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www.ildialogo.org DELITTI DEGLI ECCLESIASTICI E CHIESA NELL'ITALIA DELLA CONTRORIFORMA. Una nota di Massimo Firpo sul lavoro di Michele Mancino e Giovanni Romeo (Università di Napoli Federico II) ,a c. di Federico La Sala

CATTOLICESIMO COSTANTINIANO E DISTRUZIONE DEL CRISTIANESIMO: UNA STORIA DI LUNGA DURATA .....     
DELITTI DEGLI ECCLESIASTICI E CHIESA NELL'ITALIA DELLA CONTRORIFORMA. Una nota di Massimo Firpo sul lavoro di Michele Mancino e Giovanni Romeo (Università di Napoli Federico II) 

 il libro ripercorre con pacata lucidità e saldo rigore critico una tragica storia, gettando lo sguardo in profondità sulle tenaci resistenze della Chiesa a ogni incisiva riforma religiosa, sempre osteggiata in quanto temibile insidia ai poteri della gerarchia, come si è visto d’altra parte nelle tenaci resistenze che hanno finito con l’affossare le speranze scaturite dal Vaticano II


a c. di Federico La Sala

Tutti i peccati della Controriforma

di Massimo Firpo (Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2013) *

Secondo una vulgata storiografica ormai sedimentatasi nei manuali scolastici, dopo la conclusione del Concilio di Trento (1563) la Chiesa fu finalmente in grado di avviare un tenace processo di riforma, sia pur lento e difficile, ma alla fin fine vittorioso.

Una riforma fondata sulla residenza dei vescovi nelle loro diocesi per combattere i molti e gravi abusi che inficiavano la cura d’anime, a cominciare da un clero inadeguato ai suoi compiti, del tutto ignorante di cose religiose e a malapena capace di celebrare i riti sacri pur senza intenderne il senso, spesso concubinario, assenteista, simoniaco e non di rado violento, dissoluto, bestemmiatore.

Di qui l’impegno dei vescovi per promuovere la formazione dei preti con l’istituzione dei seminari, la rigorosa tutela del decoro di spazi e arredi sacri, la lotta contro la diffusissime pratiche magiche e superstiziose, la vigilanza sui doveri sacramentali dei fedeli e sulla disciplina di monasteri e conventi, il sostegno allo sforzo educativo e assistenziale dei nuovi ordini religiosi, mentre si irrobustivano parallelamente anche le istituzioni repressive (l’Inquisizione) e censorie (l’Indice dei libri proibiti) delle devianze dottrinali.

Un processo di radicamento territoriale, di controllo sociale, di imposizione dell’obbedienza, di uniformazione normativa che avrebbe interessato negli stessi decenni anche le nuove Chiese protestanti e le autorità statali, il cui rafforzamento istituzionale comportava un analogo impegno nel Governo dei sudditi attraverso un comune processo di disciplinamento.

Dopo aver letto questo denso libro, tuttavia, c’è da dubitare seriamente di tale tesi, della quale non è peraltro difficile percepire le inflessioni apologetiche nel presentare la Chiesa all’avanguardia dei processi di modernizzazione (foucaultianamente) anche nelle sue strategie autoritarie.

A dire il vero, già in precedenza gli studiosi che non si erano basati solo sulle fonti normative (decreti, atti sinodali eccetera), ma avevano gettato lo sguardo nel mare magnum delle visite pastorali, vi avevano trovato la prova di comportamenti di chierici e laici tutt’altro che conformi alle prescrizioni tridentine, abbarbicati ad antiche abitudini e antichi vizi, come se nulla fosse successo tra l’inizio del Cinquecento e i primi del Settecento, quasi che gli ardori di rinnovamento di san Carlo Borromeo e della generazione di vescovi che a lui cercò di ispirarsi fosse passata sul clero italiano come una leggera brezza, incapace di incidere su una realtà spesso impresentabile ma quasi sempre accettata dai fedeli, preoccupati non tanto del rigore morale dei loro preti (alla fin fine si poteva tollerare che il parroco fosse «uno poco lecentiuso della brachetta»), quanto della possibilità di usufruire del loro ruolo di mediatori del sacro nel rito della messa e in occasione di nascite e morti.

Basandosi su un lavoro di ricerca immenso in molteplici fondi archivistici, tanto in Vaticano quanto in numerose diocesi e utilizzando fonti disparate, la corrispondenza delle congregazioni dei Vescovi e regolari e dell’Inquisizione, i fondi dei tribunali d’appello e delle nunziature, le relazioni presentate dai vescovi alla Santa sede e soprattutto gli atti dei processi criminali contro preti responsabili di reati comuni celebrati in tutta Italia da una caotica pluralità di tribunali (vescovi, nunzi, visitatori apostolici, ordini religiosi, dicasteri romani, Segnatura di giustizia, Sant’Ufficio, giudici civili), Mancino e Romeo tracciano un quadro tanto desolante quanto rigorosamente documentato del clero italiano in età postridentina.

Desolante per la gravità dei reati («omicidi, violenze, pratiche sessuali di ogni genere, estorsioni, truffe, usura, falsificazione di atti o di moneta, contrabbando, abusi legati al ministero sacerdotale»), per l’enorme quantità dei rei (non poche pecore nere, ma circa il 25% del clero secolare, decine di migliaia di preti!), per la continuità del fenomeno in un arco plurisecolare, ma ancor più per l’atteggiamento della curia romana, schierata sempre e soltanto a difesa dell"’onore" del ceto sacerdotale e dell’istituzione ecclesiastica, quand’anche si trattasse di coprire delitti gravissimi, senza esitare a sconfessare i vescovi zelanti che avevano avviato i processi e a rispedire i colpevoli - anche plurirecidivi - ai loro compiti di cura d’anime, dove molti di essi sarebbero tornati a delinquere ancor più e ancor peggio, ormai coscienti della loro sostanziale impunità.

Così in ogni parte d’Italia, senza sostanziali differenze, da Venezia a Telese, da Pisa a Napoli. Fu proprio nei decenni che avrebbero dovuto vedere il più incisivo slancio riformatore, infatti, che le cause criminali contro membri del clero conobbero un incremento impressionante, nell’intento di sottrarle alla giustizia civile e consegnarle a tribunali a dir poco compiacenti, fino a scavare «un solco sempre più profondo fra laici ed ecclesiastici, con conseguenze devastanti per l’evangelizzazione e il radicamento di un nuovo modo di vivere la fede».

Non è necessario sottolineare come proprio in questi antecedenti storici affondi le radici lo scandaloso tentativo di nascondere o depotenziare i molti episodi di pedofilia che di recente in varie parti del mondo hanno visto come protagonisti e rei confessi anche vescovi e cardinali, con comprensibile indignazione dell’opinione pubblica, di fronte alla quale alcuni prelati hanno continuato a rivendicare con protervia un presunto diritto a lavare i panni sporchi in famiglia, evitando l’intervento della magistratura.

È dunque ancora una volta alla storia che occorre rivolgersi per capire, e in particolare all’affossamento di ogni autentico riformismo pastorale imposto dalla curia romana nella lunga stagione della Controriforma, con buona pace di chi si ostina a vedere nei decreti del Tridentino la sorgente di rinnovamento capace di dotare la Chiesa delle vitali energie che nei decenni e secoli seguenti avrebbero nutrito una duratura e pervasiva riforma cattolica.

Le cose, in realtà, andarono molto diversamente e i veri sconfitti furono proprio i vescovi zelanti della prima generazione postconciliare, regolarmente emarginati e smentiti (e non di rado redarguiti) dai tribunali d’appello romani e dai nunzi, gli uni e gli altri sensibili non tanto alle ragioni pastorali quanto a quelle politiche della curia, preoccupata anzitutto (per non dire soltanto) della tutela delle immunità giurisdizionali del clero, pronta a piegarsi di fronte ai potenti in sede locale, disponibile a ogni compromesso che salvasse la faccia ai chierici corrotti.

Quanto ai preti delinquenti, ladri o stupratori che fossero, furbeschi sfruttatori della pietà popolare o banditi da strada, poco importava di fronte all’esigenza primaria di tutelare il potere, i diritti, l’autorità e l’immagine della Chiesa come societas perfecta, per quanto brutalmente contraddetta dalla realtà effettuale delle cose.

Fu il Concilio, insomma, a essere messo quasi subito in soffitta per salvaguardare anzitutto il centralismo romano e il buon nome del clero, la cui tutela non tardò a imporsi sull’«obiettivo di reprimere i delitti dei suoi rappresentanti». «Nel giro di pochi anni - concludono gli autori - aspetti qualificanti del processo di riforma conciliare si perdono nel nulla».

Ne scaturì la lunga durata di un clero i cui comportamenti disordinati e violenti traevano incentivo dalla sua sostanziale esenzione da ogni pur blanda giustizia. Omicidi, pedofili, stupratori, veri e propri criminali di professione (i cosiddetti "chierici selvaggi del Regno di Napoli", per esempio) poterono così continuare a farla franca, o pagando il prezzo di pene lievissime e spesso subito rimesse, in maniera tanto più inaccettabile in quanto ben altre - e non di rado severissime - erano le punizioni inflitte ai laici per reati identici o assai più lievi.

Da questo punto di vista a fine Seicento poco o nulla era cambiato rispetto all’odiosa realtà denunciata da un nunzio papale all’inizio del Cinquecento, vale a dire che quando a delinquere erano un chierico e un laico insieme, succedeva che «il laico fusse appiccato e il chierico andasse a sollazzo per la terra». Amare vicende di donne violentate costrette a chiedere perdono ai propri stupratori, di bambine condannate a pene umilianti per aver detto la verità sugli abusi di cui erano state fatte oggetto, sono solo alcune delle molte e talora raccapriccianti storie narrate in queste pagine.

Esente da ogni tono scandalistico, il libro ripercorre con pacata lucidità e saldo rigore critico una tragica storia, gettando lo sguardo in profondità sulle tenaci resistenze della Chiesa a ogni incisiva riforma religiosa, sempre osteggiata in quanto temibile insidia ai poteri della gerarchia, come si è visto d’altra parte nelle tenaci resistenze che hanno finito con l’affossare le speranze scaturite dal Vaticano II.

*

-  Il libro di Michele Mancino e Giovanni Romeo si intitola «Clero criminale. L’onore della Chiesa e i delitti degli ecclesiastici nell’Italia della Controriforma» (edito da Laterza, pagg. 248, Euro 22.00, disponibile anche in ebook) ed è in uscita questa settimana.. Teatro della ricerca è l’Italia del Cinque-Seicento, alle prese con gli eccessi di varia natura di chierici, preti e frati delinquenti e con le scelte di giudici quasi sempre conniventi e interessati soprattutto a tutelare l’onore del clero e della Chiesa tutta.

Il libro, che dà ampio spazio alla vita quotidiana, apre squarci sorprendenti su dimensioni della storia religiosa e civile della penisola pressoché sconosciute.Su www.laterza.it e su www.fedoa.unina.it (Archivio istituzionale della Università degli Studi Federico II) un’ampia selezione dei documenti presi in esame. Michele Mancino e Giovanni Romeo insegnano entrambi Storia moderna nell’Università di Napoli Federico II



Martedì 07 Maggio,2013 Ore: 10:01
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/5/2013 10.04
Titolo:Papa Francesco alza il muro della Chiesa contro la pedofilia nel clero....
Il Papa: basta abusi, difendiamo i bambini

di Marco Ansaldo e Paolo Rodari (la Repubblica, 6 maggio 2013)

Papa Francesco alza il muro della Chiesa contro la pedofilia nel clero. Lo aveva già fatto Benedetto XVI, nel vortice delle polemiche per le accuse sugli abusi sessuali di minori da parte di sacerdoti nel 2010. Lo fa oggi, con più convinzione e accolto con ancora più favore perché mai sfiorato da quelle critiche, il suo successore. E il plauso che ottiene sembra dargli ragione.

I bambini devono essere tutelati, dice il nuovo pontefice, vanno difesi da questa sofferenza. Ma su questo fronte ci vuole, afferma Francesco, «coraggio e chiarezza». Jorge Mario Bergoglio ha pronunciato queste parole ieri mattina, nella Giornata dei bambini vittime della violenza, durante il Regina Coeli, offrendo la sua preghiera per tutti coloro che «hanno sofferto e soffrono a causa di abusi».

Parole pronunciate mentre dal Regno Unito arrivano notizie che, se confermate, dicono di un’ulteriore volontà da parte della Chiesa di fare propria la linea della cosiddetta «tolleranza zero». Riportano fonti locali, infatti, che il Vaticano ha chiesto al cardinale Keith O’Brien, il porporato ex primate di Scozia che aveva rinunciato a partecipare al Conclave dopo l’ammissione di aver avuto «comportamenti inappropriati» con dei seminaristi, di lasciare il Paese. O’Brien stava per trasferirsi in un cottage non lontano da Edimburgo, ma ora dovrà emigrare «per salvaguardare la reputazione della Chiesa cattolica nel Paese».

A spendersi contro la sua permanenza è stato anzitutto l’arcivescovo di Glasgow, Philip Tartaglia. Ha scritto a Roma spiegando che i fedeli non capirebbero un’ulteriore presenza del porporato in Scozia dopo l’ammissione di colpe gravi. E sembra che dietro la richiesta vi sia anche preoccupazione per ulteriori casi di pedofilia che potrebbero uscire sui media. Diverse investigazioni, infatti, stanno continuando soprattutto nel Lanarkshire, diocesi dove si dice abbia agito negli anni passati una sorta di lobby gay.

Non è la prima volta che Francesco affronta l’argomento abusi. Solo un paio di settimane dopo la sua elezione, il 13 marzo scorso, aveva voluto incontrare il nuovo Prefetto della Congregazione che si occupa dei “delicta graviora”, quella per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Mueller. A lui ha confermato con estrema chiarezza la linea del predecessore Ratzinger: massima decisione nello stroncare il fenomeno della pedofilia, misure di aiuto e protezione ai minori, sostegno e vicinanza a chi ha subito sofferto questo tipo di violenze, assistenza anche giudiziaria se possibile alle vittime, linea dura verso i colpevoli, e infine garanzia dell’impegno da parte delle singole Conferenze episcopali nel perseguire queste linee direttive. Francesco è convinto che anche sul tema della pedofilia la Chiesa si giochi una grossa fetta di credibilità.

Eppure su questo fronte la Chiesa rischia di trovare ancora resistenze. A Porto Rico infatti l’arcivescovo di San Juan, monsignor Roberto Gonzalez Nieves, accusato dalla Santa Sede di voler coprire alcun preti coinvolti in casi di abusi sessuali, rifiuta di dimettersi come richiesto dal Vaticano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/5/2013 10.39
Titolo:FREI BETTO...un cristiano nell’attuale struttura della Chiesa DEVE essere anticl...
«Dobbiamo pensare che papa Francesco è simbolo di una grande riforma della Chiesa»

intervista a Frei Betto

a cura di Gianfranco Monaca (“Tempi di Fraternità”, maggio 2013)

Frei Betto hai portato dei libri da diffondere. Di che si tratta?

«Ho lavorato per sei anni al libro Quell’uomo chiamato Gesù. Sono i quattro Vangeli scritti come un romanzo. Il Vangelo è un libro scritto duemila anni fa: nelle comunità di base la gente non ha né il tempo né la testa per fare dei corsi biblici. Mi sono basato sulla bibliografia dei critici più attuali e ho viaggiato in Giudea, Samaria e Galilea, poi ho completato con la fantasia il racconto evangelico. Un esempio. Nel vangelo di Giovanni si racconta che Gesù è andato a una festa di matrimonio nel villaggio di Cana con Maria e i discepoli. Le ricerche mostrano come era il matrimonio nel rito giudaico di quell’epoca, e dicono che tutti ballavano in questa festa. Né le mie ricerche né i vangeli dicono che Gesù ha ballato, ma essendo celibe certamente ha ballato: perciò in questo romanzo lui balla».

Ci sono fatti nuovi nella Chiesa. Che te ne pare?

«Voglio raccontare un’altra storia, che tutti conoscono meglio di me. Il sistema di produzione dell’Europa occidentale, fino al dodicesimo secolo, era un sistema feudale. Gli alimenti venivano dai servi della gleba, e i beni materiali dagli artigiani. Gli abiti erano un prodotto artigianale. Nel dodicesimo secolo un italiano chiamato Bernardone ha creato una manifattura di tessuti. Bernardone è un pioniere del sistema capitalista. Importava i prodotti per la tintoria dalla Francia, che era un’area metropolitana.
In omaggio a questa, ha dato al figlio il nome di Francesco, cioè "il Francese", come se uno, per ammirazione degli Stati Uniti, chiamasse il figlio George Bush o Barak Obama. Il figlio di Bernardone andò in guerra, tornò ferito e fece una scelta radicale in favore della pace. Aveva percepito che la manifattura di papà produceva miseria, perché, se possedeva una macchina che faceva i tessuti in serie, questi costavano meno di quelli prodotti dagli artigiani. Francesco denunciò questo sistema produttivo: Francesco è un pioniere della critica al capitalismo. In più, si è schierato dalla parte delle vittime del capitalismo ed è diventato povero con i poveri».

Stai pensando al nuovo papa?

«Ora, quando un papa prende il nome di Francesco, significa qualcosa. Mai un papa si era chiamato Francesco, come nessun papa si è mai chiamato Pietro secondo, e speriamo che non capiti mai, perché, dice Nostradamus, quando un papa si chiamerà Pietro secondo il mondo finirà. Nessun papa si è chiamato col nome dell’evangelista Matteo né col nome dell’evangelista Luca; forse c’è stato un papa di nome Marco, ma ventiquattro col nome di Giovanni, senonché uno non è canonico, per cui l’ultimo è stato Giovanni XXIII. Sappiamo ciò che è accaduto nell’ultimo Conclave. Il cardinale Bergoglio sedeva accanto al cardinale Claudio Ruiz, brasiliano, con cui ha lavorato per quindici anni, vescovo della regione industriale di San Paolo come incaricato della pastorale operaia. Dom Claudio ha raccontato che, quando Bergoglio ha capito di essere eletto, lui si è alzato, lo ha abbracciato e baciato, e Bergoglio gli ha chiesto "Che nome prendo?". Dom Claudio, che è francescano ed è un uomo che ha fatto la scelta dei poveri, gli ha suggerito il nome Francesco. Ora abbiamo un papa molto ecumenico, perché è gesuita, ha adottato un nome francescano, e si veste con la divisa da domenicano, che è la mia divisa».

Che messaggio ha voluto dare papa Francesco?

«Questo nome ha cinque significati: quello della pace, la critica del sistema produttivo che genera la miseria, l’opzione per i poveri, poi san Francesco è il patrono dell’ecologia, dell’amore per la natura, tema attualissimo, e in ultimo luogo Francesco, nella chiesa di San Damiano, ha sentito Gesù chiedergli di ricostruire la Chiesa. Lui ha preso alla lettera questo comando e ha ricostruito la chiesa di pietre, poi ha capito che questa richiesta era molto più ampia: si trattava di ricostruire la Chiesa Cattolica, che era molto corrotta e che aveva raggiunto il vertice della corruzione nel periodo di Innocenzo III. Francesco non è mai stato ordinato sacerdote, ma ha creato un movimento nel periodo in cui la Chiesa produceva molti gruppi dissidenti, che per equivoco erano chiamati "eretici". Non c’era niente di eretico, semplicemente criticavano la Chiesa per amore del Vangelo».

Un messaggio politico, dunque?

«Francesco nel 1209 va a Roma a chiedere l’autorizzazione per questo movimento, e il papa concede l’autorizzazione. Era un politico intelligente: prima che il papa condannasse anche lui come eretico, come aveva fatto con Pietro Valdo e gli altri, è andato a chiedere la benedizione papale. Innocenzo III è morto nel 1216; un cardinale francese che aveva preso parte al suo funerale racconta di essere stato molto impressionato del lusso di cui il cadavere era coperto, dell’oro, dei gioielli che erano graditi a Innocenzo III: dato che le esequie di un papa durano diversi giorni, e di notte la basilica di San Pietro era rimasta deserta, sono entrati i ladri e hanno lasciato il cadavere letteralmente nudo. Ma nella basilica era presente una persona che i ladri non hanno visto, e che era Francesco. Francesco allora si è tolto la sua veste francescana per coprire il corpo del papa. Si tratta certamente di una leggenda, ma è molto interessante perché racconta la seconda spogliazione di Francesco. Con la prima aveva rifiutato i vestiti fabbricati dal padre e con la seconda aveva coperto la nudità del papa.

L’altro significato del nome Francesco è Francesco Saverio. Gesuita come il papa attuale, era andato a evangelizzare il Giappone e l’India. Noi siamo attualmente in un periodo storico molto simile a quello del XVI secolo. Che fare? Cinquant’anni fa la Chiesa ha promosso il Concilio Vaticano II, e sono cinquant’anni che aspettiamo che questo Concilio sia messo in pratica».

Una politica diversa, dunque?

«Si conosce la storia: il papa Giovanni XXIII annunciò questo Concilio senza consultare la Curia romana. Era molto amico del vescovo brasiliano Helder Camara, il pioniere dell’opzione per i poveri nella chiesa del ventesimo secolo. Un giorno Helder Camara è andato a parlare con Giovanni XXIII e gli ha chiesto perché i buoni teologi non erano stati invitati a questo Concilio, facendo alcuni nomi: Congar, De Lubac, Ratzinger (un buon teologo tedesco progressista), Urs von Balthasar, il collega di Ratzinger Hans Küng, nessuno dei quali era stato invitato al Concilio. Giovanni XXIII rispose a dom Helder: "Già è stato così difficile convocare un Concilio senza consultare la Curia, che non mi sento in condizione di invitare questi teologi, perché sento che la Curia andrà molto in collera."

Anche dom Helder era un politico molto abile, e ha fatto al papa una proposta. Ecco l’accaduto: in quella settimana il papa doveva ricevere in udienza i cardinali della Curia, mettiamo il giovedì alle cinque del pomeriggio. La segreteria papale aveva fissato per dom Helder una udienza del papa alle sei del pomeriggio di quello stesso giorno, senonché dom Helder arrivò alle quattro e mezza, e subito dopo arrivarono i cardinali della Curia per l’udienza delle cinque.

Quando il papa apre la porta per ricevere la Curia, vede dom Helder che era previsto solo per le sei, e lo chiama. "Entri, entri!". Dom Helder aveva molte carte sotto il braccio, e rimase accanto al papa durante l’udienza dei cardinali. Ad un certo momento lasciò che le carte cadessero per terra, e Giovanni XXIII chiese di che carte si trattasse. "Mah, sono soltanto i nomi di alcuni teologi che vengo a suggerire perché siano invitati al Concilio". "Allora la prego di leggerli - disse il papa - di che nomi si tratta?" "Hans Küng, Congar, Chenu...". "È ovvio che devono essere invitati" esclamò il papa. E fu così che furono invitati».

Quali sono i nodi da sciogliere?

«Il primo è la sessualità. I verbali del Concilio oggi sono pubblici, e sappiamo che il vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, nelle Commissioni ha sempre votato con i più conservatori, il che spiegacome nei ventisei anni del suo pontificato non ha mai messo in pratica il Concilio. C’è un argomento nella Chiesa che resta congelato dal tempo del Concilio di Trento, cioè dal 1500, e si chiama Teologia Morale: è il tema della sessualità. In Concilio c’è stato un movimento per riaprire un dibattito su questo argomento, ma i conservatori si sono organizzati e lo hanno impedito. La vita è l’ironia della storia, e riguarda il cardinale francese Jean Daniélou, che anni dopo è morto improvvisamente nella camera di una prostituta a Parigi, ma era stato il leader del gruppo che aveva impedito che si toccasse l’argomento sessualità».

Poi?

«La questione della donna. Voglio ricordare qualche punto della dottrina ufficiale. Nella teologia scolastica c’è una questione classica: può uno schiavo essere sacerdote? Sì, se è stato reso libero, perché lo schiavo è un uomo e come tale gode della pienezza della natura umana. Qui viene la seconda domanda: può una donna libera essere sacerdote? No, perché la donna è ontologicamernte inferiore all’uomo e non gode della pienezza della natura umana e nemmeno del pieno dominio della ragione. Questo è un testo della dottrina ufficiale della Chiesa, non è un mio discorso. La donna non ha il pieno dominio della ragione, come i bambini e i pazzi.

Una coppia sposata religiosamente e civilmente può avere rapporti sessuali, ma a condizione che tale rapporto sia destinato alla procreazione. Se è per il piacere, no. È lussuria. Ho sentito un professore di teologia morale dire a questo proposito: "Questo non è teologia, è zoologia". Ma anche in zoologia i mammiferi hanno delle manifestazioni fisiche di affetto. Gli unici animali che hanno rapporti sessuali solo per la procreazione sono i rettili».

Tu parli spesso di ipocrisia. Perché?

«Questo è l’ipocrisia, dividere ciò che si predica da ciò che si vive. Benedetto XVI diceva che la Chiesa è piena di ipocrisia: è una cosa forte se la dico io, ma se la dice un papa è ancora più forte. Ho l’impressione che dicendo questo si è tolto un peso enorme dalle spalle, e le critiche che ha fatto alla Chiesa e alla Curia sono molto forti. Nell’ultima settimana di febbraio Benedetto XVI ha fatto per la Chiesa molto più di quanto aveva fatto in otto anni, e ha messo fine alla papolatria, all’idolatria del papa, come se il papa fosse Dio in terra, che è un’affermazione di san Giovanni Bosco ed è un’affermazione eretica; ma quando si fa un’affermazione eretica a favore del potere non si viene mai condannati dal potere.

La Chiesa dice che è proibito usare il preservativo, anche se ciò produce l’AIDS dovunque. Paolo VI ha cercato di aprire in Concilio il dibattito sulla malattia sociale, con l’aiuto di una persona ottima come Bernhard Häring e ha deciso di trattare l’argomento in un’enciclica, ma Paolo VI era una personalità debole e la Curia è riuscita a imporsi su di lui: il risultato è l’enciclica Humanae vitae, che ha bloccato questo tema. Giovanni Paolo II non aveva alcun interesse a toccare l’argomento e, quando si è manifestato lo scandalo della pedofilia, l’orientamento era di coprire. Roma ha coperto lo scandalo fin quando hanno cominciato ad essere coinvolti vescovi e cardinali».

Hai in mente altri nodi da sciogliere?

«Poi c’è la corruzione finanziaria, che ha prodotto dei suicidi sotto i ponti di Londra. Vi do anche una versione del caso di Giovanni Paolo I, papa Luciani, che mi è stata confidata da un cardinale. Il cardinale di Chicago ha intestato un conto bancario di 50.000 dollari a una sua nipote; Paolo VI lo voleva trasferire da Chicago ma il cardinale Baggio, presidente della Congregazione dei vescovi, si è opposto dicendo che la stampa documentava la corruzione del cardinale, ma che se si trasferiva quello di Chicago avrebbero accusato quello di Parigi, quello di San Paolo, e si sarebbe dovuto correre dietro a tutte queste denunce. Paolo VI non trasferì il cardinale di Chicago, ma tre mesi dopo papa Luciani invitò a cena il cardinale Baggio ed ebbero un colloquio molto difficile: il papa non riuscì a convincerlo a trasferire il cardinale di Chicago e Baggio se ne andò. Il papa rientrò nella sua camera, prese il telefono e chiamò il cardinale Martini a Milano. Disse di avere la tachicardia e raccontò a Martini la discussione che aveva avuto con Baggio. In quella notte il papa morì. Martini raccontò questo a un altro cardinale, che lo ha raccontato a me. Dato che non intendo rivelare il nome di questo cardinale, e che anche Martini è morto, io vi trasmetto questa versione».

Che cosa ti aspetti dunque da questo nuovo papa?

«Ora noi dobbiamo pensare che papa Francesco è simbolo di una grande riforma nella Chiesa. Subito dopo l’elezione, il cardinale Claudio Ruiz, del Brasile, ha dichiarato a Roma che ci sarà una riforma della Curia romana. Ruiz è un uomo che misura molto le parole e non avrebbe mai detto queste cose se non fosse stato autorizzato dal papa, perciò c’è speranza che ci sarà una riforma della Curia. Ma ci aspettiamo molto più da questo papa: il Concilio parla di una gestione collegiale della Chiesa. Il papato è l’unica monarchia assoluta che resta in Occidente. In Oriente c’è quella dell’Arabia Saudita. A lui piacerebbe molto che il papa non fosse più un capo di Stato e chiudesse tutte le nunziature, che oggi hanno più potere delle conferenze episcopali, e ricordo che durante il pontificato di Paolo VI in Brasile la nunziatura non contava niente, mentre oggi interferisce nelle decisioni delle chiese nazionali. Sarebbe molto buona cosa se il papa valorizzasse i presidenti delle conferenze episcopali delle chiese nazionali e i sinodi dei vescovi e che creasse un sinodo dei laici, secondo la Lumen Gentium che è una delle principali costituzioni del Concilio Vaticano II».

Tu hai conosciuto sulla tua pelle le dittature militari in America Latina. Ne parli nel tuo libro "Battesimo di sangue". Che cosa pensi del ruolo del cardinale Bergoglio in Argentina negli anni della dittatura?

«Io sto alla parola del premio Nobel per la Pace Perez Esquivel: dice che in primo luogo Bergoglio non era ancora vescovo, era superiore dei Gesuiti, e non ha peccato per partecipazione alla politica della Giunta militare; può darsi che talvolta abbia peccato per omissione, ma certamente ha lavorato dietro le quinte favorendo i perseguitati Non esiste alcuna prova che lui personalmente abbia appoggiato la dittatura, come invece ha fatto l’insieme della Chiesa argentina».

Quando, dopo l’elezione al pontificato, in Italia questo interrogativo si è posto, la Radio Vaticana ha liquidato velocemente la questione come una campagna di anticlericalismo di sinistra. Che cosa ne pensi?

«In primo luogo non so dove la Radio Vaticana abbia incontrato la sinistra, visto che in Europa la sinistra non esiste più. In America Latina sì, ma non in Europa. In secondo luogo, l’anticlericalismo oggi sta molto più nel razionalismo scientifico che non in quella che si chiama sinistra. Io trovo che il dubbio venga sollevato legittimamente da tutti coloro che difendono i diritti umani».

Un cristiano può essere anticlericale?

«Sì, trovo che può: un cristiano non solo può, ma direi di più, un cristiano nell’attuale struttura della Chiesa DEVE essere anticlericale, perché la Chiesa non sono solo i preti; la Chiesa sono soprattutto i nuovi laici che non sono chiamati "padri", sono "fratelli", come san Francesco, che non è mai diventato prete».

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