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www.ildialogo.org VA’ VIA DA ME, SATANA!,di p. José María CASTILLO

XXII TEMPO ORDINARIO – 30 agosto 2020 - Commento al Vangelo
VA’ VIA DA ME, SATANA!

di p. José María CASTILLO

Mt 16, 21-27
Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
  1. A partire dal momento in cui i discepoli, per bocca del loro portavoce Pietro, affermano la loro fede in Gesù come Messia (Mc 8, 27-30; Mt 16, 13-16; Lc 9, 18-21), lui «inizia» a spiegare a quegli uomini in cosa consistesse il suo messianismo e come lo avrebbe realizzato. Tale messianismo non sarebbe stato una carriera di successi, di trionfi, di potere e di fama. Tutto il contrario. Il messianismo, che potrebbe portare salvezza ed offrire una soluzione al mondo, sarebbe (dovrebbe essere) e si realizzerebbe in una vita che sarebbe terminata con lo sconto mortale con i poteri religiosi e politici, fino a vedersi emarginato, escluso e condannato da tali poteri.
  2. Questo fatto, così come è avvenuto storicamente, è sembrato intollerabile a Pietro. Per questo «rimproverò» Gesù. Cosa che è stata motivo di uno scontro durissimo. Perché Gesù è arrivato a qualificare Pietro come “Satana”. Perché quello scontro è giunto fino a tal punto? Era in gioco l’aspetto più decisivo. Perché? Il Messia, secondo l’A.T., era l’«unto». E unti erano il «sommo sacerdote» ed il «re». Per ogni ebreo il messianismo era associato a ciò che era più degno, al potere ed alla grandezza. L’idea del Messia era quindi legata al soprannaturale, al governo glorioso del re Davide (Is 9, 1-6; 11, 1ss; Mi 5, 1-5). Forse nell’idea nel Messia c’entrava anche il concetto di «sacro». Ma non vi è alcun dubbio che l’idea giudaica del messianismo era associata alla regalità, con il potere e la dignità che sono proprie di chi incarna il ruolo e la grandezza della salvezza del popolo eletto (K. H. Rengstorf).
  3. Stando così le cose ed essendo questa la mentalità del giudaismo proveniente dall’A.T., si comprende che Gesù, nello spiegare il suo messianismo (come di fatto si realizzò), si è dovuto servire di una formula forte e radicale: “il Messia deve andare a Gerusalemme e lì soffrire molto”. Il testo utilizza il verbo greco déi, che non ha equivalente semitico (W. Popkes) e che designa una necessità assoluta, indiscutibile. Ma nella storia dell’interpretazione biblica questa necessità ha posto un problema nel quale la teologia si è impantanata: Gesù “doveva” soffrire e morire respinto dalle autorità religiose, perché così lo aveva deciso Dio? O perché lo stesso Gesù ha vissuto in maniera tale che quella vita non sarebbe finita se non nel fallimento, nella sofferenza e nella morte di un sovversivo? Qui sta il problema fondamentale per capire Gesù, per comprendere quello che significa il cristianesimo e per vivere la fede cristiana con coerenza e secondo il suo ragionevole significato. Cosa vuole dire questo?
  4. L’affermazione forte fatta da Gesù, secondo la quale il Messia “deve soffrire molto” (déi pollà pathéin), associa la sofferenza e la morte di Cristo ad «una necessità assoluta». Il problema sta nel fatto che il verbo déi («è necessario», «deve») nel N.T. si associa a decisioni divine (W. Popkes). Questo ha dato motivo per dire che è stato Dio a decidere la sofferenza e la morte di Gesù. Ma, se giungiamo a questa conclusione, alla fine stiamo affermando che Dio ha avuto bisogno della sofferenza e della morte, niente meno che della morte di suo Figlio. Questo è fare di Dio un mostro di malvagità e di sadismo. Una simile affermazione teologica è assolutamente intollerabile ed inaccettabile. In un Dio così non è possibile credere.
  5. Per mettere le cose al loro posto, è necessario sapere: 1) Nel N.T. il verbo déi è collegato con norme di Dio per l’etica e la pietà (At 5,29; 1 Ts 4,1; Rm 8,26; 1 Cor 8,2; 1 Tm 3,2.7.15; Lc 13,14.16). 2) Mai è collegato con sofferenze che Dio manda o con decisioni divine relative alla morte di alcuno. 3) E quindi mai è collegato a sofferenze, violenza e morte, la cui origine sta nelle autorità religiose.
  6. Bisogna dire quindi quello che dicono i vangeli quando mettono in bocca a Gesù gli annunci della passione: sono stati i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani a prendere la decisione di torturare, umiliare ed assassinare Gesù. In questo senso si può affermare che non è stato Dio, ma la Religione (per mezzo dei suoi rappresentanti ufficiali) ad uccidere Gesù. Il progetto di uccidere Gesù è derivato dagli osservanti religiosi, dai farisei (Mc 3,6). E lo ha realizzato il Sinedrio delle autorità religiose di Gerusalemme (Gv 11, 47-53).
  7. Ma nel cristianesimo primitivo è capitato che i vangeli sono stati scritti e diffusi (nella loro redazione definitiva) dopo l’anno 70, datazione che è generalmente accettata e comprovata (D. Marguerat). Ma molto prima, tra gli anni 41 e 51-52 le prime «chiese», fondate quasi tutte dall’apostolo Paolo, hanno ricevuto un messaggio diverso da quello dei vangeli. È stato il messaggio secondo il quale Cristo è morto crocifisso come «sacrificio» ed «espiazione» per i nostri peccati. Cosa che, a giudizio di Paolo, è stato un atto di generosità di Dio. È stato il Padre a consegnare suo Figlio per la nostra «giustificazione» e «redenzione» (2Cor 5,21; Rm 3, 24-26…) (J. Gnilka).
  8. Queste due interpretazioni della morte di Gesù, quella dei vangeli e quella di Paolo, non si sono integrate debitamente nella teologia cristiana. Ma il fatto storico ci dice che Gesù è morto come un sovversivo fallito, per solidarietà con tutti coloro che soffrono in questo mondo. Questo è l’aspetto fondamentale. E dovrebbe essere quello determinante per la Chiesa.



Mercoledì 26 Agosto,2020 Ore: 18:12
 
 
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