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www.ildialogo.org Come due nemici mortali vogliono salvare l’Italia,di Ulrike Sauer, Roma

Süddeutsche Zeitung, 18 maggio 2013
Come due nemici mortali vogliono salvare l’Italia

Economia – Coalizione di governo


di Ulrike Sauer, Roma

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


L'articolo, la cui lettura propongo oggi, s'intitola (letteralmente): "Come due nemici mortali vogliono salvare l’Italia" (...retten wollen). Il corrispondente da Roma, Ulrike Sauer, forse perché tedesca e quindi poco usa a vedere (ir)responsabili tipo B. mettere le mine sulla strada del (proprio) governo, generosamente dice che costoro "vogliono salvare". Qui è sbagliato il plurale: uno vuole, almeno sembra, l'altro assolutamente no. Berlusconi vuole salvare soltanto sé stesso: dalle condanne, dal fallimento delle sue aziende. Ma questo già tutti lo sappiamo. Peccato non lo possano sapere i lettori di Sueddeutsche Zeitung. Ulrike, bitte, mehr Genauigkeit! Ulrike, per favore, sii più precisa!
J.F.Padova

Süddeutsche Zeitung, 18 maggio 2013

Economia – Coalizione di governo

Come due nemici mortali vogliono salvare l’Italia

Ulrike Sauer, Roma

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

sueddeutsche.de

Senza crescita l’Italia è perduta: il premier Enrico Letta dovrebbe condurre il Paese fuori dalla recessione insieme all’ex capo del governo Berlusconi. Ma del lavoro di team non c’è nessuna traccia, i partner si fanno guerra.

Mai nella rappresentazione collettiva l’Italia è stata tanto sé stessa come nel 1960, quando Federico Fellini del film “La dolce vita” fece un monumento a un’Italia in irruente crescita e avida di futuro. Mai l’Italia ha conquistato così il mondo come allora.

E mai si è stati tanto lontani da questo mito come nei primi 20 giorni della “coalizione delle larghe intese” a Roma. Lì per la prima volta la generazione dei babyboomer ha preso il potere – una generazione che è nata proprio al tempo in cui l’opera di Fellini affascinava le masse. L’esperto di economia Enrico Letta, classe 1966, dirige un Gabinetto insolitamente giovane, che è nato dalla necessità. In mancanza di alternative due nemici mortali hanno stretto una coalizione forzata: il socialdemocratico PD di Letta e il partito del populista di destra Berlusconi.

Ma questa alleanza di partner tanto diversi riuscirà effettivamente a impedire la caduta in picchiata dell’economia italiana? La spunteranno, Letta e la sua coalizione, a bloccare l’accumulo dei debiti e contemporaneamente a promuovere la crescita? Perché soprattutto al Paese industriale Italia, la patria di Fiat, Enel e Eni, è venuto meno il dinamismo economico. Anche Letta lo sa: «Senza crescita l’Italia è perduta».

Un atto di forza che richiede il più alto grado di compattezza

E in Italia non vi è più crescita da molto tempo: sul Paese incombono già sette trimestri di recessione. Mai c’è stato un periodo di magra tanto lungo. Fra il 2007 e il 2013 sono andati perduti nove punti percentuali del PIL. Il prodotto interno lordo si è ridotto di 150 miliardi di euro. Anche nei primi tre mesi del corrente anno l’efficienza economica è calata dello 0,5 percento – e quindi in misura più elevata di quanto ci si aspettava.

Il nuovo premier tenta perciò di imboccare una via di mezzo. Vuole risparmiare, ma non così unilateralmente come il suo predecessore Mario Monti con la sua compagine di esperti. Egli non vuole mettere in pericolo la disciplina di bilancio acquisita, ma – per quanto è possibile in presenza della politica di austerità – fare di più per l’occupazione e per gli investimenti. Si tratta di un atto di forza, che richiede il massimo di determinazione. Ma nella Grande Coalizione non si rintraccia pressoché nulla di un costruttivo lavoro di team. I partner si fanno la guerra fra loro e mandano a rotoli l’impresa di Letta.

Nel mondo economico italiano si seguono questi diverbi con grande preoccupazione. “L’Italia non ha perso soltanto la crescita, ma anche la speranza di crescere”, si lamenta l’ex manager bancario Pietro Modiano, presidente della holding finanziaria Carlo Tassara. Anche l’ex premier Mario Monti si aspetta niente di buono. “Io temo che la Grande Coalizione procederà a somma zero”, dice preoccupato il Professore. Ha paura che le urgenti riforme restino per strada a causa dello scambio di favori fra destra e sinistra.

Ma quali alternative ha quindi l’Italia, ci si chiede nelle altre capitali europee, a Berlino e a Parigi, ma anche a Roma? “Questo governo è la sola speranza che abbiamo di cambiare qualcosa in un prossimo futuro”, dice il capo degli industriali Giorgio Squinzi. Chi la mettesse in gioco [al tutto per tutto] precipiterebbe l’economia nel disastro, l’imprenditore chimico così ammonisce i partner litigiosi. Squinzi appartiene al numero di coloro che non per questo hanno perduto la speranza: “La decadenza dell’Italia non è inarrestabile”, egli ritiene e come corridore ciclista dilettante dà consigli al team di Enrico Letta: “Non smettere mai di pigiare sui pedali!”.

O la tassa sparisce entro agosto o il governo cade

Venerdì scorso il governo Letta ha ascoltato questo grido e ha preso le prime decisioni: lo Stato versa un miliardo di euro nelle casse vuote della assistenza per i disoccupati delle piccole imprese. Inoltre viene rinviata la discussa imposta sugli immobili di proprietà – una concessione a Berlusconi, che aveva promesso ai suoi elettori l’eliminazione del tributo “criminale”.

Quattro miliardi di euro costa questo al nuovo ministro delle Finanze Fabrizio Saccomanni, quindi Letta, per ricuperare il denaro, ha immediatamente annunciato un nuovo ordinamento dell’insieme tributario sugli immobili. E ha incassato la minaccia dell’esperto berlusconiano di economia Renato Brunetta: “O la tassa sparisce entro agosto o il governo cade”.

La disputa distrae dai problemi reali: dalla mancanza di posti di lavoro. “È urgente affrontare il tema dell’occupazione”, chiede anche il capo di Unicredito Federico Ghizzoni. Dal Fondo Monetario Internazionale passando per l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico fino alle Istituzioni europee: tutti spronano l’Italia ad abbassare al più presto le imposte sui redditi da lavoro. Con un carico tributario del 42,3 percento il Paese si trova sette punti sopra la media dell’Unione Europea. Per la competitività dell’Italia questo è veleno.

Riflettere sull’«Essere Italia»

Non occorre dirlo a Letta e al suo ministro delle Finanze Saccomanni, il quale, fino a poco fa Direttore generale della Banca d’Italia, persegue una chiara strategia. Egli fa ogni sforzo possibile per tirare fuori l’Italia, il 29 maggio, dal procedimento dell’Unione Europea per sorpasso del deficit. Infatti l’Italia dopo tre anni ha compresso il suo deficit di bilancio sotto il livello del 3 %. Se si calcolano gli effetti recessivi, il Paese in crisi è perfino vicino a una condizione di pareggio – diversamente da Francia e Spagna, alle quali Bruxelles ha dovuto assicurare proprio una dilazione per la riduzione del deficit.

La liberazione dal procedimento punitivo ha un vantaggio evidente per l’Italia: il Paese, spremuto all’estremo, potrebbe tenere fuori dal bilancio le spese dello Stato indirizzate alla produttività. Così si libererebbero da dieci a dodici miliardi di euro per gli investimenti, spera Saccomanni.

E anche il nuovo premier non ha ancora perduto la speranza, nonostante le eterne liti della sua coalizione, di ricollegarsi alla buona sorte degli anni ’60. “Il nostro Paese”, ha detto Letta al suo discorso d’insediamento, “deve nuovamente tornare a ricordarsi di essere Italia”.




Giovedì 23 Maggio,2013 Ore: 16:19
 
 
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