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www.ildialogo.org Nell’ex Repubblica democratica tedesca cittadini di seconda categoria,Traduzione di Josè F. Padova

Le Monde Diplomatique, novembre 2019
1989-1991: conquista dell’Est

Nell’ex Repubblica democratica tedesca cittadini di seconda categoria

UN MURO PUO’ NASCONDERNE UN ALTRO


Traduzione di Josè F. Padova

In Germania gli importanti risultati elettorali dell’estrema destra in numerosi Land e il malessere della popolazione riaccendono il dibattito sui fallimenti della unificazione. Trent’anni più tardi la maggior parte delle istituzioni economiche, giuridiche o intellettuali sono dirette da personalità dell’Ovest.
Boris Grésillon, professore di geografia all’Università di Aix-Marseille, ricercatore associato al Centro Marc-Bloch (Berlino).
In settembre 2018 è uscito in Germania un libro che ha fatto molto parlare. Scritto da Petra Köpping, ministro dell’Integrazione e dell’eguaglianza della Sassonia, tratta della mancanza di riconoscenza dei tedeschi dell’Est verso la Germania riunificata e porta un titolo provocatore: Integriert doch erst mal uns!, ovvero «Cominciate dunque ad integrarci1!». «…ci» sottintende i tedeschi dell’Est, contrapposti a «quelli là», i rifugiati che la Germania ha accolti in gran numero sul suo suolo a partire dall’estate 2015 e che si sforza da allora di trovare loro un posto. Questo grido del cuore non sorge dalla ministra in persona, che non appartiene ai ranghi del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania, AfD), ma a quelli del Partito social-democratico (SPD). Esso ha origine dalle innumerevoli doglianze che la sig.ra Köpping, per la sua funzione, ascolta e raccoglie ogni giorno nel suo ufficio o sul campo. Sono queste che l’hanno decisa a scrivere questo saggio, tanto incisivo quanto informato.
Pubblicato un anno prima delle cerimonie per il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Questo libro, con il sottotitolo Eine Streitschrift für den Osten (Un’arringa per l’Est) e scritto da una donna originaria dell’ex DDR, è un sasso nel giardino bene ordinato della riunificazione tedesca. Come capire questa rivendicazione d’integrazione da parte di certi Tedeschi dell’Est? E come si è arrivati a questo punto?
Un dato-chiave di questo «malessere orientale» è la quasi-assenza di tedeschi originari dell’Est alle più alte funzioni politiche, economiche e culturali del Paese. La sproporzione colpisce già da quando si tenta di misurarla. Infatti, al vertice dello Stato non si trova che un piccolo gruppetto di persone nate o integrate nella parte orientale della Germania. Certo la sig.ra Angela Merkel, Cancelliera dal 2005 e capo dell’Unione cristiano-democratica (CDU) dal 2000 al 2018, è cresciuta nella DDR. Ma per arrivare a questi due posti di potere e mantenervisi ha dovuto cancellare le sue origini. A lungo la sig.ra Merkel, Wolfgang Thierse – presidente del Bundestag (Parlamento) dal 1998 al 2005 – o ancora Johachim Gauck – pastore evangelico e presidente della BRD dal 2012 al 2017 – agli occhi dei loro compatrioti e degli europei hanno incarnato la riuscita politica degli Ossis (gli abitanti dell’Est) nella Germania riunificata. Tuttavia, senza allievi, protetti o successori nelle fine degli est-tedeschi, non erano altro che gli alberi che nascondono la foresta, che oggi appare molto spoglia.
A cavallo degli anni 2017-2018, al momento di formare il suo governo, Merkel ha scelto in un primo tempo ministri soltanto ovest-tedeschi. È lo SPD, partner della CDU nella «grande coalizione» uscita dalle elezioni federali del 24 settembre 2017, che è intervenuto in extremis per trovare fra i suoi iscritti una donna originaria dell’Est, Franziska Giffey, quasi sconosciuta, e proporla come ministro della Famiglia. Alcuni commentatori hanno ironizzato su questa Ostquote, questa «quota dell’Est» (e delle donne), dal tanfo neocolonialista, adattata dal governo.
La regola del tetto di vetro
Sul piano delle formazioni politiche la constatazione è ancora più grave. I partiti del governo hanno solamente ovest- tedeschi alla loro testa, che si tratti di CDU (Merkel a parte), di SPD, del partito liberal-democratico FPD o dei Verdi. Perfino l’AfD, molto ben radicata all’Est del Paese, è diretta da Wessis (tedeschi dell’Ovest). La Linke nella sua direzione mantiene più o meno una parità Est-Ovest per motivi storici – è stata fondata sulle macerie dell’antico Partito del socialismo democratico della DDR (PDS). Tuttavia, dopo il ritiro del suo capo emblematico, Gregor Gysi, e po in marzo 2019 di Sahra Wagenknecht, ha perso i suoi due esponenti est-tedeschi.
In seno all’alta amministrazione i cittadini dei nuovi Land – le regioni dell’ex-DDR – non hanno che il 5% ei posti, mentre formano il 17% della popolazione totale. Uno studio dell’Università di Lipsia ha dimostrato nel 2016 che i tedeschi dell’Est rappresentano soltanto il 17% degli alti funzionari e dei quadri dirigenti, ovvero un decimo della loro parte della popolazione2. Sui 120 capi-dipartimento dei ministeri federali (gli Abteilungsleiter, con poteri molto estesi) tre soltanto provengono dall’Est; nel 2016 sono tre anche sui 60 segretari di Stato del governo. La regola ben nota del tetto di vetro è quindi perfettamente applicata: più si sale nella gerarchia, meno tedeschi dell’Est si trovano.
Nelcampo dell’economia e degli affari la loro assenza dai posti di potere pone interrogativi. Qui le cifre non sono solamente crudeli, sono sconfortanti. Fra i presidenti-direttori generali delle trenta più grandi imprese tedesche quotate in Borsa (il DAX) nessuno è originario dell’Est, e cinque soltanto dei 200 membri dei loro consigli di amministrazione lo sono, secondo _Der Spiegel (novembre 2018). D’altra parte non uno di questi grandi gruppi ha la sua sede sociale nella parte orientale del Paese, Berlino inclusa. Il dominio occidentale si può osservare anche all’interno stesso dei nuovi Länder: i Wessis dirigono i tre quarti delle grandi imprese dell’Est3 dove rappresentano il 77% dei quadri speriori. Infine, 92,7% di milionari tedeschi abitano all’Ovest, contro solamente 3,9% all’Est e 3,4% a Berlino4. I settori che si sarebbe potuto pensare più aperti alla mescolanza non lo sono in realtà in misura superiore. Praticamente tutte le grandi istituzioni culturali del Paese hanno alla loro testa tedeschi dell’Ovest, compresi quelli… all’Est. Esiste qualche eccezione, come i Berliner Festspiele, un festival diretto da Thomas Oberender, il quale constata con una certa amarezza che «le élite dei nuovi Länder sono dominate in modo eclatante dall’Ovest5». Cos’ le quindici Università situate all’Est sono tutte presiedute da tedeschi dell’Ovest. La maggior parte delle cattedre è occupata da professori ovest-tedeschi – fino all’80%nin Scienze sociali.
Nel mondo dei media il conteggio non è diverso. Tutti i grandi gruppi (Springer, Funke, Burda, Bertelsmann, Gruner+Jahr…), i principali quotidiani a diffusione federale (Frankfurter Allgemeine Zeitung, Süddeutsche Zeitung, Die Welt, Frankfurter Rundschau, Die Tageszeitung, Der Tagesspiegel), come le grandi riviste settimanali (Der Spiegel, Die Zeit, Stern, Focus), provengono dalla ex BRD. Sussistono soltanto – se si esclude la stampa regionale – la Berliner Zeitung e il Berliner Kurier, indirizzati piuttosto a un lettorato invecchiante di Berlino Est. Perfino il settimanale Der Freitag, chiaramente orientato a sinistra e che si fa volentieri l’eco delle problematiche est-tedesche, non impiega che due soli giornalisti permanenti originari dell’Est.
Questa situazione ha la sua origine nelle condizioni che i media e i dirigenti occidentali hanno chiamato la «riunificazione», all’indomani della caduta del Muro di Berlino. L’evoluzione fu vissuta dai tedeschi dell’Est come un grande sconvolgimento e, da alcuni, un’annessione. Non appena dissolte le istituzioni della DDR, il 3 ottobre 1990, è iniziato un movimento di purghe miranti a sbarazzare l’élite est-tedesca degli aderenti del Partito socialista unificato (SED) e dei partigiani del governo decaduto. Nei settori amministrativo, economico, politico, culturale, universitario si è installata una nuova classe dirigente. Venuta dall’Ovest, piuttosto giovane, ben formata, era felicissima di occupare immediatamente posti importanti nei Land orientali annessi da poco alla BRD. Un milione di funzionari hanno così perduto il loro impiego, di cui 70.000 insegnanti delle scuole superiori e la totalità dei magistrati penalisti (giudici e procuratori), cacciati dai tribunali. Il gioco della riproduzione sociale, delle reti d’influenza e delle conoscenze ha perpetuato la predominanza di questo gruppo per le generazioni successive. Se pur non vi è stata volontà esplicita di mettere da parte i tedeschi dell’Est, non vi è stato nemmeno uno sforzo per fare loro posto. Nel 2016, sui 202 generali e ammiragli, se ne trovavano solo due originari dell’Est. Era anche il caso di soltanto tre dei 336 giudici delle Corti supreme federali e del 13% dei giudici attivi sul territorio della ex Germania ovest.
La rarità dei tedeschi dell’Est nei posti di potere ha anche motivi economici. Dopo l’unificazione del 1990 essi hanno subito un terremoto sociale che li ha durevolmente allontanati da ogni ambizione di carriera – un’inclinazione questa d’altronde poco incoraggiata nel regime socialista. Come spiega Frauke Hildebrandt, professoressa in Scienze dell’educazione all’Università di Potsdam e presidente della Commissione dell’Est del SPD in Brandeburgo (commissione incaricata dei problemi strutturali della Germania Est), tutte le famiglie est-tedesche hanno conosciuto la perdita brutale di un impiego, la disoccupazione di lunga durata, la chiusura di fabbriche, imprese di Stato, servizi amministrativi. Tutte hanno vissuto il declassamento, i piccoli lavoretti precari, la rottura dei rapporti professionali e di amicizia, ma anche la separazione delle coppie per l’emigrazione verso ovest. Tutte hanno fatto l’esperienza della sparizione di un mondo che non si riassumeva nella Stasi, nel Muro e neppure al Partito. Negli anni ’90, decennio di tutti i pericoli, si trattava di salvare la pelle prima di prospettarsi una carriera.
Introdurre le quote?
Molti hanno tentato l’avventura dalla parte occidentale, provocando così l’altro dramma dell’ex DDR: il salasso demografico. Dal 1990 si videro installarsi all’Ovest, spesso con successo, decine e poi migliaia di tedeschi dell’Est, giovani e diplomati, in maggioranza donne. I nuovi Land non si sono mai ripresi da questa emorragia di abitanti – quasi due milioni – una parte dei quali avrebbero potuto occupare posti di responsabilità all’Est.
Oggi un numero non trascurabile di tedeschi si percepiscono come cittadini di seconda categoria, abbandonati ai margini della strada da un neoliberalismo imposto dall’esterno: disoccupati di lungo corso, beneficiari della minima sociale, lavoratori precari o a tempo parziale, pensionati poveri o ancora, semplicemente, persone deluse dalle promesse mirabolanti di un mondo certamente «libero», ma privo di scopo e di senso. Sul piano politico la loro non-integrazione si traduce nell’astensione e in un voto di opposizione, all’inizio per il PDS, diventato Die Linke negli anni duemila, poi sempre più, dopo il 2010, per l’AfD – due fenomeni nettamente più spiccati all’Est che all’Ovest6. A modo suo la cesura politica fra le due parti della Germania si esprime in quel grido dal cuore: «Prima di tutto integrateci!».
Due analisi complementari spiegano questa «assenza». L’una riguarda la problematica del tetto di vetro. Al di là della situazione economica fragile – benché in netto miglioramento dal 1990 – la popolazione originaria della Germania Est, a causa della sua sotto-rappresentanza in seno alle élite, non si sentirebbe appartenere alla «nazione ritrovata7», annunciata con zelo all’indomani della caduta del Muro. Mentre alcuni scommettono sul tempo, potente rimedio per dissolvere le amarezze che terminerebbe per unificare il Paese, altri, sovente venuti dall’Est reclamano l’introduzione di quote nei posti direzionali, in proporzione alla parte dei tedeschi dell’Est nella popolazione totale. Il tempo non cambierà nulla nel problema, spiegano, perché la collera, la rassegnazione e la frustrazione degli Ossis si trasmette da una generazione all’altra. L’idea delle quote – che, a credere nei sondaggi non seduce che il 48% dei tedeschi dell’Est – continua a riempire d’inchiostro molta carta8.
Un’altra interpretazione mette in primo piano un fattore d’ordine più strutturale, cancellando dalla storia la DDR come fu vissuta da chi vi è nato9, radendo al suolo i suoi monumenti simbolici – come l’antico Palazzo della Repubblica a Berlino – e riducendo i suoi abitanti allo stato sia di vittime di una dittatura totalitaria, sia di spioni della polizia, infine monopolizzando i posti di potere, i vincitori della guerra fredda hanno fatto nascere all’Est un sentimento che nessuna quota potrà placare: quello di non sentirsi appartenere al proprio Paese.
 
NOTE
1 Petra Köpping, Integriert doch erst mal uns! Eine Streitschrift für den Osten, Ch. Links Verlag, Berlin, 2018.
2 Michael Bluhm et Olaf Jacobs, «Wer beherrscht den Osten? Ostdeutsche Eliten ein Vierteljahrhundert nach der deutschen Wiedervereinigung», Université de Leipzig, en collaboration avec la chaîne de télévision Mitteldeutscher Rundfunk, 2016.
3 Ibid.
4 Manager Magazin, Hambourg, automne 2018.
5 Stefan Braun, «“Dieses Land wird vom Westen dominiert” », Süddeutsche Zeitung, Munich, 2 mars 2018.
6 Michael Bluhm et Olaf Jacobs, op. cit.
7 Cf. Béatrice von Hirschhausen et Boris Grésillon, «La permanence de la partition allemande», Hérodote, numéro «Géopolitique de l’Allemagne», qui paraît ce mois
8 «Verhilft sie Ostendeutschen zu mehr Chancengleichheit?», Die Zeit, Hambourg, 21 mars 2019.
9 Cf. Sonia Combe, D’Est en Ouest, retour à l’archive, Éditions de la Sorbonne, Paris, 2013, et Nicolas Offenstadt, Le Pays disparu. Sur les traces de la RDA, Stock, Paris, 2018.



Giovedì 21 Novembre,2019 Ore: 17:38
 
 
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