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www.ildialogo.org I bei fantasmi della rivolta,di Eveline Pieiller

Le Monde Diplomatique, gennaio 2013
I bei fantasmi della rivolta

di Eveline Pieiller

L'infatuazione per la leggenda-bufala della profezia Maya non ha radici superficiali. Prima e dopo rivolte più o meno limitate, sono state dimenticate o quasi quelle, memorabili, all'inizio del XVI secolo, nell'Europa Centrale e in Inghilterra. All'articolo di Eveline Pieiller ho aggiunto un link a un'argomentazione attualissima, sperando che il tempo impiegato a leggere questa incalzante successione di testi non sia del tutto sprecato. Grazie e stiamo a vedere che succede nel bene augurabile 2013. JFPadova

(traduzione dal francese di José F. Padova)


La fine del mondo prevista dal calendario maya ha avuto un successo folle. Evidentemente non sembra che i Terrestri si siano lasciati andare in massa al panico, nei dintorni del 21 dicembre; si può perfino osservare che le date fatidiche hanno suscitato in Francia una certa verve sarcastica: «E voi, che cosa fate per la fine del mondo?», s’informava soavemente una pubblicità, mentre le notti parigine ostentavano un’insolenza tonica, da F*ck les Mayas – La soirée des optimistes [Fanculo i Maya – La serata degli ottimisti] (teatro Gaîté-Lyrique) alla Last Dance (teatro della Villette]. Cosa che, al contrario, non impedisce di meravigliarsi di fronte alla risonanza di questa profezia. Perché mai, diamine, una simile eco?

Sicuramente è difficile non mettere in rapporto l’inquietudine generalizzata nei Paesi colpiti dalla «crisi» e l’attenzione, addirittura beffarda, rivolta a una predizione che in altri tempi non ci si sarebbe presi la briga di prendere in considerazione. Tutto sommato, si constata un annuncio di fine del mondo ogni anno… Al momento del passaggio all’anno 2000 (1), tutto irradiato da cattive vibrazioni magnificamente simbolizzate dall’annuncio di un inevitabile, gigantesco bug che avrebbe messo fuori uso la rete informatica mondiale, si è cominciato a familiarizzare con i vaticini inclusi in vecchi libri di magia e a rammentare alla nostra modernità, in perdita di padronanza di sé, di non essere al riparo dai terrori millenaristi. In quell’occasione si è imparato molto su Nostradamus, proprio come oggi ci si istruisce sulle civiltà precolombiane.

Per contro quanto sappiamo del millenarismo rimane esile nel caso migliore, luccicante di errori nel peggiore. Tuttavia questo millenarismo è forse molto più importante dei calcoli maya e non è impossibile che la risonanza attuale di quei calcoli, fonte d’ilarità, certo, ma insistente, gli sia lontanamente apparentata, mentre la storia ufficiale lo ha fortemente ridotto a una superstizione, grazie a Dio ormai superata: una «grande paura», come fu detto a proposito dell’anno Mille? Andiamo, è altrimenti più sorprendente, più dinamico e dannatamente scompigliante.

«Ciò che rende i millenaristi ciò che sono è la nozione che il mondo, qual è, può avere – e perfino avrà – una fine, un bel giorno, per essere in seguito interamente ricostruito (2)». Il millenarismo nasce nella fede. Legato al tema dell’apocalisse, si fonda, secondo la sua interpretazione cristiana (poiché l’ebraismo e l’islam ne hanno una declinazione loro propria), sulla credenza dell’avvento del Regno di Dio sulla terra, per mille anni di pace: il millennio.

Questa credenza ha vita nelle sette, dal Medioevo ai giorni nostri, e ispira movimenti sociali rilevanti. Perché, nel nome dei valori stessi del Vangelo, questa aspettativa di un «cambiamento completo e radicale», per citare lo storico Eric Hobsbawm, non si accontentava sempre di un’attesa passiva, ma cercava di concretizzarsi, di fare accadere quei valori, di stabilire quaggiù il regno della giustizia e dell’eguaglianza fra gli uomini, richiamato dal cristianesimo primitivo.

Si è ben lontani dagli illuminati, dagli eccitati o matti di ogni tipo, ma sempre di stile medioevale, che oggi si vorrebbe associare al millenarismo. Si tratta molto di più, di romanticismo rivoluzionario. Così nel XVI secolo, tempo dell’Umanesimo e del Rinascimento, sorge un movimento millenarista precursore della «più grande rivolta popolare fra Spartaco e la Rivoluzione francese (3)», secondo Friedrich Engels: la Guerra contadina tedesca, ugualmente nota sotto il ragguardevole nome di «Rivolta (rivoluzione) dell’uomo comune» (1524-1526) [v.:. emscuola.org ].

Per apprezzarne il balenio e la singolarità è importante ricostruirne il quadro mentale. L’epoca è segnata da trasformazioni fantastiche, segni ostensibili che il mondo non è compiuto, che è ricco di possibilità fino ad allora inimmaginabili, che per sua natura l’ordine costituito non ha nulla d’immutabile. Che quindi può essere sconvolto. Alla fine del XV secolo è scoperto precisamente un «Nuovo Mondo» e nel 1521 il monaco Martin Lutero, che attacca l’autorità papale, viene scomunicato. Grande scombussolamento. Gli orizzonti si sono spostati all’indietro. Si può essere cristiani diversamente da come i secoli precedenti esigevano.

I sogni che sorgono interrogano l’avvenire da inventare e il presente da contestare. L’inglese Tommaso Moro scrive L’Utopia nel 1516. Don Chisciotte della Mancia è pubblicato fra il 1605 e il 1615. La Riforma impegna a leggere da sé i testi sacri – Lutero traduce in tedesco il Nuovo Testamento – e sembra inciti a non rispettare l’ordine stabilito, se non è giusto. In questo nuovo quadro di pensiero, in questa invenzione di un diverso immaginario, comincia una nuova, ulteriore jacquerie [=rivolta contadina]. Ma quella rivolta, contro i signori, il clero, i possidenti, si radicalizza, prendendo sul serio la speranza evangelica. Dal sud della Germania fino in Svizzera, in Lorena e in Alsazia si sollevano minatori, contadini, piccoli artigiani. Il loro movimento è articolato, infiammato e simbolizzato dal maestro di teologia Thomas Münzer (1490-1525), che se ne mette alla testa. I tumulti hanno certamente ragioni economiche e sociali, ma la parola e l’azione di Münzer acquista abbastanza eco per orientarli verso un «rivoluzionarismo religioso»: «Fino a quando ancora dormirete? (…) Dio non può tardare più a lungo per rivelarsi, dovete levarvi».

Per Münzer Dio espelle i tiepidi. È importante ritornare alla radicalità della legge cristiana, compreso l’uso della violenza insurrezionale. Vi è di che riflettere sull’articolazione della politica e della religione, in talune circostanze. Il loro manifesto è sorprendente: elezione dei pastori, diritti uguali per tutti, fine dei privilegi della nobiltà… Quel millenarismo, del quale secondo Engels lo storico Ernst Bloch dà una lettura entusiasmante (4), è animato dal coraggio di fare realizzare un ideale «annunciato», una buona parola di cui nulla giustifica – se non la paura, la paura del potente, la paura di pensare – che rimanga vuota di concreta realtà.

Ma vi è di ancor più notevole: perché, se pur gli insorti sono vinti e sterminati, se Münzer è torturato e giustiziato, la speranza millenarista non è per questo neutralizzata. Questo sogno ostinato di giustizia, di fondamentale eguaglianza, risorgerà a più riprese. Nella repubblica teocratica degli anabattisti di Münster (5), che sostiene la messa in comune di tutti i beni (1534-1535) [v.: viaggio-in-germania.de e homolaicus.com ], o ancora con gli inglesi durante la Guerra civile (1643-1649), con i Leveller (livellatori) che si battono per l’abolizione dei privilegi e per il diritto di voto, nel nome dei diritti naturali degli uomini, tutti nati liberi ed eguali…Anch’essi saranno schiacciati. Ma le loro aspirazioni, le loro ispirazioni, continueranno a diffondersi, proprio come quelle degli anabattisti, in tutta l’Europa [v.: societalibera.org e cronologia.leonardo.it ].

D’altra parte si potrebbe spontaneamente pensare che l’Europa abbia a cuore di salutare in questi rivoluzionari i precursori eroici dei combattimenti compiuti per pervenire alle nostre democrazie, tanto attaccate all’eguaglianza. Non è veramente il caso. Quando il Consiglio Europeo, dalla sua creazione nel 1949, si vede incaricato di programmare azioni destinate a consolidare «l’identità culturale europea», quando si è dichiarato, con una costanza che non teme la ripetizione, l’importanza d’incoraggiare «una informazione migliore sulla storia e la cultura europee allo scopo di promuovere una coscienza europea (6)», nulla, nei numerosi «programmi federatori», lascia trasparire la minima allusione a questi movimenti. L’Europa preferisce celebrare il Cammino di Santiago de Compostela (che ha l’onore di essere il primo «itinerario culturale» europeo) e il grazioso Wolfgang Amadeus Mozart.

Tuttavia, malgrado il grande silenzio che ha cercato di fare dimenticare queste insurrezioni verso l’ideale egualitario (7), il vecchio sogno infiamma ancora, anche a rischio di traviarsi in iconografia New Age e di confondere la fine del mondo con la fine di un mondo. Le rivoluzioni sarebbero state perdute? No, esse non lo saranno veramente se non si cancella l’ardente speranza di un mondo diverso. Se si decifrano i segni, ricerche di altri cammini e di altre utopie, forse non è per domani…

Sull’argomento, all’antitesi de “La Rivoluzione” vi è “La Conservazione” (magari con piccoli adattamenti): infatti «Lo straripare della parola rivoluzione vuol dire che c'è, diffusa, ansia di piazza pulita. Di una sorta di immacolata rigenerazione, che azzeri la storia dimenticandola» suggerisce Barbara Spinelli in:

Quando arrivano i Guidatori - Repubblica.it

repubblica.it

JFPadova




Mercoledì 02 Gennaio,2013 Ore: 22:22
 
 
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