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www.ildialogo.org IO SONO LA PORTA DELLE PECORE,di p. José María CASTILLO

IV DOMENICA DI PASQUA - 3 maggio 2020 - Commento al Vangelo
IO SONO LA PORTA DELLE PECORE

di p. José María CASTILLO

Gv 10, 1-10

[In quel tempo Gesù disse:] «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
  1. La Palestina del tempo di Gesù era un paese nel quale la pastorizia e l’agricoltura erano due realtà importanti. Si comprende la frequenza con la quale il NT utilizza l’immagine del pastore di bestiame minuto per spiegare come devono comportarsi i sacerdoti ed i dirigenti religiosi in generale (Mt 18,12; 25, 32; At 20,28-29; 1Pt 5,2-4; Mc 14,27; Eb,13,20) (R. E. Brown). Soprattutto per capire la portata del capitolo 10 di Giovanni, bisogna tenere presente soprattutto che Gesù rivolge questa dura invettiva non solo contro i “pastori di Israele” (i leader religiosi), ma più in particolare contro i farisei, con i quali si è scontrato quando ha curato il cieco nato (Gv 9, 19-41).
  2. Secondo la Misnah (Quid. IV,2; b. Samb. 25,12), il ruolo di pastore non era lavoro per i poveri, ma piuttosto uno dei “lavori disprezzati” in Israele. Questi in maggioranza erano imbroglioni e ladri. Per questo era proibito comprare da loro lana, latte o capretti (J. Jeremias). In queste condizioni Gesù fa la grande denuncia contro i “pastori religiosi” di quel popolo, che accusa di essere “estranei” (allótrios, ”altrui”, “non proprio”) (DGENT) (Gv 10,5,), di essere “ladri” e “predoni” (Gv 10,8). Dato che quest’accusa si riferisce ai farisei, è notevole il fatto che Gesù qualifichi con tanta durezza il comportamento morale dei pastori più osservanti dei rituali religiosi. Perché questa denuncia? Perché i riti sono azioni che, a causa del rigore nell’osservanza delle norme, si costituiscono come un fine in sé. Ecco perché l’elemento primario nel comportamento del rituale religioso è il rito stesso, non l’éthos, il comportamento morale (B. Lang, V. Turner, G. Theissen).
  3. Questo spiega l’aspetto più profondo della denuncia di Gesù nella sua accusa contro i pastori: a loro non importa veramente il gregge, non conoscono le loro pecore ed esse non sono conosciute da loro. Ma soprattutto sono ladri ed impostori. La preoccupazione centrale di questi uomini è adempiere le norme, osservare i riti, essere considerati come uomini esemplari. Il problema è che rendono compatibile questa preoccupazione fondamentale con “vite occulte” e “sentimenti inconfessabili” che sono propri di autentici banditi. Con quest’accusa Gesù ci dice che coloro che fanno maggior danno alla Chiesa, sono i “pastori” della Chiesa, che già Paolo annovera tra i capi della comunità cristiana (Ef 4,11).



Venerdì 01 Maggio,2020 Ore: 18:08
 
 
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