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www.ildialogo.org     A ognuno la sua arma - Droni e kamikaze, gioco di specchi,di Grégoire Chamayou

Le Monde Diplomatique – aprile 2013
    A ognuno la sua arma - Droni e kamikaze, gioco di specchi

di Grégoire Chamayou

Traduzione di Josè F. Padova


Anche noi, italiani, spaventati o infuriati per l'evidente declino del Paese (ma poi dovremmo prendercela con noi stessi), siamo coinvolti in una mutazione della tecnologia - ma ancor più dell'etica - della guerra. Se di etica si può parlare quando si uccide. Si tratta dei droni, gli aerei-killer radiocomandati, presenti anche sul nostro territorio, da cui partivano per missioni anti-Gheddafi.
L'articolo di oggi ne definisce la natura in rapporto all'antagonista, l'attentatore suicida erede dei kamikaze nipponici.
"Drone e kamikaze sono simmetrici come due motivi opposti della sensibilità morale. Due ethos che si fronteggiano rispecchiandosi, ciascuno a sua volta antitesi e incubo dell’altro. Quello che è in gioco in questa diversità, almeno in quella che appare in superficie, è un certo concetto di rapporto con la morte, la propria e quella di altri ...."
"Orrore per orrore, in che cosa sarebbe meno orribile uccidere senza esporsi a perdere la vita che farlo condividendo la sorte delle proprie vittime? In che cosa un’arma che permette di uccidere senza alcun pericolo sarebbe meno ripugnante del suo opposto? " J.F.Padova

Le Monde Diplomatique – aprile 2013

A ognuno la sua arma

Droni e kamikaze, gioco di specchi

Può il presidente degli Stati Uniti fare assassinare un cittadino del suo Paese? Tale è la domanda che suscita l’eliminazione, nel settembre 2011 mediante un drone, di Anwar Al-Awlaki, un dirigente americano di Al Quaeda in Yemen. L’impiego di questi apparecchi senza pilota, che sconvolge le regole della guerra, non suscita intense reazioni di rigetto nell’opinione pubblica dell’Occidente, mentre gli attentati suicidi appaiono come il culmine della barbarie.

Grégoire Chamayou

(traduzione dal francese di José F. Padova)

«Per me il robot è la nostra risposta all’attentato suicida» Bart Everett (1).

Il filosofo Walter Benjamin ha riflettuto sui droni, sugli aerei radiocomandati che i pensatori militari della metà degli anni ’30 già immaginavano. Questo esempio gli serviva per illustrare la differenza fra ciò che egli chiama la «prima tecnica», che risale all’arte della preistoria, e la «seconda tecnica», caratteristica delle industrie moderne. Quello che le distingueva ai suoi occhi era meno l’inferiorità o l’arcaismo dell’una in rapporto all’altra che la loro «diversità di tendenza»: «La prima impegnava l’uomo il più possibile, la seconda il meno possibile. L’exploit della prima, se so osa dirlo, è il sacrificio umano; quello della seconda si esplicherebbe nell’aereo senza pilota diretto a distanza con le onde hertziane (2)».

Da un lato, le tecniche del sacrificio; dall’altro, quelle del gioco. Da un lato, l’impegno integrale; dall’altro, il disimpegno totale. Da un lato, la singolarità di una azione viva; dall’altro, la riproducibilità indefinita di un gesto meccanico: «Una volta per tutte – è stato il motto della prima tecnica (sia l’errore irreparabile, sia il sacrificio della vita, eternamente esemplare). Una volta è nulla – è il motto della seconda tecnica (il cui oggetto è quello di continuare, variandole instancabilmente, le proprie esperienze) (3)». Da un lato, il kamikaze o l’autore di attentati suicidi, che si sprofonda una volta per tutte in una sola esplosione; dall’altro, il drone, che lancia i suoi missili a ripetizione, come se nulla fosse.

Mentre il kamikaze implica la fusione completa del corpo del combattente con la sua arma, il drone garantisce la loro radicale separazione. Kamikaze: il mio corpo è un’arma. Drone: la mia arma è senza corpo. Il primo implica la morte dell’agente. Il secondo la esclude in misura assoluta. I kamikaze sono gli uomini della morte certa. I piloti di drone sono gli uomini della morte impossibile. In questo senso, essi rappresentano due poli opposti nello spettro dall’esplosione alla morte. Fra i due, vi sono i combattenti classici, gli uomini della morte rischiata.

Si parla di suicide bombing, di attentati suicidi, ma quale sarebbe l’antonimo? Non esiste espressione specifica per definire coloro che possono uccidere mediante esplosione senza mai esporre la loro vita. Non soltanto non è loro necessario morire per uccidere ma, soprattutto, è loro impossibile essere uccisi uccidendo.

Sacrificio o salvaguardia di sé

Contrariamente allo schema evoluzionista, che in realtà Benjamin non suggerisce se non per meglio sovvertirlo, kamikaze e drone, arma del sacrificio e arma dell’auto-preservazione, non si susseguono in modo linearmente cronologico, scacciando l’uno l’altro come nella storia preistorica. Al contrario essi emergono in modo congiunto, come due tattiche opposte che si corrispondono storicamente.

Alla metà degli anni ’30, un ingegnere della società di radiocomunicazioni Radio Corporation of America (RCA), Vladimir Zworykin, lesse un articolo sulle forze armate giapponesi che lo inquietò al massimo livello. I giapponesi, vi lesse, avevano cominciato a formare squadre di piloti per aerei-suicidi. Molto prima della tragica sorpresa di Pearl Harbour, Zworykin aveva afferrato l’ampiezza della minaccia: «L’efficacia di questo metodo, certamente, rimane da dimostrare, ma se un simile addestramento psicologico delle truppe fosse possibile, quest’arma si rivelerebbe fra le più pericolose. Poiché difficilmente possiamo aspettarci che tali sistemi siano introdotti nel nostro Paese, dobbiamo affidarci alla nostra superiorità tecnica per risolvere il problema (4)». A quell’epoca negli Stati Uniti già si disponeva di prototipi di “aerei radio controllati” che potevano servire come siluri aerei. Ma il problema era che questi apparecchi telecomandati erano ciechi: essi «perdono la loro efficacia dal momento in cui si interrompe il contatto visivo con la base che li dirige. I giapponesi, evidentemente, hanno trovato la soluzione a questo problema». La loro soluzione era il kamikaze: poiché il pilota ha occhi ed è pronto a morire, può guidare l’apparecchio sul suo bersaglio fino alla fine.

Ma alla RCA Zworykin era anche uno dei pionieri della televisione. E lì, di certo, si trovava la soluzione: «Un sistema possibile per ottenere praticamente gli stessi risultati dei pilori suicidi consiste nell’equipaggiare il siluro radiocomandato con un occhio elettrico (5)». L’operatore sarebbe allora in grado di vedere il bersaglio e di guidare visivamente l’arma fino al punto d’impatto mediante comandi radio. Senza più lasciare altro, nella carlinga dell’aereo, se non la retina elettrica del pilota, mentre il suo corpo sarebbe relegato altrove, fuori portata delle difese antiaeree nemiche. Con questo principio di accoppiamento di televisione e di aereo telecomandato, Zworykin scopriva la formula che molto più tardi sarebbe stata quella della smart bomb (“bomba intelligente”) e del drone armato.

Se il testo di Zworykin è rimarchevole, lo è perché concepisce, fin da una delle sue prime formulazioni teoriche, l’antenato del drone come anti-kamikaze. Non soltanto dal punto di vista logico, quello della sua definizione, ma anche e soprattutto sul piano tattico: è l’arma che gli corrisponde, a un tempo come il suo antidoto e la sua stella gemella. Drone e kamikaze costituiscono due opzioni pratiche opposte per risolvere lo stesso problema, quello della guida della bomba fino al suo bersaglio. Quello che i giapponesi intendevano realizzare mediante la superiorità della loro morale sacrificale, gli americani lo porteranno a compimento mediante la supremazia della loro tecnologia materiale. Ciò che i primi speravano di raggiungere con la preparazione psicologica, viene realizzato dai secondi con procedimenti puramente tecnici. La genesi concettuale del drone prende il suo posto in un’economia etico-tecnica della vita e della morte, in cui il potere tecnologico dà il cambio a una forma inesigibile di sacrificio. Là dove da una parte vi saranno valorosi combattenti, pronti a sacrificarsi per la causa, dall’altra non vi saranno altro che congegni fantasma.

Oggi si ritrova questo antagonismo del kamikaze e del telecomando. Attentati-suicidi contro attentati-fantasma. Questa polarità è innanzitutto economica. Essa oppone coloro che possiedono il capitale e la tecnologia a coloro che non hanno, per combattere, niente più del loro corpo. A questi due sistemi materiali e tattici corrispondono tuttavia anche due sistemi etici – etica del sacrificio eroico da una parte, etica dell’auto-conservazione vitale dall’altra.

Drone e kamikaze sono simmetrici come due motivi opposti della sensibilità morale. Due ethos che si fronteggiano rispecchiandosi, ciascuno a sua volta antitesi e incubo dell’altro. Quello che è in gioco in questa diversità, almeno in quella che appare in superficie, è un certo concetto di rapporto con la morte, la propria e quella di altri, con il sacrificio e la preservazione di sé, il pericolo e il coraggio, la vulnerabilità e la distruttività. Due economie politiche e affettive del rapporto con la morte, quella che si dà e quella alla quale ci si espone. Ma anche due concetti opposti dell’orrore, due visioni di orrore.

Richard Cohen, editorialista del Washington Post, ha espresso il suo punto di vista: «Per quanto riguarda i combattenti talebani, non soltanto non hanno cara la vita, ma la sprecano gratuitamente in attentati suicidi. È difficile immaginare un kamikaze americano (6)». E insiste: «Un kamikaze americano, non esiste. Noi non esaltiamo gli autori di attentati suicidi, non facciamo sfilare i loro figli davanti alle telecamere perché altri bambini siano invidiosi di chi ha un genitore morto. Per noi è sgradevole. Ciò ci raggela. Francamente, è ripugnante». E aggiunge compiacente: «Ma forse siamo noi quelli cui è troppo cara la vita (7)».

Quindi, ciò che è «sgradevole», «agghiacciante», «ripugnante» è l’essere pronti a morire nella propria lotta e il farsene gloria. Il vecchio idolo del sacrificio guerriero, caduto direttamente dal suo piedistallo nella tasca del nemico, è diventato il peggiore degli elementi di contrasto, il colmo dell’orrore morale. Al sacrificio, incomprensibile e ignobile, che immediatamente è interpretato come un disprezzo della vita senza accorgersi che implica piuttosto essere un disprezzo della morte, si oppone un’etica dell’amore della vita – del quale il drone è senza dubbio l’espressione compiuta.

Vanità estrema, si concede che «noi», la vita, la teniamo talmente cara che talvolta la coviamo in modo indubbiamente eccessivo. Un troppo pieno d’amore che sarebbe di sicuro scusabile se tanto autocompiacimento non facesse sospettare dell’amore stesso. Perché, contrariamente a quello che l’autore sbandiera, sono proprio le «nostre» vite, e non «la» vita in generale, che «noi» teniamo cara. Se il caso del kamikaze americano è inconcepibile, casella vuota sulla mappa del pensabile, è perché sarebbe un ossimoro. La vita, qui, non saprebbe negarsi da sé. E a ragione: essa non nega che quella degli altri.

Chi è «codardo»?

Interrogato da un giornalista, che voleva sapere se era «vero che i palestinesi non si preoccupano della vita umana, perfino di quella dei loro parenti», Eyad El Sarraj, direttore del programma di salute mentale di Gaza, ha dato da parte sua questa risposta: «Come potete credere nella vostra propria umanità se non credete nell’umanità del nemico (8)?».

Orrore per orrore, in che cosa sarebbe meno orribile uccidere senza esporsi a perdere la vita che farlo condividendo la sorte delle proprie vittime? In che cosa un’arma che permette di uccidere senza alcun pericolo sarebbe meno ripugnante del suo opposto? L’universitaria britannica Jacqueline Rose, meravigliandosi del fatto che «lanciare dall’aria bombe a frammentazione sia considerato non solamente meno ripugnante, ma anche, per i dirigenti occidentali, come superiore moralmente», s’interroga: «Non è chiara la ragione per la quale morire con la vostra vittima deve essere considerato come peccato più grande di quello che commettete risparmiando voi stessi facendolo (9)». «Un antropologo venuto da Marte, aggiunge Hugh Gusterson, potrebbe notare che molti, nel Vicino Oriente, avvertono gli attacchi dei droni americani esattamente come Richard Cohen gli attentati suicidi. Gli attacchi con i droni vi sono ampiamente percepiti come vili, perché i loro piloti uccidono persone sul terreno restando nell’ambiente rassicurante di un guscio climatizzato nel Nevada, senza il minimo rischio di essere mai uccisi da quelli che essi attaccano (19)».

L’antropologo Tala Asad suggerisce che l’orrore suscitato dagli attentati suicidi nelle società occidentali si basa sul fatto che l’autore dell’attentato, con il suo gesto, impedisce a priori ogni sorta di giustizia retributiva: morendo con la sua vittima, coagulando in un solo atto crimine e castigo, egli rende impossibile la punizione e disattiva così la molla fondamentale di una giustizia pensata in chiave penale. Egli non potrà mai «pagare per ciò che ha fatto».

L’orrore che suscita l’idea di una morte inferita da congegni volanti senza pilota appartiene senza dubbio a qualcosa di simile: «L’operatore di droni, aggiunge Gusterson, è ugualmente un’immagine speculare dell’attentatore suicida, nel senso che anch’egli si scosta, benché in una direzione opposta, dalla nostra immagine paradigmatica del combattimento (11)».

«La guerra sarà la pace»: questo testo, datato 1973, è stato pubblicato da giovani intellettuali americani impegnati nel movimento contro la guerra del Vietnam e conclude il libro Teoria del drone.

Proprio come la guerra aerea è subentrata alla guerra terrestre, una nuova forma di guerra sostituirà la guerra aerea. La chiameremo guerra a distanza. (…) La guerra a distanza si fonda sul concetto fondamentale dei sistemi pilotati a distanza. (…) Il veicolo situato lontano riceve informazioni da sensori sistemati a bordo. (…).

Le caratteristiche della guerra a distanza possono anche servire a ridurre al silenzio i critici che intenderebbero opporsi alla guerra. Non vi sarà alcun soldato americano ucciso in combattimento o fatto prigioniero di guerra. I giocattoli non hanno né madri né mogli che si mettano a protestare contro la loro morte. La guerra a distanza è a buon mercato, molto. Coloro che criticano le spese per la guerra e l’inflazione non avranno più materia per protestare. Grazie alle sue capacità di precisione letale la guerra a distanza non farà alcun danno all’ambiente. Gli ecologisti che protestano contro la distruzione dell’ambiente non avranno di che protestare… E così via.

Il solo argomento di protesta che rimarrà a chi vorrebbe ancora protestare sarà l’omicidio e l’assoggettamento di quella gente che l’esercito americano chiama «comunisti», «niaouké» o molto semplicemente «il nemico». Ma certamente, per l’esercito americano il mondo intero è un nemico potenziale. (…) Ogni differenza fra guerra e pace svanirà in fumo. La guerra sarà la pace.

(1) Directeur de la robotique au Centre des systèmes de guerre navale et spatiale de San Diego (Spawar). Cité par Peter W. Singer, Wired for War : The Robotics Revolution and Conflict in the 21st Century, Penguin Books, New York, 2009.

(2) Walter Benjamin, L’Œuvre d’art à l’époque de sa reproductibilité technique, Gallimard, Paris, 1991 (1re éd. : 1955).

(3) Ibid. (4) Vladimir K. Zworykin, « Flying Torpedo with an Electric Eye », 1934, dans Arthur F. Van Dyck, Robert S. Burnap, Edward T. Dickey et George M.K. Baker (sous la dir. de), Television, vol. IV, RCA, Princeton, 1947.

(5) Ibid. (6) Richard Cohen, « Obama needs more than personality to win in Afghanistan », The Washington Post, 6 octobre 2009.

(7) Richard Cohen, « Is the Afghanistan surge worth the lives that will be lost ? », The Washington Post, 8 décembre 2009.

(8) « Suicide bombers : Dignity, despair, and the need for hope. Interview with Eyad El Sarraj », Journal of Palestine Studies, Washington, vol. 31, no 4, été 2002 ; cité par Jacqueline Rose, « Deadly embrace », London Review of Books, vol. 26, no 21, 4 novembre 2004.

(9) Jacqueline Rose, ibid. (10) Hugh Gusterson, «An American suicide bomber ? », Bulletin of the Atomic Scientists, 20 janvier 2010, www.thebulletin.org




Domenica 14 Aprile,2013 Ore: 13:03
 
 
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