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www.ildialogo.org È SPUNTATA L’AURORA DEL MONDO,di Davide Maria Turoldo

È SPUNTATA L’AURORA DEL MONDO

di Davide Maria Turoldo

David Maria Turoldo, «È spuntata l’aurora del mondo», omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica delle ore 12, il giorno 13 gennaio 1991, domenica dopo l’Epifania - Anno B - nell’Abbazia di Sant’Egidio a Fontanella, frazione di Sotto il Monte Giovanni XXIII. Pubblicata a cura di Elena Gandolfi Negrini, in “Dialogo fra cielo e terra”, ed Piemme, 1a edizione, 1994, pg. 116-125.
Cercate di aiutarvi meglio che potete, per trovarvi a vostro agio, che sto bene anch’io quando voi state bene. E trovarsi bene in chiesa è sempre una cosa ardua; lo dico naturalmente in altri sensi, ma è quanto mi auguro comunque.
Vi saluto, cari, e anzi vi ringrazio che siete numerosi nonostante il cattivo tempo, perché è un momento molto delicato e difficile. Anche se io spero che veniate sempre; perché per me i tempi sono sempre imprevedibili. Noi stessi e le nostre esistenze «si sta come d’autunno sugli alberi le foglie».
Noi possiamo prevedere l’avvenire e fare anche i piani, le politiche e i programmi, ma nessuno può mai prevedere il futuro, il futuro è l’imprevedibilità. Potete aver già programmato la vita: questa sera sarete qui, domani farete questo e quest’altro, come del resto io, ma nessuno sa - anche se ce lo auguriamo - che cosa può succedere prima di sera. Nessuno, neanche il papa, nessuno!
E non è soltanto questa misteriosità del tempo, ma è anche la imprevedibilità della vita stessa. Voi stessi, per esempio, non sapete cosa penserete entro stasera, cosa vi passerà per la mente, nessuno. Noi siamo sempre sulla frontiera dell’imprevisto e dell’imprevedibile, sempre. La vita è una linea tesa sull’abisso. E sono tanti gli aspetti per cui bisognerebbe avere questo senso misterioso, questo toccare con mano quello che gli antichi filosofi dicevano il noumeno delle cose, che, invece ci sfugge sempre. Voi non sapete! Perfino san Tommaso diceva che l’essenza delle cose ci è assolutamente nascosta.
E proprio dentro questo senso, e proprio per camminare nella luce, oggi c’era un salmo di una bellezza incredibile: è il secondo salmo, che poi è un’intuizione che perfora i secoli. Eccola: «Ai giusti brilla tra le tenebre una luce clemente e amorosa e soave», sentite che preghiere! Questa luce che brilla nelle tenebre ha tenuto in sospeso sempre tutte le generazioni, di generazione in generazione.
«Felice l’uomo che presta di buon cuore... mai in eterno soccomberà». Quando Abramo o papa Giovanni dice: «Io cammino al lume delle stelle» è proprio un’allusione a questo, ed è un’immagine anche della fede.
Benvenuti e grazie che siete qui a pregare, specialmente in giorni così, anzi pregheremo per questo. Perché dobbiamo pregare per la pace, e ci uniremo con tutto il mondo, anche col mondo islamico.
Io conosco - ho degli amici e adesso sto organizzando un incontro dal titolo: Continuando il dialogo - un mussulmano dialogante, che è un premio Nobel, quello che sta a Trieste, Salham, si chiama. Perché ci sono i giusti ugualmente trepidi, come siamo noi pure, in quel mondo. E con loro e con tutti, con tutta l’umanità della terra che ha questo buon senso, questa aspirazione, questa fiducia in una luce che brilla nelle tenebre clemente benigna e soave, pregheremo oggi.
Perché, quanto sta avvenendo nei nostri giorni è di una assurdità incredibile. E io ho imparato a mie spese. Anzi, vi dirò: ieri sera ero in una famiglia e avevo seguito una rubrica che mi sembrava importante sul Black Power. E dopo c’era una rubrica leggera, così stolta, dove c’era anche il nostro presidente del Consiglio. E mentre nella rubrica si canzonava lo stesso presidente del Consiglio, lui era lì ad applaudire. Perché, oggi nel nostro paese si può dire di tutto tanto non significa niente. Si può dire di tutto e contro tutti, e sono lì loro stessi che applaudono, perché tutto fa grasso, tutto fa brodo, tutto. Era di una tristezza, io mi vergognavo e mi dicevo: a che prò? E poi ci sono state delle telefonate e una di queste diceva: Presidente, credo di interpretare infinite domande che in questo momento le farebbero: guerra o pace? E il presidente che risponde: beh, certo, tutti vogliamo la pace, però davanti a una violazione del diritto internazionale non si può, se non la capisce con le buone bisogna farla capire con le forze. E tutti hanno battuto le mani, capite!
E mi si è incaponita la pelle. Sapete perché? Perché io mi trovavo presente nella folla oceanica quando un altro ha dichiarato la guerra. Mi ricordo in quel giugno del quaranta ero presente anch’io e ho battuto le mani. Cosa vuol dire la manipolazione dei consensi! È spaventoso. Ho capito dopo che cosa era quel battimano, a che cosa ci ha portato! E soprattutto dopo, quando a Dachau mi è capitato di camminare sulla cenere di miei compagni - perché erano tutti del ‘14, del ‘15 e del ‘16, come me - bruciati, e io a camminare sulle loro ceneri. Allora ho capito cosa vuol dire battere le mani per una guerra. E non è tanto brutto che ci sia una guerra, il brutto è questa incoscienza. Questo è il lato peggiore.
Difatti, la Scrittura dice: quando il Signore vuole abbandonare l’uomo, lo lascia ai suoi pensieri. E questo è il primo aspetto. L’altro aspetto è che noi non siamo qui a dire che è giusto violare il diritto internazionale e restare indifferenti, no, no, no. Io ho imparato a mie spese a non schierarmi con nessuno, magari a intrupparmi con quelli che vogliono la pace, certo, ma non mi confondo con nessuno.
E poi io sono qui a pregare per che cosa? A parte che oggi, in tutta la chiesa è ordinata la preghiera per la pace e io voglio sapere che cosa significa pregare per la pace se non farsi coscienza di pace, che vuol dire coscienza di giustizia - e difatti vi dirò subito cosa abbiamo cantato oggi all’inizio della nostra preghiera - ma dicevo, noi non siamo qui a dire che è giusto violare il diritto, ma certo io con il linguaggio del Goti mit uns: Dio è con noi... - anche il nostro capo quando ha dichiarato guerra ha detto: «l’Iddio giusto ha già deciso», pensate! no no, io so benissimo cosa vuol dire approfittare di questi discorsi e non è questo.
Però notate: c’è una disposizione delle Nazioni Unite e quindi un ultimatum: entro il quindici..., ma c’è un’altra disposizione votata alla stessa assemblea, con gli stessi voti dove si dice: contro la violazione dei diritti nei territori occupati da Israele, ma là, nessuno si è mosso, nessuno! Lo stesso organismo del mondo, le stesse Nazioni Unite, la stessa sentenza. E là da anni e anni, e nessuno si è mosso perché si dia attuazione a quello. Come mai oggi si muove il mondo per attuare questo? Come mai?
Ecco cosa vogliono dire i barili di petrolio! E allora non dite che siete qui per la difesa dei diritti umani, ma siamo qui per difendere la «roba». E va bene e ognuno poi sappia. E questo è un altro aspetto molto grave. Poi c’era un’intervista, comunicata attraverso questi mezzi che sono di tutti uguali - perché tutti cerchiamo di pagare le tasse, di pagare il canone - ma si sente soltanto una voce, e con una tale disistima dell’utente che non ti pensano capace di avere intelligenza per interpretare da te, ma ti danno loro l’interpretazione.
Quando studiavo e seguivo questa materia, perché mi interessava moltissimo, ho saputo che 1’87% della stampa mondiale è in mano al capitale, allora ho capito che cos’è la stampa libera: è talmente libera che pubblica soltanto quello che la interessa. E ho capito cos’è la manipolazione dei consensi: ecco da dove nasce questa incoscienza e questa ebetitudine delle moltitudini. Io non ho mai visto il capitale parlare male di se stesso. E questi sono gli aspetti più tristi.
Un ultimo aspetto, lo diceva oggi don Dossetti in una intervista: anche se la guerra non scoppiasse, il male che abbiamo fatto è spaventoso. Solo l’odio che abbiamo seminato, solo il danno che abbiamo fatto!
Mentre era appena apparsa qualche speranza di abbattimenti di muri, di fraternità che si allargavano, di popoli e di liberazioni che avvenivano senza spargimento di sangue, siamo di nuovo ripiombati nel buio.
Pazienza, e speriamo! Non è scoppiata ancora la guerra, ma è scoppiato l’odio mondiale. Pensate: un miliardo e mezzo di persone che in questo momento non fanno che odiarci. Un miliardo e mezzo: dal Pakistan, dalle isole dell’Indonesia, dal cuore dell’Africa: questo immenso odio verso l’Occidente è una cosa incredibile!
E io lo capisco, è dentro una tragedia unica, una tragedia che è riassunta nella frase di quel disgraziato capo, uno dei due che è certamente responsabile. La sua confessione al capo dell’Algeria dice: se mi ritiro dal Kuwait mi uccidono gli arabi, se non mi ritiro mi uccidono gli americani. Nel primo caso se mi ritiro mi uccidono come un traditore, nel secondo caso se mi uccidono passerò come un vessillo. Pensate che roba! Questa politica senza uscita di sicurezza; è un carcere delle coscienze. Friedrich Durrenmatt, il grande scrittore svizzero, che è appena morto, dice: viviamo tutti in un carcere con l’illusione di essere liberi. Ecco cosa vuol dire pregare: questo prendere coscienza! Anche se davanti a questo la conclusione è che purtroppo siamo inermi, disarmati, impotenti. Ed è vero, però abbiamo una sola arma, una sola arma, ricordatevi, e questa io l’ho vista e l’ho vista coi miei occhi: non c’è carro armato che possa distruggerla e che la possa rapire, ed è l’arma della coscienza.
Se poi la coscienza dell’individuo diventa coscienza di gruppo, la coscienza di gruppo diventa coscienza della moltitudine - quello che appunto il grande educatore Freire chiamava: coscientizzare[1] - quando questa coscienza diventa coscienza delle moltitudini, anche le superpotenze devono fare i conti e tornare indietro, non c’è nulla da fare.
Io potrei raccontarvi il primo piazzale Loreto, quando si marciava intorno, muti, dietro uno schieramento di carri armati hitleriani, lungo corso Buenos Aires, lungo corso Venezia, lungo corso Vittorio Emanuele e si camminava custoditi dai carri armati e si faceva il giro di quel mucchio di cadaveri del primo piazzale Loreto, e la gente sottovoce diceva: eppure non vinceranno, eppure non vinceranno!
Credevano di schiacciare la coscienza, ma quando la coscienza è diventata forza della moltitudine hanno dovuto venire ai fatti. Ecco, è vero, possiamo qualche volta sentirci così disarmati, così impotenti quasi da scoraggiarci, ma se lavoreremo perché questa coscienza diventi veramente la coscienza palpitante della storia, state pur certi che la storia marcerà in quella direzione. Ecco la grande forza che abbiamo.
E per questo, in questi giorni, scendere sulle piazze non vuol dire far baccano. Ieri io ho guidato una manifestazione in silenzio, e per fortuna erano tutti giovani. Si può fare anche in silenzio, ma quando, appunto, questa moltitudine si formerà, vedrete che allora anche i carri armati devono fermarsi. Ed è quanto speriamo.
Questo potrebbe essere il risultato di una giornata di preghiera per tutto il mondo, giornata che è stata indetta in vista di queste scadenze assurde. Tanto assurde - cose che potete leggere sui giornali - tanto assurde che per un primo lotto, per un primo lotto gli Stati Uniti hanno ordinato sedicimila bare, così. Ma pensate le madri di quei figli che stan giù, pensano: vanno a prendere la bara per mio figlio. Può darsi che capiti. Altro che la morte annunciata di Garcia Màrquez, quella era un simbolo; qui è una catastrofe!
Ecco cosa vuol dire difendere il diritto delle genti! Pensate cosa abbiamo cantato, questa è la vita pubblica di Cristo. Perché poi è il significato del battesimo, questo cammino nella fede, questo immergerci. Perché il verbo battezzare vuol di re immergersi. Battesimo vuol dire immersione, vuol dire: prima immergersi nell’acqua, nella storia dell’uomo, per poi immergersi nello Spirito, che è immergersi nella realtà di Dio.
Volevo spiegare, ma non ho voglia. Speriamo, magari adagio adagio di arrivare anche a questo, perché sono misteri così grandi, così nobili!
Io ho fatto un libro: Nel segno del Tau. Il Tau è il segno della proprietà divina per cui l’uomo è intoccabile, nessuno può toccare: se tocchi un uomo tocchi Dio. È il segno più antico per dire che l’uomo è di appartenenza divina, il segno più antico che esisteva nelle religioni pre-scritturali, pre-bibliche; che poi viene appropriato dalla Bibbia e messo in fronte a coloro che soffrono perché siano distinti e protetti da Dio: il segno del Tau.
Anche mio padre, quando io piangevo perché volevo la tessera dell’azione cattolica, mi disse: «Tessere, tessere, qui in casa mia non voglio tessere - perché poi era il tempo del fascismo - ti basti il battesimo!». A me basta questo per ricordare tutta la vita cosa vuol dire un battesimo. Ma lascio stare. Che ognuno di voi ci pensi. Perché poi è col battesimo che comincia la nostra testimonianza cristiana. Cioè, nella misura in cui io vivo il mio battesimo sono cristiano. E non è tanto un fare una setta, un razzismo spiritualistico, no, è semplicemente un segnare con un segno divino, dare senso divino alla vita.
Ma sentite come comincia la nostra liturgia! Perché la nostra liturgia è cominciata col mettere in canto la prima lettura che avete sentito. Noi abbiamo cantato la Parola. Così dice, poi l’abbiamo fatto noi, l’ho fatto io, e dice: ecco il mio seno, è questi l’eletto.[2] Per dire che quello che Cristo diventa dovremmo diventare anche noi. Per dire: ecco, questo è l’uomo, questo è il figlio, questo è il tipo che Dio preferisce. Questo, e solo questo: «in lui ho posto le mie compiacenze», di lui mi compiaccio.
Vorrei che questa frase Dio la dicesse un giorno anche di me, almeno il giorno che gli compaio davanti; mi dica: ecco, in te ho posto le mie compiacenze! Ma chi può essere sicuro di questo? Ecco, per cui tutta la vita...
Questo è il figlio, questo è il tipo di umanità, questo è l’uomo come è pensato da Dio, è il servo di Jahvé, il servo di Dio: «Ecco il mio servo che io sostengo, in cui mi delizio. In lui dimora lo spirito mio; è lui che porta giustizia alle genti», difatti noi possiamo dirci cristiani soltanto se abbiamo lo spinto di Cristo. «In lui dimora lo spirito», in voi, in me, in ciascuno.
E cosa farà? «No» griderà, ne alzerà la sua voce», non farà strepito, non si abbandonerà alle accademie e alla retorica, alle piazze.
«Non spezzerà la canna incrinata - sarà delicato, attento - non spegnerà la fiammella morente - questo senso di speranza, questo cercare radici di bene in tutte le cose - proclamerà con fermezza il diritto; non verrà meno ne mai cederà; finché non l’abbia affermato sul mondo». Questo è il significato della continuità cristiana, o così dovrebbe essere.
«La sua dottrina l’attendono le isole», cioè tutte le parti del mondo, anche le più lontane; perché le isole sono il senso della lontananza.
Cosi, il Signore che crea i cieli
e li dispiega e distende la terra
e da il respiro alla gente che l’abita,
così gli dice davanti al creato.
Io, il Signore, ti ho inviato,
per la giustizia ti ho preso per mano
perché tu sia la nuova alleanza:
la luce nuova per tutte le genti.
Ai giusti brilla fra le tenebre una luce clemente, amorosa e soave.
Ecco: «Ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo, luce delle genti, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri», abbiamo messo in canto la Parola, capite!
Perché tu apra gli occhi ai ciechi
i prigionieri tu tolga dal carcere
e dalle tenebre liberi tutti,
io, il Signore, è questo il mio nome.
Nome che chiama dall’alto deserto,
nome udito dal monte in fiamme,
nome che tuona in mezzo alle nubi,
nome che parla nell’unico Verbo.
Questo è il senso della liturgia che celebriamo ed è il senso della preghiera che siamo invitati a fare, soprattutto in questi giorni. Bene, permettetemi, adesso di chiedere egoisticamente anche un ricordo per la nostra comunità; perché oggi, dentro questa grande liturgia, ricordiamo anche un nostro santo dei Servi di Santa Maria: sant’Antonio Pucci, canonizzato da Giovanni XXIII.
Un uomo così umile. Io ho una tenerezza per lui, anche perché sono stato il primo a fare la novena in suo onore a Viareggio, perché era stato parroco per quarantacinque anni a Viareggio. Già lo dicevo anche questa mattina: padre Antonio Pucci aveva fondato gli ospizi marini per i bambini - da dove nascono le colonie marine - raccoglieva i bambini, soprattutto quelli esposti alla tubercolosi, e li portava al mare per curarli. Aiutava soprattutto i bambini poveri e malati. E lui diceva anche: «Non date mai il pane senza la fede, perché senza la fede non si apprezza il pane; e non da te mai la fede senza il pane perché senza il pane non si apprezza la fede». Era un po’ il commento vivente a quella pagina del vangelo dove Cristo moltiplica i pani.
In realtà Cristo non moltiplica i pani, moltiplica la distribuzione dei pani che è molto diverso. Dice: «Quanti pani avete?», rispondono «sette», e nel distribuirli si moltiplicano. È molto diverso. Io difatti la chiamo parabola della distribuzione del pane; e quello è vero miracolo. Perché pane ce n’è, ce n’è per tutti, ma a distribuirlo per tutti...
È il commento a quella pagina dove dice: fateli sedere sull’erba e non mandateli a casa perché non svengano per la strada. E Cristo, dopo aver parlato, da loro anche il pane.
Il pane e la parola. La nostra religione è fondata sul pane e la parola. Noi ci cibiamo sempre della parola, prima, che diventa pane. Eucaristia. E questo è il santo Antonio Pucci. E allora volevo chiedere che accanto a queste ragioni universali e grandi, adesso nell’offertorio, pregate anche per le nostre comunità di frati Servi di Santa Maria.
Come dicevamo stamattina: che la tua vita, Antonio, diventi un tesoro per tutti noi, per i nostri conventi, perché ritornino ad essere il porto ove si diano convegno i profeti. E adesso, invece, canteremo quest’altro canto che ho composto in suo onore:
O servo buono e fedele, Antonio,
poiché tu fosti fedele nel poco
nella tua umile vita di frate:
ora risplendi su tutta la chiesa.
Pastore buono almeno tu eri,
pastore m veglie per tutta la notte;
e le chiamavi una a una per nome
cercando loro i verdissimi prati.
Così operavi e dicevi ai fratelli:
non date il pane mai senza la fede,
perché mancando di fede è sicuro
che non apprezzano il dono del pane.
Ne senza il pane donate la fede
poiché è provato che pure la fede
senza il pane non è apprezzata;
così hai curato per anni il tuo gregge.
Tutti riprendano ancora a sperare;
ancora santi fioriscano, o Madre.
Sperino i poveri, gioisca la chiesa
e gloria a Dio da tutti i suoi servi.
Grazie!

 
NOTE
1 PAULO FREIRE: L’educazione come pratica della libertà, Mondadori 1973; La pedagogia degli oppressi, Mondadori 1971. Solo con un’autonoma conquista della parola l’oppresso assume coscienza della propria condizione storica. Il metodo Freire non mira semplicemente a fornire una nuova tecnica di alfabetizzazione, ma a su-
scitare, attraverso un processo di auto educazione comunitaria, una critica della situazione presente, e la ricerca di un superamento, in cui i cammini non siano imposti ma lasciati alla capacità creatrice della coscienza collettiva «liberata».
2 Chiesa che canta. 1. Tempo di avvento e di Natale, EDB 1981.



Giovedì 10 Gennaio,2019 Ore: 17:07
 
 
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