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www.ildialogo.org TRA GESUITISMO E PAUPERISMO: LA SCELTA DEI CARDINALI CADE SU BERGOGLIO,di Valerio Gigante

TRA GESUITISMO E PAUPERISMO: LA SCELTA DEI CARDINALI CADE SU BERGOGLIO

di Valerio Gigante

da Adista (Note) il Venerdì 15 marzo 2013 alle ore 16.08
37082. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Non va sottovalutata la potenziale portata della scelta di un papa latinoamericano, di un gesuita che ha scelto uno stile di vita semplice ed austero, quasi monacale. Così come, al di là delle intenzioni contingenti che hanno determinato questa scelta (cui potrebbe non essere estraneo anche la volontà di compiacere con poco sforzo e sicuro risultato le masse cattoliche) non va sottovalutata la scelta del nome di Francesco; la presentazione dallo stile dimesso e familiare fatta da José Mario Bergoglio dal balcone di piazza san Pietro, l’inchino di fronte alla folla venuta a salutarlo, prima di impartire la propria benedizione (senza però spingersi tanto in là da chiedere che fosse quel “popolo” a benedirlo; Bergoglio si è limitato infatti a chiedere ai fedeli di pregare affinché Dio facesse scendere sul papa la sua benedizione, prima che il papa impartisse la sua, Urbi et Orbi); la sottolineatura del suo essere semplicemente il «vescovo di Roma», piuttosto che «vicario di Gesù Cristo», o «Sommo pontefice della Chiesa universale». Così come non vanno sottovalutati i primi atti di papa Francesco: la rinuncia alla Mercedes, la scelta di pagare l’albergo dove aveva soggiornato prima del Conclave, la decisione di non incontrare il card. Bernard Law (il prelato accusato di aver coperto molti preti pedofili quando era arcivescovo di Boston) durante la sua visita alla Basilica di S. Maria Maggiore. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di essere percepiti come quelli che colgono sempre gli aspetti negativi, i bastian contrari per definizione, gli scettici di qualsiasi riforma, i critici di qualsiasi scelta.
E però, proprio per l’unanime e dirompente coro di ovazioni che si è levato all’elezione al soglio pontificio di Bergoglio, il dovere di una informazione che non si conforma all’onda emotiva – più comprensibile peraltro all’interno del mondo cattolico, che tra i commentatori, gli osservatori, i maître à penser della stampa laica o progressista – ma che cerca di entrare nelle pieghe, nelle contraddizioni, negli aspetti meno visibili (e spesso quindi più rilevanti) degli eventi, dei fatti di cronaca, delle vicende ecclesiali, è ancora più cogente.
Anche perché il rischio opposto, quello di amplificare la portata innovatrice della scelta di un pontefice, delle sue prime parole, degli aspetti simbolici della sua presentazione ai fedeli riuniti in piazza San Pietro, può condurre a fraintendimenti ancora più gravidi di conseguenze negative rispetto alla semplice accusa di settarismo. Successe ad esempio – anche nella sinistra ecclesiale – ai tanti che sottolinearono come dirompente la scelta di Joseph Ratzinger da parte del Conclave riunito nel 2005. «Questo papa vi sorprenderà», profetizzarono in molti. Ma in molti, mese dopo mese, atto dopo atto, nomina dopo nomina, dovettero ricredersi di fronte ad un pontificato che non realizzò nulla di quanto promesso (primo fra tutti la riforma della Curia e la lotta al carrierismo); e che anzi restaurò gran parte di un passato che si credeva archiviato per sempre dalla storia; dovendo poi peraltro battere in ritirata di fronte agli scandali al cospetto dei quali non si aveva avuto la forza o la possibilità di agire.
Va poi aggiunto che è difficile, seppure certamente non impossibile, che un sistema gerarchico, statico, autoreferenziale come quello che da secoli governa la Chiesa si autoriformi. Ancora di più se il Conclave da cui è uscito il nuovo papa è composto da cardinali divenuti tali per volontà di Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi; all’interno di un’evidente strategia che mirava alla definitiva archiviazione di ogni istanza conciliare all’interno dei vertici della Chiesa, della normalizzazione, a livello centrale come periferco, di qualsiasi spinta progressista e riformatrice, sia in campo teologico che pastorale. Quando nella Chiesa qualche trasformazione c’è stata – e può ancora avvenire – è stato soprattutto sotto la spinta di trasformazioni epocali che riguardavano la sfera temporale o delle pressioni di un’opinione pubblica (laica e cattolica) attenta, critica, vigile, di una base ecclesiale e di un clero profondamente impegnati a fare della loro Chiesa un’istituzione in sintonia con i tempi. Elementi che l’attualità contemporanea, sia a livello politico che ecclesiale, non sembra oggi manifestare in maniera adeguata.
Lo stallo del Conclave
Di certo c’è che Bergoglio era fuori dai pronostici di quasi tutti gli esperti di cose vaticane. E la sua elezione ha stupito non poco. Serviranno settimane, forse mesi, per avere qualche informazione precisa su come realmente siano andate le votazioni che ne hanno determinato l’elezione. Si può però ipotizzare che se i candidati unanimemente riconosciuti come “papabili”, ossia il card. Angelo Scola (dato in assoluta pole position) e il card. Odilo Pedro Sherer non hanno ottenuto nelle prime votazioni un numero crescente di voti; o peggio, abbiano visto anche erodere la loro base di consenso, nulla di più facile che i cardinali abbiano considerato impossibile l’elezione dell’uno o dell’altro. Al punto che le due fazioni, frontalmente contrapposte, avrebbero alla fine scelto di negoziare l’elezione di un outsider che non scontentasse nessuno. Inoltre, sia Scola che Sherer possiedono profili abbastanza facilmente individuabili dal punto di vista della collocazione ecclesiastica e geopolitica. Scola intercettava i consensi dell’ala diplomatica della Curia, quella più fortemente anti bertoniana, oltre ai favori di Ruini (che in Conclave non c’era, ma che sul Conclave ha pesato), di una parte dei cardinali italiani, dei simpatizzanti di Comunione e Liberazione, di quei settori del Conclave convinti della necessità di un papa che non fosse più espressione dell’establishment curiale. Scola era peraltro il candidato forte indicato in più occasioni da Ratzinger come suo pupillo, il fondatore, assieme all’ex pontefice, della rivista teologica Communio, l’animatore di Oasis, altra rivista dedicata al rapporto tra cristiani e musulmani; il tessitore di una fitta rete di rapporti in tutta la Mitteleuropa e anche in America latina. Insomma, pareva il candidato predestinato al soglio di Pietro. E infatti, si diceva fosse entrato in Conclave con già all’attivo una cinquantina di voti sicuri (su un quorum di 77). Sherer, al contrario, era invece sostenuto dal segretario di Stato e dai curiali, è espressione dell’ala conservatrice dello Ior e del potere finanziario dell’Opus Dei. Godeva del favore di una parte dei cardinali latinoamericani, oltre che di coloro che puntavano a minimizzare la portata delle dimissioni di Ratzinger e delle “riforme” da molti cardinali invocate come necessarie ed urgenti.
2005: il gran rifiuto del card. Martini
Più arduo è quindi capire in un contesto così fortemente polarizzato, quali forze, consensi, interessi abbia potuto intercettare Bergoglio. Certamente avrà votato per lui una parte dei cardinali che già lo votarono nel 2005, prima che l’ormai ex arcivescovo di Buenos Aires convogliasse su Ratzinger i voti ricevuti (non per generoso gesto di umiltà, come molti scrivono oggi; piuttosto, per la situazione di stallo che si era creata, anche perché, nonostante molte ricostruzioni affermino il contrario, sarebbe venuto meno, a causa dell’imbarazzante passato di Bergoglio, il sostegno dell’altro gesuita presente a quel Conclave, il card. Carlo Maria Martini). C’è poi da considerare che Bergoglio ha buoni rapporti con molti movimenti ecclesiali, ed è visto con simpatia sia da Cl (era amico di don Giacomo Tantardini) che dall’Opus Dei (intervistato dal ciellino Alessandro Banfi nel corso della diretta realizzata Rete4 il giorno dell’elezione di Bergoglio il portavoce dell’Opus Dei in Italia Bruno Mastroianni ha detto che Bergoglio frequenta il vicario dell’Opus Dei in Argentina, aveva «conoscenza diretta» del fondatore Escrivà de Balaguer ed apprezza la sua Opera) e potrebbe quindi essere risultato l’uomo del compromesso tra le due potenti lobby ecclesiastiche che si contendevano il soglio pontificio. Una circostanza che confermerebbe il peso che l’Opus Dei ha avuto nell’elezione degli ultimi papi, a partire almeno da quella di Giovanni Paolo II. E che getta più di qualche dubbio sulla reale capacità “riformatrice” di papa Francesco.
La “presenza” politica
Altri dubbi su Bergoglio provengono invece dalla biografia stessa del nuovo papa. Al di là dei suoi silenzi e, anzi, delle sue sospette connivenze con la dittatura argentina (v. notizia successiva), c’è un profilo di segno nettamente conservatore, in linea con lo smantellamento sistematico di tutto l’episcopato progressista latinoamericano operato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II.
Nato nel 1936 a Buenos Aires, figlio di una coppia di immigrati piemontesi, è stato dal 1973 al 1979 provinciale dei gesuiti in Argentina. Nel maggio 1992 è diventato vescovo ausiliare di Buenos Aires. Nel giugno 1997 arcivescovo coadiutore della capitale argentina. L'anno dopo diventa arcivescovo. Cardinale dal 2001, è stato a capo della Conferenza episcopale argentina dal 2005 al 2011.
Nel suo Paese di origine Bergoglio è stato spesso criticato per il suo eccessivo interventismo politico. Accusa che, come spesso è accaduto nella storia ai gesuiti, Bergoglio ha spesso ribaltato a suo favore, sostenendo che i suoi pronunciamenti e i suoi interventi erano frutto della volontà di opporsi al dispotismo ed alle ingiustizie del potere politico. Fermo ed esplicito oppositore della presidenza del peronista di sinistra Nestor Kirchner prima (che lo definì il «vero rappresentante dell'opposizione») e della moglie Cristina dopo, contro quest’ultima in particolare e contro la sua politica, Bergoglio si è scagliato in maniera particolarmente violenta. A partire dalle presidenziali del 2007 quando arrivò a dire, riferendosi all’ipotesi di una sua elezione: «Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L'ordine naturale ed i fatti ci insegnano che l'uomo è un uomo politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell'uomo, ma niente più di questo».
I temi su cui più ha insistito in questi anni Bergoglio, oltre alla lotta alla povertà, sono stati quelli eticamente sensibili. Ha parlato di aborto ed eutanasia come di «crimini abominevoli», dei movimenti pro-choice come di organizzazioni che promuovono una «cultura della morte»; si è opposto alla distribuzione gratuita di contraccettivi in Argentina, all'insegnamento dell'educazione sessuale nelle scuole, all’adozione da parte di coppie omosessuali. Quando nel 2010 il governo decise di legalizzare i matrimoni gay Bergoglio definì il provvedimento «ispirato dall’invidia del diavolo», «un attacco devastante ai piani di Dio». Convocò quindi «una guerra di Dio» contro la legge: fu il punto di riferimento delle manifestazioni a favore della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna che si susseguirono tra la primavera e l’estate del 2010; scrisse una lettera ai quattro monasteri di Buenos Aires nella quale ammoniva: «Non dobbiamo essere ingenui, non stiamo parlando di una semplice battaglia politica, è una pretesa distruttiva contro il piano di Dio. Non stiamo parlando di un progetto di legge semplice, ma piuttosto una macchinazione del padre della menzogna che cerca di confondere e ingannare i figli di Dio».
Il profilo di Bergoglio, quindi, più che di un riformatore pare quello di un ecclesiastico connotato in senso nettamente conservatore. Con più di qualche tratto reazionario. Che però ha sempre agito con circospezione, utilizzando toni spesso pacati, presentandosi in modo umile e dimesso. E guadagnando consensi presso i ceti popolari attraverso uno stile di vita sobrio e riservato, cui si univano alcuni gesti di grande impatto mediatico (che lo avvicinano a Giovanni Paolo II), come la scelta di vivere in un appartamento in affitto e non nell’arcivescovado, l’utilizzo dei mezzi pubblici per gli spostamenti, la passione per il calcio (è tifoso del S. Lorenzo, squadra argentina del quartiere Boedo di Buenos Aires) e per il tango; ma anche i continui attacchi ai politici colpevoli di perpetrare il crimine della povertà; o la scelta, era il 2001, di lavare e baciare i piedi ad alcuni malati di Aids nell'ospedale Muñiz per malati di Aids, nel carcere di Devoto, a Buenos Aires. (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it




Venerdì 15 Marzo,2013 Ore: 17:10
 
 
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La chiesa di Papa Francesco

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