egoismo, la borghesia e l’ipocrisia.

don Antonio Mazzi



Sabato 25 Maggio,2013 Ore: 11:04
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/5/2013 11.33
Titolo:IL PROFETA DI STRADA (DI MONI OVADIA)
Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi

di Moni Ovadia *

Don Andrea Gallo, mio fratello, ci ha lasciato. Io che non credo ma che conoscevo la sua forte fibra e resistenza, pure fino all’ultimo ho sperato che il suo sorriso potesse fare il miracolo. Prete da marciapiede come si è sempre definito, è stato uno dei sacerdoti più noti e più amati del nostro sempre più disastrato Paese. Non solo per me, siamo in centinaia di migliaia di persone che da sempre lo abbiamo sentito come un fratello, una guida, un maestro, un compagno. Ma il «Gallo» è stato prima di tutto e soprattutto un essere umano autentico. Che in yiddish si dice «a mentsch».

La nostra nascita nel mondo come donne e uomini, è un evento deciso da altri anche se la costruzione in noi del capolavoro che è un essere umano autentico, dipende in gran parte dalle nostre scelte. Il tratto saliente di questo percorso, è l’apertura all’altro laddove si manifesta nella sua più intima e lancinante verità ovvero nella sua dimensione di ultimo, sia egli l’oppresso, il relitto, il povero, l’emarginato, il disprezzato, l’escluso, il segregato, il diverso.

L’apertura all’altro, sia chiaro, non si manifesta nel melenso atto caritativo che sazia la falsa coscienza e lascia l’ingiustizia integra e perversamente operante, ma si esprime nella lotta contro le ingiustizie, nell’impegno diuturno per la costruzione di una società di uguaglianza, di giustizia sociale in una vibrante interazione di pensiero e prassi con una prospettiva tanto laicamente rivoluzionaria, quanto spiritualmente evangelica.

Il «Gallo» è stato radicalmente cristiano, sapendo che il messaggio di Gesù è un messaggio rivoluzionario, radicale e non moderato ed è per questo che l’hanno messo in croce, per la destabilizzante radicalità del cammino che indicava. «Beati gli ultimi perché saranno i primi» non è un invito a bearsi in una permanente condizione di minorità per il compiacimento delle classi dominanti, ma è un’incitazione a mettersi in cammino per liberare l’umanità dalla violenza del potere, per redimerla con l’uguaglianza.

La parola ebraica ashrei, tradotta correntemente con beato, si traduce meno proditoriamente con in marcia come propone il grandissimo traduttore delle scritture André Chouraqui.

È questa consapevolezza che ha fatto di don Gallo un profeta e non nell’accezione volgare e stereotipata con cui spesso si vuole sminuire o sbeffeggiare il ruolo di questa figura, ma nel senso più profondo di uomo che ha incarnato la verità dei grandi pensieri ripetutamente e capziosamente pervertiti dai funzionari del potere, siano essi i soloni del regno terreno, siano essi i chierici del cosiddetto regno celeste.

Questa è la ragione per la quale il profeta trasmette la parola del divino e il divino del monoteismo ha eletto come suo popolo lo schiavo e lo straniero, l’esule, lo sbandato, il fuoriuscito, il diverso, il meticcio avventizio perché tali erano gli ebrei e non un popolo etnicamente omogeneo come oggi vorrebbe uno sconcio delirio nazionalista.

Nella sua fondamentale opera «Se non ora adesso» (pubblicata da Chiarelettere) che deve essere letta da chiunque voglia capire le parole illuminate di questo prete da marciapiede, Gallo ci ha ricordato che l’etica è più importante della fede, come il filosofo e grande pensatore dell’ebraismo Emmanuel Lévinas suggerisce nel suo saggio «Amare la Torah più di Dio».

Come già il profeta d’Israele Isaia dichiara con parole infiammate, il Santo Benedetto stesso chiede agli uomini di praticare etica e giustizia perché disprezza la fede vuota e ipocrita dei baciapile:
- «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco...
- Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
- I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso, sono stanco di sopportarli.
- Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. -Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista.
- Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».

Il profeta autentico non predice il futuro, non è una vox clamans nel deserto, è l’appassionata coscienza critica di una gente, di una comunità, di un’intera società, ed è questa coscienza che si incide nella prole perché le parole diventino fatti, azioni militanti ad ogni livello della relazione interumana e per riconfluire in parole ancora più gravide di quella coscienza trasformatrice.

Questo è a mio parere il senso che don Gallo attribuisce al Primato della Coscienza espresso mirabilmente nel documento conciliare «Nostra Aetate» uscito dal Concilio Vaticano Secondo voluto da Giovanni XXIII, il «papa buono», ma buono perché giusto.

Con il poderoso strumento della sua coscienza cristiana, antifascista, critica, militante, laica ed evangelicamente rivoluzionaria, il prete cattolico Gallo, è riuscito a confrontarsi con i temi socialmente più urgenti ed eticamente più scabrosi smascherando i moralismi, le rigidità dottrinarie, le ipocrisie che maldestramente travestono le intolleranze per indicare il cammino forte della fragilità umana come via per la liberazione.

Quest’ultima e intima verità dell’uomo, Andrea Gallo la sapeva, la sentiva e la riconosceva nelle parole più impegnative delle scritture perché istituiscono l’umanesimo monoteista ma anche l’umanesimo tout court nella sua dirompente radicalità: «Ama il prossimo tuo come te stesso, ama lo straniero come te stesso, ciò che fai allo straniero lo fai a Me».

La passione per l’uomo, per la vita e per l’accoglienza dell’altro, si sono così coniugate in questo specialissimo uomo di fede con un folgorante humor che dissìpa ogni esemplarità predicatoria per aprire la porta del dialogo fra pari a chiunque voglia entrare, cristiano o mussulmano, ebreo o buddista, credente o ateo.

In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore.

Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento.

Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle.

* il manifesto, 23 maggio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/5/2013 21.21
Titolo:PAPA FRANCESCO, LE BANCHE E LA DIFESA DEI POVERI ....
Il Papa, le banche e la difesa dei poveri

di Moni Ovadia (l'Unità, 25 maggio 2013)

Papa Francesco, in una delle ultime esternazioni rivolte ai fedeli che gremiscono piazza San Pietro per ascoltarlo e festeggiarlo, ha scelto di contrapporre le banche, ovvero la grande finanza, ai poveri, il «popolo eletto» della Chiesa Universale.

Il
Corriere della Seraha riportato le sue parole con questo titolo: «La politica si occupa di finanza e banche, non di chi muore di fame».
Il Fatto Quotidiano ha titolato così: «Oggi la tragedia è crisi
delle banche, non gente che muore di fame».

La novità significativa in questo pensiero del Vescovo di Roma, è la scelta di non parlare dei poveri in modo generico e, se vogliamo, neutro, ma di indicarli come priorità in «contrapposizione» alle banche. Papa Francesco punta il dito sullo scandalo del modello di sviluppo dominante.

Chissà se qualche tedoforo delle vocazioni «pacificazioniste», giudicherà le parole e le espressioni preoccupate di Papa Francesco, «divisive » o, peggio, demagogiche. In quest’epoca depressa e mediocre, non si perde occasione per tacciare di demagogia chiunque metta il dito nella piaga.

Eppure è proprio negli ultimi anni segnati dalle vergognose discriminazioni e dalla disperazione sociale che la cosiddetta demagogia sembra essere diventata una scienza. E quando il quadro
demagogico si sovrappone a quello reale, ci si ritrova sospesi sull’orlo del baratro in equilibrio precario.

Oggi chi è in grado di fare uscire il nostro Paese da questo stato di pericolo? Il governo? Un governo nato da uno stallo ricattatorio, con le due forze principali che lo costituiscono tenute insieme solo dalla paura del meno peggio per entrambe?

Il presidente del consiglio dichiara in ogni occasione che il lavoro è la sua priorità, mala priorità del dominus del destino del fragile esecutivo, Silvio Berlusconi, sono i suoi guai giudiziari i cui nodi stanno arrivando al pettine. Anche a prescindere da tutto questo, per rispondere al monito lanciato dal pontefice Bergoglio, ci vuole ben
altro che la fragile espressione di buona volontà di questo o quel politico.

I palliativi utilizzati per sfiammare temporaneamente i picchi patologici della malattia sociale, rischiano solo di procrastinarne e renderne più gravi gli effetti.

Francesco denuncia la perversione del senso, lo strabismo dell’orizzonte che confina la vita reale degli esseri umani in carne ed ossa ed in particolare i più fragili e marginali nell’irrilevanza. È come se la vita reale fosse stata sfrattata dalla vita stessa a causa dell’invasione dello strapotere dell’idolo della virtualità finanziaria. Per uscire da quest’incubo, è necessario impegnarsi a cambiare la cultura del mondo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/5/2013 08.38
Titolo:DON GALLO E DON PUGLISI (di don Aldo Antonelli)
DIVERSI E UNITI

di don Aldo Antonelli

- Ieri sono stato a Genova per il funerale di don Gallo.
- Ho sudato sulla pelle la sofferenza di due mondi che non si incontrano: uno sfrego su una ferita sanguinante.

- Mentre dentro la chiesa un cardinale, il card, Bagnasco, ingessato nel suo ruolo, balbettava di don Gallo non riuscendo a dire una parola "calda" a gente assetata di vita e affamata di sogni, fuori gli "Out" cantavano a scuarciagola "Bella ciao" e applaudivano. -Ad un certo punto l’applauso di contestazione è entrato dentro la chiesa ed il cardinale è stato costretto ad interrompere la sua fredda e scontata omelia.

- Peccato.
- Occasione persa!
- Tra la gerarchia e la chiesa istituzionale da una parte e la genete sparsa ed i movimenti dall’altra c’è un muro diifficile da abbattere.
- Don Gallo lo ha fatto.
- Lui ha a abbattuto il muro della separazione.

- Don Puglisi, di cui ieri è stata proclamata la beatificazione, ha invece risuscitato le parole morte restituendole alla loro vera funzione di denuncia e svelamento.

- Due sacerdoti, diversi nella testimonianza, uniti dall’amore.

- A noi continuare l’opera.

- Buona domenica

Aldo [don Antonelli]
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/5/2013 20.59
Titolo:Bagnasco, i fischi e la trans. Il miracolo di don Gallo
Bagnasco, i fischi e la trans. Il miracolo di don Gallo

di Gad Lerner (la Repubblica, 26 maggio 2013)

Poteva succedere solo a Genova, città collerica ma giusta. E ci sarebbe voluto Fabrizio De Andrè per raccontare i due minuti in cui la folla dei devoti riunita nella chiesa del Carmine ha zittito il suo porporato arcivescovo per regalare subito dopo un applauso che sembrava un abbraccio al transessuale, succedutogli al medesimo pulpito.

A tutti noi, in quel momento, è parso di sentirla scendere di lassù la risata così familiare del defunto, don Andrea Gallo, disteso nella bara ornata dai paramenti del sacerdozio e da una sciarpa rossa.

Così il cardinale Angelo Bagnasco, che è anche il presidente dei vescovi italiani, il cui giornale Avvenire aveva relegato tra le notizie minori la morte di uno dei preti più amati della penisola, ha dovuto misurare in prima persona quanto aspro possa diventare il contrasto fra le due Chiese in cui sta dividendosi il popolo dei fedeli. Perché ieri, sia detto a suo merito, Bagnasco s’è concesso a una di quelle rarissime occasioni in cui tale confronto non viene eluso ma vissuto pubblicamente. E non ci si venga a dire che i contestatori appartenevano all’area dell’estremismo politico dei NoTav o dei centri sociali, rimasti fuori sulla piazza. Perché dentro al Carmine era riunito il popolo cristiano dell’angiporto che aveva partecipato con commossa devozione alla liturgia, fino a che l’omelia di Bagnasco l’ha spazientito. Dando luogo a uno di quei moti proverbiali dell’animo genovese cui sarebbe impossibile negare rilevanza nazionale.

Dove è inciampato il cardinale Bagnasco? Nel suo riflesso d’ordine che l’ha indotto a edulcorare l’asperità dei contrasti fra la gerarchia e l’altra Chiesa testimoniata da don Gallo, compartecipe delle devianze che insorgono dentro la vita sofferente degli ultimi, e perciò anche prete ribelle.

Col suo discorso scritto Bagnasco stava riducendo don Gallo a quella indubbia appartenenza ecclesiale che però gli era stata fatta pagare duramente. Accettata per fede, certo, ma per fede anche strattonata, con coraggio, lungo la sua intera esistenza. Come la volta che il prete di strada, nel suo candore, aveva ammesso di aver accompagnato una prostituta disperata a interrompere la gravidanza. Come le tante volte in cui la gerarchia aveva tentato di ghettizzarlo lontano dai fedeli.

Non stava dicendo il falso, Angelo Bagnasco, quando ricordava i rapporti affettuosi mantenuti dal cardinale Giuseppe Siri, principe della Chiesa più conservatrice, col sacerdote rosso. Ma lo ha fatto censurando il prezzo fatto pagare a don Gallo dai suoi superiori, e allora dai banchi si sono cominciati a udire dei colpi di tosse - singolare forma di contestazione - fino a che tutto il Carmine s’è messo a tossire. Qualcuno ha gridato «ipocrita », altri mormoravano e uscivano.

Sinché dalla piazza s’è levato il canto “Bella ciao” e in chiesa i fedeli si sono messi ad applaudire tanto a lungo, ostentatamente, da fargli capire che era meglio farla finita lì.

Protetto da Lilli, l’anziana segretaria della Comunità di San Benedetto al Porto - «Ragazzi, basta, se volete bene a Andrea!» - l’arcivescovo ha avuto il buon senso di cedere la parola a Vladimir Luxuria. Che contrasto, quando la chiesa ha acclamato il transessuale che ringraziava don Gallo per la sua evangelica accoglienza. E che sorpresa quando lo stesso Bagnasco ha dato la comunione proprio a Luxuria.

Si sono confrontate due Chiese ieri a Genova. E la Chiesa degli ultimi, impersonata da don Luigi Ciotti, si è premurosamente incaricata di proteggere la Chiesa titolare della dottrina. Inchinandosi a essa, ma non senza accenti burberi: «All’ extra omnes del conclave io e don Gallo rispondiamo con il “dentro tutti”, dentro i gay, dentro le lesbiche, dentro i divorziati».

Il fondatore del Gruppo Abele poteva farsi forza delle parole di Francesco contro «i cristiani da salotto». Perciò si è rivolto con ironia a Bagnasco ricordandoglielo: l’ha detto proprio il nuovo Papa! Prima però aveva rivolto una raccomandazione ai fedeli, a nome di don Gallo: «Se incontrate per la strada qualcuno che sostiene di avere capito tutto, girate al largo!».

Nei giorni scorsi lo stesso giornale cattolico Avvenire che minimizzava l’esperienza di don Gallo, giustamente ha reso onore al magistero di don Pino Puglisi assassinato dai mafiosi e proprio ieri beatificato a Palermo. Ma contrapporre l’uno all’altro questi due preti di strada significherebbe negare una vitalità del cristianesimo reale, vissuto nel mezzo del dolore degli uomini e dell’ingiustizia sociale da cui in larga misura scaturisce, che purtroppo la Chiesa ufficiale sembra vivere con timore.

Ricordo don Gallo a un comizio della Fiom in piazza del Duomo a Milano, quando ebbe l’ispirazione di mettersi a dialogare con la Madonnina raccontandole le ingiustizie subite dalle migliaia di operai là riuniti. Un predicatore formidabile del Vangelo, come in altri tempi fu Davide Maria Turoldo. Indimenticabile resta quella giornata del novembre 1991 in cui l’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, sentì il bisogno di chiedere pubblicamente scusa al vecchio, morente frate dei Servi di Maria per i torti che la Chiesa gli aveva inflitto. Turoldo, incredulo, scoppiò a piangere.

Don Gallo non ha ricevuto questo bene. Ieri nella chiesa del Carmine avrebbe meritato un atto di riparazione da parte del suo vescovo. Glielo hanno tributato in vece sua, a migliaia, i portuali, gli operai, le parrocchiane, i tossicodipendenti, i transessuali, le prostitute, i militanti di un nuovo ordine sociale, il sindaco, gli amici. Con quei colpi di tosse e con lacrime di riconoscenza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/5/2013 09.31
Titolo:QUALE DIO? 3 (Frei Betto)
QUALE DIO? 3

di don Aldo Antonelli


Nel concludere il trittico che tenta di esprimere le fede, la mia fede e di fronte alla titolazione volutamente provocatoria: "QUALE DIO?", e con il punto interrogativo, qualcuno potrebbe dire: "Ma perché, quanti dii ci sono? Dio non è uno e sempre lo stesso?".
No, amici!
Soprettutto nella mente delle persone e nella loro coscienza, di dii ce ne sono a iosa.
E il dio di Begnasco e il dio di don Gallo non è lo stesso.
E il dio dei fascisti e il dio dei sognanti non è lo stesso.
E il dio dei bigotti e il dio degli atei non è lo stesso.
E il dio dei narcisi e il dio dei reietti non è lo stesso.

Ed allora è bene anche che io specifichi quale è il Dio in cui credo.
E faccio mio allora il credo di Frei Betto che qui riporto.

«Credo nel Dio liberato dal Vaticano e da tutte le religioni esistenti e che esisteranno.

Il Dio che è antecedente a tutti i battesimi, pre-esistente ai sacramenti e che và oltre tutte le dottrine religiose. Libero dai teologi, si dirama gratuitamente nel cuore di tutti, credenti e atei, buoni e cattivi, di quelli che si credono salvati e di quelli che si credono figli della perdizione, e anche di quelli che sono indifferenti al mistero di ciò che sarà dopo la morte.

Credo nel Dio che non ha religione, creatore dell’universo, donatore della vita e della fede, presente in pienezza nella natura e nell’essere umano.

Credo nel Dio che si fa sacramento in tutto ciò che cerca, attrae, collega e unisce: l’amore. Tutto l’amore è Dio e Dio è il reale. E trattandosi di Dio, non si tratta dell’assetato che cerca l’acqua ma dell’acqua che cerca l’assetato.

Credo nel Dio che si fa rifrazione nella storia umana e riscatta tutte le vittime di tutti i poteri capaci di far soffrire gli altri.

Credo nel Dio che si nasconde nel rovescio della ragione atea, che osserva l’impegno dei scienziati per decifrare il suo gioco, che si incanta con la liturgia amorosa dei corpi che giocano per ubriacare lo spirito.

Credo nel Dio intangibile all’odio più crudele, alle diatribe esplosive, al cuore disgustoso di quelli che si alimentano con la morte altrui».

(Frei Betto 30 Luglio 2008)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/5/2013 14.23
Titolo:Papa Francesco non ti sei ricordato anche di don Gallo?
Don Puglisi e don Gallo, due pesi due misure

di Elisabetta Reguitti *

Perché Papa Francesco stamattina nel tuo Angelus non ti sei ricordato anche di don Gallo? Le tue parole di condanna contro gli sfruttatori, le mafiose e i mafiosi, contro quanti rendono schiavi donne e uomini di questo tempo mi avevano fatto sperare. Il ricordo di don Puglisi ucciso dalla mafia nel 1993 e da ieri Beato, come un esempio da seguire. Tu stesso visitando la parrocchia romana dei santi Elisabetta e Zaccaria hai sottolineato con la tua autenticità come: “La realtà si capisce meglio dalle periferie” proprio come aveva scelto di fare don Andrea Gallo che così come don Puglisi ha vissuto immerso nella realtà di chi sfrutta con violenza animale ogni debolezza o fragilità umana.

Don Ciotti riferendosi al prete della minuscola chiesa di San Benedetto al Porto ha affermato: “Andrea ha incarnato la Chiesa che non dimentica la dottrina”. E ancora: “Era innamorato di Dio, era innamorato dei poveri e saldava la terra con il cielo. Ha sempre inteso saldare la dimensione spirituale con l’impegno civile”. Proprio come ripeti sempre tu, Papa Francesco: “No ai cristiani da salotto”. Don Gallo era uno di questi, sono certa ti sarebbe piaciuto. Sarebbe stato bello sentirti ricordarlo nella tua preghiera domenicale.

* Il Fatto, 26 maggio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/5/2013 13.35
Titolo:DON GALLO, "RESTIAMO UMANI". Testimonianza esclusiva....
Tu sei chi escludi

intervista a don Andrea Gallo

a cura di Fulvio Renzi (il manifesto, 28 maggio 2013)

Testimonianza esclusiva raccolta da Fulvio Renzi il 28 settembre 2012 presso la Comunità San Benedetto al Porto a Genova, durante le riprese di "Restiamo umani"(www.restiamoumani.com), il film della lettura integrale dei 19 capitoli del libro Gaza - Restiamo Umani scritto da Vittorio Arrigoni. La scelta irrinunciabile della non-violenza attiva, la lotta contro tutti gli imperialismi possibili, l’amore incondizionato per l’altro.

«Restiamo Umani»: per me è diventato proprio un motto, vuol dire riconoscere la nazionalità unica di tutti gli esseri umani: noi abbiamo tutti nazionalità umana. Questo è fondamentale. Ormai per me è una specie di deformazione professionale, è la mia prima giaculatoria, come prete cattolico (sai che i preti usano molto le giaculatorie....) Ovunque io vada, e ormai giro l’Italia, e non solo, mi invitano e io incomincio e dico: «Vi dò intanto la mia giaculatoria: Restiamo Umani!».

E ne faccio seguire un’altra, imparata per strada, sostituendo quel vecchio proverbio molto noto, «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», con quello che mi è stato suggerito per strada: «Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei». Ecco quindi il mio motto, è fondamentale. Se ciascuno di noi riconosce la sua appartenenza a questa umanità, senza nessuna distinzione di razza, di religione, di sesso, superando tutte le discriminazioni, allora diventiamo veramente «uomini» e camminiamo insieme verso l’obiettivo comune di una civiltà che, grazie all’impegno personale, rendiamo a misura d’uomo.

Intanto vorrei fare una piccola premessa: quando io parlo di Vittorio Arrigoni, rivedo la mia storia, perché io a 16 anni, al termine della tragica seconda guerra mondiale, grazie a mio fratello maggiore, tenente del Genio Pontieri, disertore che aveva formato una brigata partigiana, io divento partigiano, cioè entro nella Resistenza. Ti dirò che allora la nostra era una resistenza armata, e approvata addirittura dalle gerarchie cattoliche; ma dopo gli anni ’50 ho incontrato i partigiani della Selva Lacandona, i Sem Terra, le cooperative indiane, in Africa il Burkina Faso, il Frelimo... Tutti han fatto la loro resistenza e io mi inchino... Pensa alla rivoluzione cubana! Ma la svolta epocale - e questo è Vittorio - è la scelta della non violenza. Altrimenti si andrebbe in contraddizione anche con il grande grido «Restiamo Umani».

La scelta della non violenza è la svolta fondamentale dell’umanità, ma una non violenza che vuol dire pacifismo attivo; ripercorrendo le antiche radici dell’uomo, via via nei secoli, ecco che arriva Gesù di Nazareth, arrivano altri profeti, arriva Gandhi... E arriva anche la scelta dell’autentica non violenza.

Il potere ormai è onnipresente, il potere è di per sé crudele, i poteri sono diventati così (crudeli) per difendere il loro modello di sviluppo imperialistico - basato sull’assenza e sulla brama del lucro, quindi le uccisioni, gli esuberi... È chiaro che ormai il potere schiaccia tutti e poi oggi il monopolio dei mass media ha causato una perdita di coscienza, ed ecco che si accentuano le divisioni. E allora qual è l’unico valore,la sola speranza di questo nuovo terzo millennio? È la non violenza. L’umanità stessa. Però dev’essere contagiosa, cioè si deve allargare.

La democrazia è l’unico limite per un sistema economico ancora così - come dire? - da genocidio, che ricorre a tutti i mezzi, comprese le armi, per far prevalere l’imperialismo occidentale (ma il discorso vale anche per altre forme di imperialismo che si potrebbero creare); l’imperialismo si sconfigge con la democrazia partecipata, la partecipazione democratica - e pertanto anche libera, indipendente e pacifica. È un cammino duro, difficile, è un cammino faticoso, ma è questa secondo me la strada.

Qui devo citare il mio Papa Giovanni XXIII, che lascia l’ultima sua lettera del ’63, e dice: «Chi sostiene di portare la democrazia con le armi è pazzo!». Il testo latino dell’enciclica papale dice alienum est a ratione: è pazzo! Quindi la non violenza è proprio guarire da tutte le nostre malattie mentali. È chiaro che per diventare come Vittorio, e come tantissimi altri in tutto il mondo, è necessario, alla greca, una metànoia, cioè bisogna non solo migliorare, approfondire, avere sempre altre motivazioni, no: bisogna tagliare la nostra testa e metterne una nuova... Il termine greco intende proprio questo.

Devo ricordare il mio incontro con i Sem Terra del Brasile. Essi, per sopravvivere, decidono di coltivare gli immensi campi abbandonati dai padroni terrieri, e lo fanno, restando fedeli alla non violenza. Il succo di questo incontro qual è stato? «Vedi Don Gallo, noi in questi anni abbiamo avuto già 3000 morti tra i nostri ragazzi, uccisi dagli squadroni paramilitari» e, qui in questa stanzetta, ho visto brillare gli occhi di questi Sem Terra, orgogliosamente... Sì, era vero. «...almeno 3000 ce ne hanno uccisi, però noi abbiamo già 3000 iscritti alle università brasiliane, il futuro del Brasile!»

Vedi, questa fiducia immensa, come dire, quasi una certezza che la non violenza è l’unica strada per vincere... Cioè praticamente dice: «Il male grida forte e tutti si accorgono della realtà, ma la speranza in un mondo migliore è ancora più forte e proprio attraverso l’umano, donando la propria vita. Perché si rischia...»

Donare la vita: io la chiamerei proprio - se così si può dire - una religione universale, che racchiude tutte le altre, nel senso che a un certo momento uno si alza la mattina, è uscito fuori dalla società dello spettacolo, dove tutto è dovuto e allora nascono nuovi consumismi e garantismi. No! Il pacifista umano si alza la mattina e dice: «Cosa posso fare per gli altri?». A cominciare dalla propria famiglia fino ad allargare lo sguardo al mondo intero.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/5/2013 16.58
Titolo:L’intervento di Lilly le sue parole,ci hanno ricordato chi è stato ed è ancora d...
Quando don Andrea non era ancora don Gallo

di Luca Rolandi

in “Vino Nuovo” (www.vinonuovo.it) del 25 maggio 2013

Don Andrea Gallo ora è partito per il viaggio più lungo, verso quella Meta che ha costruito sulla terra. Penso sia giusto ricordare la sua figura e anima, adesso che naturalmente i riflettori della ribalta mediatica si spegneranno e non avremo più notizia del prete genovese. Ci mancheranno le sue provocazioni di "bene" e ne avvertiremo la mancanza. La sua "fama" di bene e amore, il suo essere segno di contraddizione erano già vive nella comunità ecclesiale e civile genovese e non, ben prima che don Andrea, diventasse il "famoso" don Gallo di Genova. Nell’era della comunicazione ci hanno pensato dalla fine degli anni Ottanta i salotti di Costanzo e Fabio Fazio, i libri e le interviste, una serie di incontri con personaggi importanti del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo, che hanno trasformato don Andrea in una "icona".

Ma i primi cinquanta-sessant’anni della sua vita, sono stati fondamentali forse più di quelli più noti. La sua genovesità era un marchio indelebile nel mondo con il quale aveva scelto la strada del sacerdozio, un modo di dire eccomi al vangelo di Gesù Cristo, intenso nella sua radicale dimensione di dono totale all’umanità, che è immagine di Dio. Il fratello Dino, partigiano e memoria storica della Democrazia Cristiana, antifascista e repubblicana, ha avuto grande influenza, soprattutto nella scelta di indirizzarsi verso la formazione salesiana: i giovani, l’oratorio, la strada nelle sua dimensione positiva e anche negativa e pericolosa.

Gli anni della formazione sono decisivi: la Resistenza e la ricostruzione, lo scontro ideologico tra comunisti e cattolici, la miseria e la fame che mordono la città e la popolazione che vive nella zona bassa: i carruggi, le vie strette e scure del centro storico. Gli "ultimi" sono lì: i primi tossicodipendenti, le prostitute, cantate da Fabrizio De Andrè, gli immigrati dell’Italia meridionale, i portuali e i marinai senza fissa dimora.

Il giovane Andrea è attratto dal modello di un cristianesimo radicale, senza retorica e intellettualismi. Don Zeno di Nomadelfia, don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari a loro è debitore. Vive il Concilio Vaticano II nella sua dimensione di ritorno alla radice del cristianesimo: amare il prossimo sempre e comunque. Don Andrea è prete della Chiesa cattolica senza se e senza ma. A modo suo fedele, molte volte in contrasto, obbediente, ma con la schiena dritta.

Andrea Gallo deve all’insegnamento di don Bosco la sua dedizione a vivere a tempo pieno "con" gli ultimi, i poveri, gli emarginati, per sviluppare un metodo educativo che ritroveremo simile all’esperienza di Don Milani, lontano da ogni forma di coercizione e regola definita. Attratto dalla vita salesiana, inizia il noviziato nel 1948 a Varazze, proseguendo poi a Roma il Liceo e gli studi filosofici.

Nel 1953 chiede di partire per le missioni e viene mandato in Brasile a San Paolo dove compie studi teologici: la dittatura che vigeva in Brasile, lo costringe, in un clima per lui insopportabile, a ritornare in Italia l’anno dopo. A Genova è accolto dal cardinale Siri. Con lui sarà sempre un rapporto di amore filiale e contrasto nell’interpretare la visione del messaggio. Per Andrea meno rigido e dottrinale, più misericordioso e aperto a tutti, in particolare i "peccatori".

Prosegue gli studi ad Ivrea ed è ordinato sacerdote il 1 luglio 1959. Il suo amico Baget, giovane compagno partigiano, diventerà sacerdote solo nel 1967, diventando per molti anni uno dei più fedeli collaboratori del cardinale Siri.

Quando a Genova, operano tanti religiosi, preti e suore anonimi, schivi, operatori del bene, in situazioni estreme, ma fecondi nella loro visione evangelica della carità, irrompe la personalità di don Gallo.

Dopo l’allontanamento dalla chiesa del Carmine, negli anni della contestazione forte alle istituzioni ecclesiastiche, con la Comunità di Oregina di don Zerbinati, i giovani che escono dalle associazioni cattoliche tradizionali, la ventata di trasformazione che porta effetti positivi, ma anche derive pericolose e violente, don Gallo riparte dal porto, dalla Comunità di San Benedetto, accolto dal parroco, don Federico Rebora, ed insieme ad un piccolo gruppo nasce la comunità di base.

I confratelli lo guardano sospettosi, qualcuno lo aiuta e lo sostiene, cercando di non dare troppi fastidi al cardinale. Inizia un lavoro sulla strada unico: quanti giovani strappati alla droga, le ragazze e le donne che sono costrette alla prostituzione, per tutti c’è un aiuto. La condivisione di tutto, del pane e dei beni, della vita e della sofferenza è il motto di don Gallo.

Tanti uomini e donne molto lontani nella fede e nel modo di intendere la vita si avvicinano a don Andrea. Istituzioni anche civili e benpensanti non vedono di buon occhio l’azione di don Andrea. I giornali ne parlano con un certo distacco. La messa di condivisione delle 12 nella Parrocchia di San Benedetto al Porto, è un’Eucarestia nella quale al centro c’è il sacrificio di Gesù, impresso nei volti segnati dei compagni di strada di don Andrea. Che però parla con tutti, è tollerante a 360 gradi. La pace prima di tutto, le battaglie contro le armi e per la non violenza, la Mostra Navale Bellica, i missili a Comiso, il G8 del 2001. Le sue sfide sono state sempre estreme. La sua fede salda.

Nonostante le "sbandate" e i richiami e i distinguo di coloro che, comodi nelle tranquille e tragiche sicurezze pensano di poter giudicare, senza agire, senza condividere, gioie e dolori dell’umana miseria umana. In don Andrea la contraddizione era nel quotidiano. L’assurdo del vivere, che premia alcuni a svantaggio di altri, un tarlo che ha consumato il suo pensiero che è quello di Cristo.

Tutti gli uomini sono uguali di fronte a Dio. Ha agito sui fronti "minati" per la dottrina cattolica: diritti, libertà andando contro il magistero, ma senza mai abbandonare la Chiesa, popolo di Dio. A Siri, si succedono i cardinali, Canestri, Tettamanzi, Bertone e Bagnasco, don Gallo c’è sempre, con le sue verità, le mani sporche e le contraddizioni della vita. Poi arrivano le telecamere e le luci dei talk, le interviste e la voglia, anche legittima di emergere non per se stesso, ma per le battaglie ideali promosse. Don Gallo diventa pubblico e noto. Non perde la sua coerenza, ma il rischio della strumentalizzazione è stato sempre presente.

Tutti hanno parlato di don Gallo, fiumi di inchiostro e servizi televisivi, agenzie e web, social network impazziti per lodare o denigrare il prete degli ultimi. Un episodio mi ha colpito e penso di interpretare la sensibilità di molti. Nel corso delle esequie, Lilly, una anziana, malata e forte signora genovese, da quarant’anni custode insieme a don Gallo dei progetti della Comunità di San Benedetto, si è alzata per zittire i fischi partiti nella chiesa del Carmine dai contestatori che non avevano apprezzato alcune espressioni del cardinale Bagnasco. L’intervento di Lilly le sue parole, più d’ogni altra analisi ci hanno ricordato chi è stato ed è ancora don Andrea Gallo.

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