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www.ildialogo.org ANCORA COSTANTINO?! CAMBIARE REGISTRO. L’era costantiniana mai finita e giunta fino a noi. Un'analisi di Gianmaria Zamagni - con note,a c. di Federico La Sala

IL MESSAGGIO EVANGELICO E IL CATTOLICESIMO PAOLINO-COSTANTINIANO: USCIRE DAL SONNAMBULISMO. DUE PAPI IN PREGHIERA MA CHI PREGANO?! IL "DEUS CARITAS EST" O IL "DEUS CHARITAS EST"?!
ANCORA COSTANTINO?! CAMBIARE REGISTRO. L’era costantiniana mai finita e giunta fino a noi. Un'analisi di Gianmaria Zamagni - con note

 Il XVII centenario dell’Editto di Milano, in questo 2013 denso di commemorazioni (e di nuovi eventi) per la chiesa, nel cinquantesimo del concilio e dell’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris , non dovrebbe essere celebrato trionfalmente e così acriticamente, in spregio alla storia, alla memoria del Novecento e dello stesso magistero conciliare (...)


a c. di Federico La Sala

NOTE DI PREMESSA SUL TEMA:

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!! 

LUDOVICO A. MURATORI E BENEDETTO XVI: LA STESSA CARITA’ "POMPOSA".

 COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.

DUE PAPI IN PREGHIERA: MA CHI PREGANO?! Bergoglio incontra Ratzinger: "Siamo fratelli". Ma di quale famiglia?! Un resoconto dell’incontro, con note

 KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI"). (fls)

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L’era costantiniana mai finita e giunta fino a noi

di Gianmaria Zamagni

in “Viandanti” ( www.viandanti.org ) del 13 maggio 2013

Una questione che è stata posta in questo anno 2013, centenario dell’Editto di Milano, mi ha sollecitato e fatto molto riflettere: «Fine dell’era costantiniana: è sufficiente averla dichiarata?» [1]. Credo sarebbe troppo facile replicare a questa domanda con una risposta immediata. Risposta che sarebbe, se data di getto, negativa. Tuttavia la domanda è solo apparentemente banale. E credo occorra anzitutto capire esattamente di cosa si parla quando si parla di “fine dell’era costantiniana”. Non si tratta infatti di narrare la storia di un imperatore romano del quarto secolo, né mostrare l’effetto che le sue decisioni politiche (anche l’Editto “di tolleranza” di Milano) hanno avuto sul più lungo termine. A ben guardare, né l’una né l’altra cosa ci riguardano più da vicino.

Una “simbiosi” mai finita

Un altro aspetto è invece decisivo: quello “ideale”, quello per cui un imperatore e la struttura di governo cui ha per primo dato origine si sono come ipostatizzati in un intreccio di rimandi che è durato fino ai nostri giorni. Il rapporto di «simbiosi» fra teologia e potere istituzionale inaugurato con Costantino s’è concretizzato di volta in volta in nuove forme.

Ciò è avvenuto attraverso strumentalizzazioni, anacronismi, forzature e talora vere e proprie falsificazioni storiche. Questi errori sono gli obiettivi della critica rivolta all’ ideale costantiniano. Lo stesso termine di “critica” viene spesso percepito come sinonimo del termine “polemica”. Tuttavia qui il termine greco ( krínĹŤ ) deve indicare piuttosto la separazione, la distinzione che permette il formarsi del giudizio, termine che in questo senso è anche correlato a quello di “discernimento”.

Poco più di cinquant’anni fa, alla vigilia dell’apertura del Vaticano II, fu un teologo dell’ordine domenicano, p. Marie-Dominique Chenu, in una giornata di studi, a chiedersi come fosse da comprendere il concilio in relazione alle donne e agli uomini del proprio tempo, alla loro storia e al loro mondo. Chenu sceglieva la formula Fin de l’ère constantinienne per contestualizzare l’evento conciliare nella sua epoca, convinto che questo atteggiamento dava alla congiuntura «le dimensioni di grande fatto storico». Cosa intendeva dire esattamente con questo? Se si guarda, nella sua interna coerenza, tutta la sua opera di storico della teologia tomista e di saggista osservatore della Chiesa nella realtà contemporanea, si può comprendere senza timore di equivoci ciò che egli intendesse.

La critica all’ ideale costantiniano

Sant’Alberto Magno e san Tommaso, e poi domenicani e francescani, avevano saputo, all’irrompere del nuovo metodo scientifico aristotelico, adottarlo criticamente anche per la teologia. Così doveva comportarsi sempre il teologo autentico di fronte alle rivoluzioni scientifiche e sociali. Si tratta ogni volta di saper discernere, in esse, i luoghi spirituali, di sapervi leggere i segni dei tempi, poiché «Per la legge stessa dell’economia della rivelazione Dio si manifesta attraverso e nella storia, l’eterno si incarna nel tempo in cui soltanto lo può raggiungere lo spirito dell’uomo».

Quel concilio ecumenico, in questo senso, era un evento del secondo dopoguerra. Nella teologia della prima metà del Novecento, che esso coronava, s’era fatta strada una genealogia di studi (e di grandi teologi e storici) che avevano guardato all’ideale costantiniano in maniera assai critica: da Erik Peterson (1890-1960) a Ernesto Buonaiuti (1881-1946), da Jacques Maritain (1882-1973) a Friedrich Heer (1916-1983) e, appunto, Marie-Dominique Chenu (1885-1990), per non menzionare che alcuni grandi nomi da quattro diversi paesi europei.

Questi autori hanno in comune il rifiuto dell’acquiescenza e della conciliazione a poteri statali che mostravano il loro volto più spietato e letteralmente idolatra. Per tutti costoro era chiaro un elemento centrale: la storia del XX secolo aveva mostrato l’ideale costantiniano nel suo potenziale più devastante, ogni qualvolta l’elaborazione teologica si era messa docilmente al servizio di sovrani caratterizzati da un’ambizione totalitaria, quando la croce cristiana si era così trovata, nel vecchio continente, strettamente associata alle altre croci del secolo, quella uncinata, anzitutto, ma non solo: l’ideale costantiniano si era ripresentato, ancora, nelle guerre “giuste” di Benito Mussolini in Etiopia e di Francisco Franco in Spagna.

Tolleranza e persecuzioni

Il XVII centenario dell’Editto di Milano, in questo 2013 denso di commemorazioni (e di nuovi eventi) per la chiesa, nel cinquantesimo del concilio e dell’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris , non dovrebbe essere celebrato trionfalmente e così acriticamente, in spregio alla storia, alla memoria del Novecento e dello stesso magistero conciliare, ma soprattutto senza fare una lettura che sappia discernere i segni dei tempi oggi. Alla storia, perché la “tolleranza” ai cristiani rappresentò presto per i non cristiani (a esempio Ebrei e Donatisti, tante “eresie” successive, poi con le crociate) oppressione, violenza e persecuzione. Sia detto per inciso, poi, che è semplicemente un anacronismo applicare al Tardoantico ad esempio un concetto di tolleranza che la nostra cultura deve, per il significato che le dà, all’illuminismo.

In spregio alla memoria del Novecento perché, come s’è già detto, in quel secolo è apparsa brutalmente chiara l’alleanza e la simbiosi teologico-politica, eppure - già nel corso degli eventi in alcuni lucidi pensatori, ma poi eminentemente e autorevolmente nel concilio - la Chiesa ha saputo restare coscienza critica, e aggiornarsi, anche e soprattutto rispetto alla posizione da assumere nei confronti dei diversi governi, e nel salvaguardare quella libertà religiosa di cui è titolare la persona, «essere dotato di ragione e di volontà libera».

Il bisogno di una Chiesa disinteressata

Quanto alla lettura dei segni tempi oggi, più che mai le nostre società sembrano aver bisogno della parola di una Chiesa che sappia essere testimonianza sollecita eppur disinteressata, profetica e povera. Una gamma di problemi forse s’impone nel contesto sempre più multipolare di oggi: quella costituita dalle crescenti disuguaglianze e dell’erosione dei diritti, in un’ingiustizia sociale e ambientale sempre più insostenibile assieme a fenomeni di rinascenti razzismi, negazionismi e nazionalismi, a nuove forme di schiavitù, all’apparente “normalità” della guerra. Mi pare che anche gli eventi più recenti depongano in favore di una testimonianza umile, nella mite ma ferma consapevolezza delle proprie capacità. Ciò che la scelta di Benedetto XVI enfatizza è infatti il carattere di ministero dell’ufficio petrino, ciò che depone è un altro velo di quel carattere ieratico di cui taluni suoi predecessori hanno amato ammantarsi. L’oggetto della testimonianza, quello, rimane sempre lo stesso e quello più autentico: il vangelo solo, nel suo potenziale di liberazione dal peccato d’idolatria, dall’ipocrisia e dall’ingiustizia. Il tentativo di rifugiarsi nuovamente nel modello costantiniano andrebbe misurato all’interno di questo contesto globale. Ne risulterebbe evidente, credo, tutta l’obsolescenza.

Tornando dunque alla domanda iniziale: è sufficiente averla dichiarata, la fine di quell’era? Certamente no, non è sufficiente. Quella dichiarazione nasce però da un’analisi critica dei segni dei tempi, e attraverso quest’analisi la critica genera considerazioni ad alto potenziale performativo, considerazioni cioè cui si può rispondere solo mediante un’azione, una prassi conseguente. Così si porrebbe nuovamente al centro la predicazione del Regno a venire , di contro alla nostalgia triste di chi crede che la Chiesa abbia già vissuto, altrove in un idealizzato passato, il proprio compimento.

Gianmaria Zamagni

Ricercatore all’Università di Münster (Vestfalia/Germania)

[1] Il riferimento è al Forum n. 331 di Koinonia. Vedere http://www.koinonia- online.it/forum331base.htm



Venerdì 17 Maggio,2013 Ore: 11:37
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/5/2013 23.17
Titolo:PAPA FRANCESCO: “No al feticismo del denaro e alla dittatura dell’economia”
Il Papa: “No al feticismo del denaro e alla dittatura dell’economia”

di Andrea Tornielli (La Stampa, 17 maggio 2013)

«Il denaro deve servire, non governare!». Lo ha detto ieri il Papa ricevendo i nuovi ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana, ai quali ha parlato delle radici della crisi finanziaria e del divario tra poveri e ricchi, caratterizzato dal «feticismo del denaro» e dalla «dittatura dell’economia», che considera l’essere umano «come un bene di consumo». Si tratta del più impegnativo discorso finora tenuto da Francesco sui temi sociali.

«La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo - ha detto il Papa - continuano a vivere in una precarietà quotidiana con conseguenze funeste». Una delle cause di questa situazione, secondo Francesco, sta «nel rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società». L’origine della la crisi finanziaria che stiamo attraversando ha «la sua prima origine», secondo il Papa, «in una profonda crisi antropologica», cioè nella «negazione del primato dell’uomo».

«Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano».

«Oggi l’essere umano - ha continuato - è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Questa deriva si riscontra a livello individuale e sociale; e viene favorita!».

In questo contesto, ha spiegato ancora il Pontefice, la solidarietà «è spesso considerata controproducente, contraria alla razionalità finanziaria ed economica» e così «mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce».

Uno squilibrio derivante, secondo Francesco, «da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune».

Questo processo, ha aggiunto il Papa, «instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole».

L’indebitamento e il credito allontanano i Paesi «dalla loro economia reale ed i cittadini dal loro potere d’acquisto reale». A ciò si aggiunge «una corruzione tentacolare e un’evasione fiscale egoista» che hanno assunto «dimensioni mondiali».

Dietro questo atteggiamento si nasconde, ha affermato il Papa, «il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio». Un Dio che è considerato «da questi finanzieri, economisti e politici» addirittura «pericoloso» perché chiama l’uomo «all’indipendenza da ogni genere di schiavitù».

Il Papa ha auspicato «una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti». Una riforma che «richiederebbe un coraggioso cambiamento di atteggiamento dei dirigenti politici».

«Il denaro - ha concluso - deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/5/2013 12.17
Titolo:LA CHIESA CHE VORREI. Don Andrea Gallo in cammino con papa Francesco ...
don Gallo in cammino con papa Francesco

La chiesa che vorrei

di don Andrea Gallo (il Fatto Quotidiano, 17 maggio 2013)

Questo libro stava per essere dato alle stampe quando l’11 febbraio è giunto strepitoso l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI. Un evento straordinario che ha scosso tutti. Non si verificava da secoli.

Nella serata burrascosa di quel lunedì, un fulmine ha improvvisamente illuminato la cupola di San Pietro. Semplice coincidenza o immagine premonitrice? Il mondo intero si è interrogato con stupore, incredulità, smarrimento. Tutti mi chiedevano: “Quali motivazioni hanno spinto il papa a una così sorprendente decisione?”. Titubante rispondevo: “Papa Ratzinger ha posto al centro il bene della Chiesa, con coraggio e assumendosi le proprie responsabilità. È stato il quarto papa del post- Concilio”. Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena.

Sapranno i cattolici accogliere l’invito inequivocabile e sofferto a un rinnovamento radicale per ritornare a essere Lumen gentium, “luce delle genti”, un popolo di Dio in cammino per annunciare il Vangelo di liberazione per tutti, con il sostegno dello Spirito del Cristo risorto e vivo?

Con l’elezione di Francesco tutto è possibile. I primi segnali sono di rottura con il passato e con un’idea di Chiesa arroccata e chiusa in se stessa. Le questioni che il nuovo papa dovrà affrontare sono tante e gravi.

Le domande che ci attendono

Si riuscirà a dirottare la prua della nave di Pietro da una cristianità in dispersione e pesantemente attraversata dal male verso la comunione e la comunità dei discepoli, risalendo alle genuine fonti evangeliche? Nessuno può nascondere la situazione drammatica: la nostra amata Chiesa è fredda e scostante e in questi ultimi anni ha perso credibilità rispetto a questioni fondamentali.

Come ha affrontato lo scandalo degli abusi sessuali? Non sarebbe il momento di cambiare le modalità con cui vengono nominati i vescovi, prevedendo un maggiore coinvolgimento dei fedeli? Non si potrebbe mettere in discussione il celibato obbligatorio dei preti? Perché non considerare l’ordinazione femminile?

Sulla questione di genere la Chiesa è “maldestra e ambigua”.

Perché tanta difficoltà nel dire sì alla donna? Perché non riconsiderare la posizione assunta dalla Chiesa sugli anticoncezionali? E il testamento biologico? Mi chiedo nelle mie povere preghiere: non sarà grave aver trascurato i documenti del Concilio Vaticano II (1965)? Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: è lecito chiedersi perché, trascorsi quasi cinquant’anni, il Concilio di Giovanni XXIII sia ancora tutto da tradurre.

Solo quando abbandonerà il suo statuto imperiale la Chiesa avrà da dire qualcosa agli uomini e alle donne del Terzo millennio. Auspico che il nuovo Pietro riproponga le quattro parole chiave di quella primavera della Chiesa. Si avvertono segnali incoraggianti.

La prima parola chiave è “partecipazione attiva”. Che vuol dire riconoscimento della soggettualità di tutto il popolo di Dio, dei suoi carismi e dei servizi che è chiamato a rendere. La seconda parola è sinodalità. Che investe l’interezza del popolo di Dio e non solamente un piccolo segmento di vescovi.

La Chiesa diventi un cantiere aperto, si apra a un mutato rapporto primato- episcopato, episcopato-presbiterato, chierici-laici. La terza è ascolto. Ascolto dei precetti da assimilare, da proclamare, da studiare e approfondire con la testimonianza. Infine la quarta: il dialogo. Penso soprattutto al dialogo Chiesa-mondo, ma non solo. C’è bisogno di dialogo intraecclesiale, di dialogo culturale ed ecumenico.

Solidale al fianco dei bisogni

La Chiesa che mi permetto di auspicare è una comunità in ascolto della parola di Dio e delle sue stesse membra, e capace di un annuncio e una profezia sempre nuovi. Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna, a fianco dei bisogni delle donne e degli uomini. L’ufficio divino della Quaresima apre con Isaia (58, 6-10): “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo [...]. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce”. Un consiglio per il motto papale: “Povertà, giustizia, pace”.

Le lobby del Vaticano

La crisi all’interno del Vaticano è tuttora drammatica. Ci sono fazioni, lobby, gruppi di potere, cardinali in lotta... Quando nel 2011 mi arrivò la notizia che il patriarca di Venezia, Angelo Scola, sarebbe diventato arcivescovo di Milano, mi chiesi perché mandassero un patriarca di settant’anni nella diocesi più grande del mondo. Dietro quella nomina c’era un calcolo preciso: le cause di beatificazione devono iniziare nelle diocesi di appartenenza del servo di Dio, e Scola era il cardinale giusto per avviare la pratica a favore di don Giussani. Né Martini né Tettamanzi si sarebbero mai sognati di beatificarlo. Dopo qualche mese che era a Milano, Scola ha aperto la causa di beatificazione. Sarà una coincidenza? Ecco la conferma di quanto sia forte la lobby di Comunione e liberazione dentro la Chiesa e quanto Ratzinger ne fosse influenzato.

Le lobby in Vaticano hanno indebolito e in parte costretto alle dimissioni papa Benedetto XVI: una di queste è l’Opus Dei, poi ci sono i Legionari di Cristo (il loro fondatore, monsignor Maciel, si è macchiato di colpe gravissime, provate, e Ratzinger sapeva tutto), Comunione e liberazione, gli Araldi di Cristo, Sant’Egidio, che è alle dirette dipendenze della segreteria di Stato.

C’è poi una lobby omosessuale molto forte: un gruppo di vescovi che nasconde la propria omosessualità e la sublima non nella castità, bensì nella ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li unisce creando altri vescovi omosessuali.

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La chiesa di Papa Francesco

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