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www.ildialogo.org 1a Domenica di Quaresima-Anno A - Domenica 13 marzo 2011,di Paolo Farinella, prete

1a Domenica di Quaresima-Anno A - Domenica 13 marzo 2011

di Paolo Farinella, prete

La Quaresima1 è il 2° «tempo forte» dell’anno liturgico dopo l’Avvento. In questa quarantena si sospende il ciclo della lettura continua della Scrittura e si segue lo schema tematico penitenziale precedente la riforma del concilio e che Paolo Vi non volle toccare per rispetto della tradizione. Sono state aggiunte le letture per il ciclo B e C. L’anno di Quaresima-A ha una impostazione «catecumenale», cioè di formazione di base per coloro che per la prima volta si accostano alla fede, per cui le letture, specialmente il vangelo, hanno una struttura ben definita.

Lo scopo primario della Quaresima è l’imitazione della quarantena trascorsa da Gesù nel deserto, oggi localizzato nel deserto di Giuda sul monte Qarantàl, custodito dai monaci greci ortodossi, nel pressi di Gerico. Gesù digiunò «quaranta giorni e quaranta notti», rivivendo personalmente l’esperienza che il suo popolo fece dopo l’uscita dall’Egitto, peregrinando quaranta anni nel deserto del Sinai tentato dalla fame, dalla sete, dall’idolatria e dalla infedeltà. Imitare ciò che vissero Israele prima e il Signore dopo è per noi quasi un sacramentale, un momento privilegiato della fede.

Fino al concilio di Nicea (anno 325) non si hanno testimonianze della istituzione del tempo quaresimale, quindi possiamo dedurre che esso si sviluppò dal sec. IV, quando la Chiesa cominciò ad organizzarsi come «curia» dell’impero costantiniano e ristrutturando il tempo delle celebrazioni come narrazione della vita del Signore.

La Quaresima inizia il mercoledì delle ceneri che segue immediatamente l’ultimo giorno di carnevale e si conclude il Giovedì Santo, portando così di fatto il periodo quaresimale a 44 giorni. Nella chiesa ambrosiana, invece, si mantiene il computo dei 40 giorni, iniziando la Quaresima con la 1a domenica, cioè quattro giorni dopo il mercoledì delle ceneri. L’anticipo al mercoledì è probabilmente legato alla fine del carnevale, in origine festa campestre invernale per scongiurare la semina nei campi e auspicarne la rinascita a primavera. Nelle campagne in inverno spesso non si lavora e si trascorre il tempo incontrandosi, raccontando saghe e scongiurando la tristezza invernale con la «risata» che ha il potere di respingere gli spiriti maligni: da qui l’usanza di portare maschere ridenti. Come ogni evento umano con il passare del tempo si registrano deviazioni e storture: il carnevale diventa un tempo di licenziosità sessuali sfrenate in due direzioni: da una parte si assiste ad una sorta di liturgia orgiastica che vuole svegliare la terra perché si apra alla sua fecondità rigogliosa e dall’altra si afferma una forma di trasgressione individuale dell’ordine sociale troppo ossessivo.

Il giorno dopo il carnevale, dunque, inizia la Quaresima con un giorno di digiuno e di astinenza, cioè con un processo di purificazione totale per tutte le licenziosità e impurità commesse fino al giorno prima. Il digiuno che proseguiva per tutti i quaranta giorni diventava così un invito plastico ed effettivo all’essenzialità e alla sobrietà della vita. Il tempo recuperato doveva essere dedicato alla preghiera e alle pratiche caritative, ritrovando così la trilogia ebraico-cristiana del digiuno, della preghiera e della elemosina/carità, come segni caratteristici del tempo di Quaresima. Oggi il digiuno e l’astinenza dalle carni sono riservati solo al mercoledì delle ceneri e al venerdì santo, mentre nei venerdì di Quaresima è suggerita solo l’astinenza dalle carni che però può essere sostituita da un atto di carità o da un tempo più consono di preghiera. La riforma liturgica di Paolo VI, infatti, ha ripreso la natura interiore del digiuno cristiano, superando la formalità di un gesto puramente simbolico. Non è il digiuno materiale che salva, ma l’atteggiamento del cuore e la disponibilità dell’anima a lasciarsi abitare dallo Spirito, sulla linea del profeta Isaia2. Digiunare allora significa assumere l’austerità come criterio e dimensione di vita.

Se seguiamo la Quaresima in tutto lo sviluppo delle cinque domeniche, percorreremo un cammino catecumenale che è proprio dell’anno liturgico A. Paolo VI, riformando la liturgia, negli anni ‘60-’70, volle mantenere le letture delle domeniche di Quaresima dell’antico messale per rispetto alla tradizione e nel ciclo A volle includere i vangeli che nei primi secoli si usavano per la formazione dei catecumeni. Non è un caso che queste domeniche hanno anche un prefazio proprio che si richiama appunto al Vangelo del giorno. Di seguito lo schema tematico delle cinque domeniche-A:

 

1a Dom.: Adam tentato e Cristo tentato: due ideali a confronto (il potere e il servizio): Adam e il Figlio

2a Dom.: Vocazione di Abramo e trasfigurazione di Gesù: il Patriarca e l’Erede: Abramo figlio del Figlio

3a Dom.: La roccia di Mosè che disseta e il pozzo di Giacobbe e della Samaritana: Mosè e Gesù

4a Dom.: L’unzione di Davide e il cieco nato che rivede: la gratuità e la prova: Il re/l’olio e il Messia/la luce

5a Dom.: I sepolcri aperti e la risurrezione di Lazzaro: il capovolgimento: La vita più forte della morte

6a Dom.: Le palme: la folla prima osanna e poi crocifigge: La solitudine della verità

7a Dom.: Pasqua: dall’isolamento della morte alla comunione della vita: La speranza escatologica.

 

La 1a domenica è un affresco a due pale: Adamo/Eva da una parte e il loro desiderio di un potere assoluto e dall’altra parte il Figlio dell’Uomo che nel deserto resiste ad ogni tentazione di potere per affermare la sola condizione in cui ogni persona può realizzare se stessa: la fedeltà alla propria condizione di creatura. Non è fuggendo da se stessi che ci si realizza. San Paolo parlerà ai Romani di un rapporto tipologico tra Adamo e Gesù, un rapporto personale, individuale e antitetico. Noi oggi siamo qui per verificare con chi si misura il nostro rapporto: se con Adam, la creatura ribelle o se con Cristo, il Figlio fedele. Oggi dobbiamo scegliere.

Iniziamo il nostro pellegrinaggio verso la Pasqua santa «con i fianchi cinti, i calzari ai piedi, il bastone in mano» (Es 12,11) e con la forza e il sostegno dello Spirito Santo, la cui pienezza riceveremo ai piedi della Croce (Gv 19,30) e da Gesù risorto (Gv 20,22). Antifona d’ingresso (Sal 91/90,15-16): «Mi invocherà e io gli darò risposta. Lo sazierò di lunghi giorni e gli farò vedere la mia salvezza».

 

Spirito Santo, tu sei l’alito di vita che fa di ogni creatura un essere vivente, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei il giardino di delizie dove Dio collocò Adam ed Eva, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei l’albero della conoscenza del bene e del male. Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la tenerezza onnipotente di Dio che cancella ogni peccato, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu rinnovi la purezza del cuore perché diventiamo figli di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la gioia della salvezza che sostiene chi si converte a te, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sostieni i figli di Adam ed Eva perché riconoscano il Figlio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei l’abbondanza della grazia seminata nel nostro cuore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, con la tua forza il Figlio rese perfetta obbedienza al Padre, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, portasti Gesù nel deserto, modello nell’ora della tentazione, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu hai radicato Gesù nella volontà di essere fedele al Padre, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu hai messo in bocca a Gesù le parole della Scrittura, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, in Gesù che resiste ha sanato la ferita di Adam ed Eva, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu guidasti gli angeli a servire il Messia dopo la prova, Veni, Sancte Spiritus!

 

Iniziamo questo pellegrinaggio verso la Pasqua con l’equipaggiamento adeguato: la disponibilità al cambiamento che nasce solo dalla misericordia-tenerezza di Dio che ci genera sempre nuovi e sempre figli.

 

(greco)3

Èis to ònoma

toû Patròs

kài Hiuiû

kài toû Hagìu Pnèumatos

Amèn.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e del Santo Spirito

 

Esaminiamo la nostra coscienza [breve, ma reale esame di coscienza]

Invocazioni

Dio della pace, donaci la tua pace, Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison !

Dio del perdono, convertici al perdono, Christe, elèison! Pnèuma, elèison! Kyrie, elèison!

Dio dell’amore, rendici amanti d’amore, Pnèuma, elèison! Kyrie, elèison! Christe elèison!

Dio di Adamo, donaci il tuo soffio di vita, Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison !

Dio di Eva, rendici custodi della Parola, Christe, elèison! Pnèuma, elèison! Kyrie, elèison!

Dio di Paolo, facci obbedienti al tuo Spirito, Pnèuma, elèison! Kyrie, elèison! Christe elèison!

Dio di Gesù, conformaci a sua immagine, Kyrie, elèison! Christe elèison! Pneuma, elèison!

Dio del nostro cuore, aumenta la nostra fede, Christe, elèison! Christe, elèison! Christe, elèison!

 

Preghiamo (colletta). O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato, concedi al tuo popolo di intraprendere con la forza della tua parola il cammino quaresimale, per vincere le seduzioni del maligno e giungere alla Pasqua nella gioia dello Spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.

 

Mensa della Parola

Prima lettura Gen 2, 7- 9; 3,1-7. E’ il più antico racconto della creazione, datato X sec. a. C. e formato alla corte del re Salomone. Questa lettura è attribuita dagli studiosi al ciclo della tradizione chiamata Yhavista perché Dio è sempre chiamato con il nome di Yhwh. Dio riveste l’uomo di polvere del suolo per ricordargli la sua fragilità e superficialità e a questa inconsistenza affida il suo soffio vitale. Sulla terra l’uomo è il custode del respiro di Dio. Non avere coscienza di questa fragilità per cui basta un soffio per distruggerla significa ritrovarsi “nudi”, cioè senza difese e senza intelligenza. Nudi, cioè senza personalità. Adam ed Eva rifiutano di modellarsi sull’immagine del Figlio, il Lògos preesistente, e per questo cercano l’autonomia da Dio, a differenza di Gesù che si abbandonerà sempre alla volontà del Padre suo e padre nostro (Gv 20,17).

 

Dal libro della Genesi 2, 7- 9; 3,1-7

7 Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. 8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. 3,1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. - Parola di Dio.

 

Salmo responsoriale 51/50, 3-4; 5-6a; 12- 13; 14.17. Salmo penitenziale per eccellenza, il salmo 51/50 è ispirato alla teologia del peccato dei profeti Isaia ed Ezechiele: ogni infedeltà morale è un attentato alla santità di Dio. Il v. 17 «Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode» apre sia la preghiera ebraica quotidiana, detta di «Amidàh/In piedi» sia la preghiera cristiana della Liturgia delle ore. Anche nel peccato restiamo figli di Dio, se ci lasciamo purificare con l’issopo che era riservato per la purificazione dei lebbrosi guariti, stabilendo così una equiparazione tra peccato e lebbra da cui solo Dio può mondarci. L’issopo che ci purifica nella celebrazione dell’Eucaristia è lo Spirito Santo che rinnova in noi il cuore di carne, dopo avere espunto quello di pietra.

 

Rit. Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

1. 3 Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.
4 Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Rit.

2. 5 Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
6 Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.
Rit.

3. 12 Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
13 Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rit.

4. 14 Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi uno spirito generoso.
17 Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Rit.

 

 

Seconda lettura Rm 5, 12- 19 (lett. breve 5, 12.17- 19)

Adamo fu progettato sul modello di Gesù Cristo, il Lògos, la Sapienza del Padre, che era prima della creazione del mondo, ma egli volle realizzarsi indipendentemente da lui non riconoscendo a Cristo il sui primato di unigenito. Adam morì perché smarrì se stesso finché non venne il Figlio a ricercarlo tra le rovine dell’Eden e restituirgli quell’immagine che aveva rifiutato. Ora Adamo si riconosce in Gesù, la sua vera discendenza perché portatore del nuovo soffio di vita: lo Spirito Santo.

 

Dalla lettera di Paolo apostolo ai Romani Rm 5, 12- 19 (lett. breve 5, 12.17- 19)

Fratelli, 12 come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. [13 Fino alla Legge infatti c’era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, 14 la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. 15 Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. 16 E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da un solo ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione.] 17 Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. 18 Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. 19 Infatti,, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. -Parola di Dio.

 

Vangelo Mt 4,1 –11. E’ lo Spirito che conduce Gesù nel deserto, quasi a dire che nessuno può esimersi dalla lotta che è insita alla vita stessa, ma anche nel deserto della solitudine del male, Dio è presente e lotta con noi. Il racconto delle tentazioni di Gesù sono un fatto storico perché nessuno sano di mente poteva accreditare come Messia un uomo «tentato dal diavolo». Qui però è la novità del Dio di Gesù Cristo: la sua incarnazione è vera e autentica fino in fondo perché sperimenta la condizione umana senza sconti. La resistenza di Gesù, pertanto, è il punto di partenza per reggere gli assalti del potere e dei figli del potere che sulle scie di Satana vogliono distrarci dalla nostra obbedienza al nostro essere creature e figli di Dio. Nessuno può dominare la nostra coscienza senza il nostro consenso perché abbiamo la certezza vogliamo adorare solo Dio e solo a a lui vogliamo rendere gloria. A lui e non a qualsiasi altro idolo.

 

Canto al Vangelo Mc 4,4

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

 

Dal Vangelo secondo Matteo 4,1 -11

In quel tempo, 1 Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3 Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4 Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». 5 Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e 6 gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». 7 Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». 8 Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10 Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». 11 Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. - Parola del Signore.

 

Spunti di omelia

I testi i oggi mettono a confronto due prospettive, incarnate in due volti: Adam e Gesù. E’ importante questo rapporto che i Padri della Chiesa dei primi secoli hanno sempre tenuto insieme perché Adam senza Gesù non ha senso, è inconsistente, mentre Gesù senza Adam conserva il suo senso, ma ne cambia l’orizzonte. Il peccato di Adam non è un peccato «materiale» o un atteggiamento di superbia personale perché vuole prendere il posto di Dio. Questo accade quando si legge la Scrittura «a pezzi», senza una visione d’insieme, senza considerala in tutta la sua ampiezza e unità. Gesù è preesistente ad Adam perché egli è «prima che il mondo fosse» (Gv 17,5) ed è l’agnello che esiste «prima della fondazione del mondo» (1Pt 1,20). Anche la tradizione giudaica conosce questa tradizione, segno che era molto diffusa (cf Mishnàh, Pirqè ‘Avot – Le sentenze/Detti dei Padri, V,6). San Paolo ci dice che «E’ lui l’immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15). Adam cede alla tentazione di non volere essere l’immagine del «Lògos – Primogenito – Gesù Cristo», non vuole conformarsi al Figlio, ma vuole «compiersi» da solo. Il peccato di Adam è il rifiuto di Gesù come Sapienza del Padre (Sir 1,20) e discendente di Abramo (Gv 8,58). In questa prospettiva, esaminiamo separatamente le caratteristiche sommarie di ciascuno racconto per concludere con un confronto finale.

Il libro della Genesi riporta due racconti della creazione: quella del capitolo 1 è del V-IV sec. a.C. e quello del capitolo 2 del X-IX sec a.C. Quello più recente è stato messo come primo, mentre l’altro più antico occupa il 2° posto nella Bibbia. Il racconto di Gen 1 (ultimo in ordine cronologico), è collocato come primo perché narra della creazione dell’universo che è finalizzata alla creazione dell’uomo che è a sua volta finalizzato al giorno dello «shabàt-sabato». Questo racconto che ha un andamento liturgico, ieratico e monotono è stato redatto durante l’esilio a Babilonia in ambiente sacerdotale e ha lo scopo di difendere la liturgia della sinagoga strutturata attorno alla santità e intangibilità del sabato come giorno di culto. Gli esiliati, come tutti gli emigranti di ogni tempo, lontani dal loro paese, dalla loro cultura, disorientati in un ambiente nuovo e ostile, per difendersi si legano fortemente alle tradizioni delle loro origini.

Senza più il tempio e il sacrifici, sviluppano la sinagoga come luogo della Parola che serve a tramandare l’anima del loro popolo. Istintivamente sono portati a fare gruppo, a creare il ghetto perché la pura dell’esterno spinge all’isolamento e alla sicurezza tra i propri simili. E’ quello che accede oggi tra noi: vediamo gli immigrati che fanno clan omogenei per paese e identità linguista, rispolverando tradizioni e anche forme religiose che richiamano i loro paesi di origine. Anche le persone religiosamente indifferenti riscoprono le forme folcloristiche della religione come elemento identitario: il dramma nasce quando si confonde la paura di essere stranieri in un paese straniero e ostile e il bisogno di protezione con la religione intesa come fede.

Durante l’esilio, i sacerdoti svilupparono una teologia di sopravvivenza che divenne lo strumento per superare le difficoltà e le paure, centrando tutta l’identità del popolo nella santità dello «shabàt». Il mondo creato e lo stesso uomo non hanno senso per sé, ma sono creati da Dio in funzione del «sabato», il giorno in cui, imitando Dio creatore che «cessa da ogni suo lavoro» (Gen 2,2) l’uomo entra nella dimensione divina e scopre la sua vera natura: essere immagine e somiglianza di Dio (cf Gen 1,27). Il racconto, proclamato anche nella liturgia della Veglia di Pasqua, è una sintesi straordinaria di tutta la storia di salvezza e di liberazione narrata dalla Bibbia.

Il secondo racconto, invece, è di natura sapienziale ed è strutturato come una saga sullo stile delle epopee assiro-babilonesi (Enùma Elìsh, Ghìlgamesh, ecc.). La corte del re Salomone si pone così sullo stesso piano delle grandi nazioni che possiedono un «racconto delle origini». La narrazione è conosciuta anche come «racconto yavhista» perché ogni volta che si nomina Dio si usa il termine «Yhwh», che diventerà il Nome proprio di Dio, tanto santo da non essere pronunciato mai, tranne una volta all’anno dal Sommo Sacerdote nel giorno di Yom Kippur4. Non narra la creazione dell’universo che dà per scontata perché parla di fiumi, di erba e di terra, ma è tutto centrato sulla creazione del genere umano finalizzato alla coppia «uomo-donna». Il genere letterario è drammatico, nel senso più nobile del dramma perché i protagonisti che sono l’uomo, la donna, il serpente-parlante e Dio rispondo agli interrogativi esistenziali che l’uomo sapiente della corte di Salamene del sec. X a.C. si pone. Non si tratta di storia nel senso moderno del termine, ma di alta teologia che riflette sulla storia della salvezza o meglio sulla salvezza attraverso la storia.

Perché si deve nascere se poi bisogna morire? Che senso ha la vita? Perché la sofferenza e il dolore? Perché la sofferenza e la morte degli innocenti? Dov’è la giustizia nel mondo? Se Dio è giusto perché permette il male? Perché l’attrazione sessuale tra uomo e donna è così forte da diventare spesso fonte di dolore insopportabile? Perché la donna deve essere sottomessa all’uomo? Perché la violenza nel mondo fino al fratricidio e all’omicidio? Perché nell’uomo la vendetta è più forte dei legami di sangue? Perché la violenza nascita e della morte, perché del dolore e della sofferenza degli innocenti, perché dell’attrazione sessuale tra uomo e donna. In una parola due sono le domande di fondo del 2° racconto: chi è l’uomo? chi è Dio?

Di fronte a tutti questi interrogativi esistenziali, la fede d’Israele non è muta e nemmeno smarrita, ma si pone in viaggio nel cuore della prosapia storia per trovare le risposte adeguate. Il redattore finale che raccoglie il materiale preesistente (vedi nota Errore: sorgente del riferimento non trovata) nel 444 a.C. al tempo del ritorno dall’esilio di Babilonia, redige un testo che è un capolavoro letterario di poesia, di dramma e di psicologia. Insuperabile. Inesauribile. Egli vive alla corte del re Salomone, in un ambiente di raffinata ricerca intellettuale e religiosa e dà schematicamente e in forma sapienziale le seguenti risposte:

 

  1. L’uomo è polvere del suolo e vive perché custodisce il soffio dell’alito vitale di Dio. La polvere è contemporaneamente tre cose: è parte raffinata della materia grezza della creazione; è la parte più esterna e superficiale della terra; è la parte più fragile e più volatile della terra, tanto che basta un soffio per disperderla. Dire che l’uomo è creato con la polvere del suolo significa dire che è un essere fragilissimo.

Il soffio e l’alito vitale. Secondo gli antichi il respiro è il fumo dell’anima come anche la saliva è il respiro solidificato, sede della vita umana. Il soffio non è creato dall’uomo, ma è soffiato nell’uomo da Dio che vi deposita il suo sigillo di Vivente. Il soffio non è nella disponibilità dell’uomo, ma questi ne è il custode, così come è custode dell’intero giardino di Eden (cf Gen 2,15). L’uomo non vive per se stesso, ma per partecipazione alla vita divina racchiusa in lui. Adam esiste perché è chiamato alla vita, non è la vita. Averne coscienza significa custodirla come proprietà di Dio, a cui bisogna renderla e renderne conto. L’uomo deve ricordarsi che questa scintilla divina deposta in lui è fragile perché basta un soffio per disperderla e farla morire. La tradizione giudaica ha immagini straordinarie per dire l’indicibile. Dio creatore ha mandato l’arcangelo Gabriele a raccogliere la polvere dai quattro angoli della terra perché ogni uomo in qualunque posto della terra si trovasse potesse dire di essere «figlio di Adam, figlio di Dio» (Lc 3,38). Non solo, il volto dell’uomo ha sette aperture (occhi, orecchi, natici e bocca) perché l’uomo è nel creato ciò che la «menoràh», il candelabro a sette bracci è nel tempio di Gerusalemme. La menoràh inoltre ha la forma di un albero che svolge la funzione di candelabro di luce che sta davanti a Dio e nel tempio per illuminare il popolo di Israele e i popoli del mondo intero.

  1. L’uomo è posto nel giardino, piantato appositamente da lui. Il giardino non è proprietà dell’uomo, ma è il luogo dove l’uomo è custodito e protetto. Qui sta il fondamento di ogni politica ecologica seria: l’uomo non è proprietario o despota della natura, ma semplicemente il custode del giardino che deve lasciare giardino e non pattumiera. La prima pagina della Bibbia si apre con una responsabilità nei confronti del creato.

  2. Il Giardino a sua volta non si regge da solo perché non esiste per se stesso, ma in quanto ambiente dell’uomo e questo comporta la presenza di una legge morale e di un ordine di priorità. In mezzo al giardino vi è l’albero della vita. Tutto nel giardino converge verso quell’albero che sta in mezzo, cioè ne il fulcro. Per Gv, Gesù sarà il nuovo Adam perché dall’albero della Croce da cui pende Gesù sta in mezzo ai due ladroni e il suo sepolcro è in un giardino. Accanto all’albero della vita vi è anche l’albero della conoscenza del bene e del male, cioè dell’onniscienza: l’albero della conoscenza degli estremi (bene-male) e quindi di tutto.

  3. Il serpente presso gli antichi è il “dio” della fecondità a cui le ragazze da marito immolano sacrifici per chiedere il dono della maternità e, a volte, sacrificano anche la verginità, in santuari appositi. La vita viene da Dio, non da un rito o da un sacrificio e l’autore pone questo “idolo” così venerato nel Medio Oriente strisciante sul ventre sulla terra, lui che veniva raffigurato con l’organo sessuale eretto, ora qui non solo è una creatura tra le creature, ma è strisciante sul ventre, senza mani e piedi, senza sesso. Adam ed Eva intendono procurarsi una fecondità propria per diventare autonomi. Acquistano sì una conoscenza reciproca come uomo e donna, maschio e femmina, ma attraverso una trasgressione che sta sempre in agguato nella condizione umana. Il serpente viene definito “astuto”, in ebraico ‘arûm perché riesce ad ingannare gli uomini e diventa simbolo di raggiro e del male personificato. Il serpente inizia con la donna un’opera di seduzione scientifica e programmata, di straordinaria psicologia:

    • Dio aveva detto: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,16-17). Il serpente deforma la Parola di Dio (permesso-divieto), insinuando il dubbio: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”? (Gen 3,1). L’incomprensione, la ribellione, lo scontro nascono sempre da una deformazione della verità. L’autorizzazione a mangiare di tutti gli alberi, diventa il divieto a mangiare di ogni albero.

    • La donna cade nel tranello e discute accettando il dialogo sul terreno del serpente. No, Dio non ci ha proibito, anzi ci ha comandato di mangiare… ma ci ha proibito solo l’albero della conoscenza perché diversamente morirete… La donna aggiunge un elemento che il serpente non aveva toccato: il motivo. Non sempre noi diamo le risposte giuste perché andiamo spesso oltre le stesse domande, oltre le richieste e abbondando nella risposta facciamo deragliare perché travalichiamo il bisogno di chi chiede.

    • Per il serpente il gioco è fatto: nega l’affermazione di Dio e la fonda sulla gelosia di Dio: Dio ha paura di coloro che ha creato perché li vede come terribili concorrenti.

    • La gelosia apre gli occhi della donna che vedono con sguardo nuovo: prima tutti gli alberi erano graditi alla vista e buoni da mangiare… ora tutti gli alberi perdono interesse, ma solo quell’albero diventa “gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”: è il fascino del mistero, il mistero dell’ignoto, il desiderio di andare sempre oltre.

La donna «ne mangiò, poi ne diede anche al marito» (Gen 3,6) ma invece della sapienza e della conoscenza Adam ed Eva scoprirono soltanto la loro “nudità”: si accorsero di essere nudi, in ebraico êrumìm. Il serpente che era scaltro ’arûm è capace solo di manifestare che l’uomo e la donna che aveva ingannato erano nudiêrumìm. Notiamo il gioco di parole in ebraico tra ‘arûm scaltro ed êrumìm nudi. La nudità è perdita di sapienza e consapevolezza di fragilità. Dice una tradizione ebraica che l’uomo e la donna non avevano bisogno di vestiti perché il loro vestito era la luce che emana dalla loro pelle. Divennero opachi, cioè la luce si spense e divennero nudi, cioè senza luminosità. Dio stessoi deve fare loro un vestito che è di pelle, sì, ma di animali morti. Anche in questo caso in ebraico c’è un gioco di assonanze: luce si dice ‘or e pelle si dice ‘or. (cambia solo l’aspirazione iniziale). Nel prologo di Gv noi leggiamo:

 

«4E [la] vita era la luce degli uomini; 5 la luce brilla nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta… 9 [Il Logos] era la luce vera, che illumina ogni uomo, [egli] che è venuto nel mondo… 11 [Egli] venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,4-5.9.11).

 

Al racconto della Genesi, sulla scia di Paolo che fa un confronto tra Adamo e Cristo, corrisponde il racconto delle tentazioni nel deserto, secondo la tradizione di Matteo, diversa da quella di Lc. Mentre Lc, infatti, colloca le tentazioni in un contesto escatologico che coinvolge la storia futura, Mt che scrive per i cristiani provenienti dal giudaismo, legge l’esperienza delle tentazioni di Gesù nel deserto come attualizzazione e ripresa delle tentazioni del popolo d’Israele nei 40 anni di peregrinazione nel deserto dall’Egitto verso la terra promessa: la tentazione del cibo (Es 16,4; Dt 8,2-5), la tentazione del miracolo meraviglioso o dei segni ( Es 17,1-7; Dt 6,16) e la tentazione del potere o l’illusione degli dèi mondani (Dt 6,12-15; Es 23,20-33; 34,11-14).

Mosè non fu in grado di guidare il popolo a superare questi drammatici momenti, mentre il nuovo Mosè resiste ad ogni attacco e ogni volta rinnova la sua fedeltà al disegno originario di Dio. Gesù ripete su di sé la storia del popolo per ripararne le fratture e restaurarne le fondamenta. Egli è veramente il nuovo Mosè: come il patriarca vive 40 giorni e 40 notti sul Sinai e insieme al suo popolo è pellegrino per 40 anni nel deserto, allo stesso modo Gesù vive 40 giorni e 40 notti nel deserto, dichiarando così di essere l’erede d’Israele5. La montagna di Mòab da cui Mosè contempla la terra promessa nella quale non può entrerà (Dt 34,1-4), corrisponde alla montagna su cui Gesù è tentato perché secondo la tradizione le tentazioni avvengono sul monte Gèbel Qarantàl, vicino Gerico. Gesù dunque richiama da un lato il Sinai e l’alleanza e dall’altro la prospettiva della terra promessa di cui è garante perché non si tratta più di fare entrare un popolo in una terra materiale, ma di aprire l’umanità di Dio come luogo privilegiato ed unico dell’incontro tra Dio e l’umanità nuova (Gv 2,21).

Gesù è il nuovo Mosè, ma è anche il nuovo popolo, anzi il resto d’Israele e il nuovo Adam: ai cedimenti antichi, ai fallimenti della storia precedente si oppone la disponibilità di Gesù ad identificarsi totalmente con la volontà del Padre suo. Egli non si affida ai mezzi e agli sforzi umani, ma unicamente si abbandona al progetto di Dio di cui è parte e protagonista. Egli sceglie di essere Figlio e non antagonista e questa coscienza, questa conoscenza l’acquisterà nel momento in cui è elevato da terra sul nuovo albero della vita che è la Croce, da cui proviene la vera conoscenza di Dio, l’essere uguale a Dio:

 

«Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,6-7.8).

Per questo anche oggi, 1a domenica di Quaresima, egli può dire anche a ciascuno di noi: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto.

 

Professione di fede [proclamato tutti insieme, rispettando le pause]

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

[breve pausa 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [breve pausa 1-2-3]

 

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [breve pausa 1-2-3]

 

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.

Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

 

Preghiera universale [intenzioni libere]

 

Mensa Eucaristica

Scambio della pace e presentazione delle offerte

Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, e come insegna il vangelo (Mt 5,24), deponiamo la nostra offerta e riconciliamoci tra noi e con quanti abbiamo conti in sospeso per essere degni di presentare «l’offerta pura e santa di Melchìsedech» che diventi il pane della vita e il calice della nostra salvezza» (cf Canone romano).

 

La pace del Signore sia con tutti voi e con quanti toccherete con la vostra vita.

E’ con il tuo spirito. Il Signore della Pace sia con noi.

 

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

Nel Nome di Cristo e con l’aiuto del suo Spirito, Pace su Gerusalemme, Pace sulla Chiesa e sul Mondo!

 

[tutti si scambiamo un segno di pace]

 

Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

 

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

 

Preghiamo (sulle offerte). Si rinnovi, Signore, la nostra vita e col tuo aiuto si ispiri sempre più al sacrificio, che santifica l’inizio della Quaresima, tempo favorevole per la nostra salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA DELLA RICONCILIAZIONE Il

Prefazio I Quaresima

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. È cosa buona e giusta.

 

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore.

Tu ci hai plasmati con polvere del suolo e hai insufflato in noi lo Spirito del Figlio tuo (cf Gen 2,7).

 

Egli consacrò l’istituzione del tempo penitenziale con il digiuno di quaranta giorni, e vincendo le insidie dell’antico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato, perché celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale possiamo giungere alla Pasqua eterna.

Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.

 

E noi, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo senza fine l’inno della tua lode:

Santo, Santo, Santo sei tu, il Signore Dio dell'universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna.

 

Noi ti benediciamo, Dio onnipotente, Signore del cielo e della terra, per Gesù Cristo tuo Figlio venuto nel tuo nome: egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace.

Signore Dio, hai piantato per noi un giardino, la santa Chiesa, dove hai collocato noi tuoi figli (cf Gen 2,8).

 

Tutti ci siamo allontanati da te, ma tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo; con il sacrificio del tuo Cristo, consegnato alla morte per noi, ci riconduci al tuo amore, perché anche noi ci doniamo ai nostri fratelli.

Si aprono i nostri occhi e noi vediamo e contempliamo la Gloria del Figlio tuo, il Signore Gesù (Gen 3,7).

 

Per questo mistero di riconciliazione ti preghiamo di santificare con l’effusione dello Spirito Santo questi doni che la Chiesa ti offre, obbediente al comando del tuo Figlio.

Crea in noi, o Dio un cuore puro, rinnova il tuo Spirito saldo che ci renda la gioia della salvezza (cf Sal 51/50,12).

 

Egli, venuta l’ora di dare la vita per la nostra liberazione, mentre cenava, prese il pane nelle sue mani, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Non respingerci dalla tua Presenza e non privarci del tuo Santo Spirito (cf Sal 51/50,13).

 

Allo stesso modo, in quell’ultima sera egli prese il calice e magnificando la tua misericordia lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA,VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Alzeremo il calice della salvezza e invocheremo il nome del Signore (Sal 116/115,13).

 

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Dice la Scrittura: Guardiamo a lui e saremo luminosi (cf Sal 34/33,6).

 

Mistero della fede.

Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo.

 

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, noi ti offriamo, o Padre, il sacrificio di riconciliazione, che egli ci ha lasciato come pegno del suo amore e che tu stesso hai posto nelle nostre mani.

Per la caduta di Adam tutti morirono, per la morte e la risurrezione di Gesù la grazia e il dono si sono riversati in abbondanza su tutti. (cf Rm 5,15).

 

Accetta anche noi, Padre santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo, e nella partecipazione a questo convito eucaristico donaci il tuo Spirito, perché sia tolto ogni ostacolo sulla via della concordia, e la Chiesa risplenda in mezzo agli uomini come segno di unità e strumento della tua pace.

Tu sei Figlio di Dio, non vivi di solo pane, ma ti nutri di ogni parola che esce dalla bocca del Padre (Mt 4,4).

 

Lo Spirito, che è vincolo di carità, ci custodisca in comunione con il nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, i presbiteri, i diaconi, le persone che amiamo… N.N. … i bambini nati nelle ultime e prossime ventiquattro ore, le persone che si amano, coloro che servono, quanti soffrono in ogni luogo e regione del mondo e tutto il popolo cristiano.

Signore Gesù, nell’ora della tentazione della fede, insegnaci a rispondere: «Sta scritto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”(cf Mt 4,7).

 

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli, che si sono addormentati nel Signore… N.N. … e tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede.

Noi adoriamo il Signore, Dio nostro, e a lui solo rendiamo culto, unico Dio, santa Trinità (Mt 4,10).

 

Tu che ci hai convocati intorno alla tua mensa, raccogli in unità perfetta gli uomini di ogni stirpe e di ogni lingua, insieme con la Vergine Maria, con gli Apostoli e tutti i santi nel convito della Gerusalemme nuova, per godere in eterno la pienezza della pace.

 

[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]

 

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

 

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

 

Padre nostro, che sei nei cieli,

Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,

sia santificato il tuo nome,

haghiasthêto to onomàsu,

venga il tuo regno,

elthètō hē basilèiasu,

sia fatta la tua volontà,

genēthêtō to thelēmàsu,

come in cielo così in terra

hōs en uranô kài epì ghês.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,

e rimetti a noi i nostri debiti,

kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn

e non abbandonarci alla tentazione,

kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,

ma liberaci dal male.

allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.

 

Antifona di comunione Mt 4,4: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

 

Dopo la comunione

Da Emmanuel Lévinas, Dal sacro al santo. La tradizione talmudica nella rilettura dell'ebraismo post-cristiano, Città Nuova, Roma, 1985.

Poter mangiare e bere è una possibilità straordinaria e miracolosa quanto la traversata del Mar Rosso. Noi non ci rendiamo conto del miracolo che ciò rappresenta perché viviamo in un’Europa oggi provvista di tutto e non in un paese del terzo mondo, e perché la nostra memoria è corta. Là si capisce bene che saziare la fame è la meraviglia delle meraviglie. Eppure, tornare, nonostante tutti i progressi della civiltà, allo stato di indigenza in Europa è una possibilità assolutamente realistica, come provano gli anni della guerra e dei campi di concentramento. In verità, l’itinerario che porta il pane dalla terra in cui cresce il frumento alla bocca che lo consuma è assai pericoloso. È attraversare il Mar Rosso. Un antico Midrash, concepito nello stesso spirito, insegna: “Ogni goccia di pioggia che deve irrigare i nostri campi è portata da diecimila angeli per poter giungere a destinazione”. Niente di più difficile che arrivare ad alimentarsi! Così che il versetto “Mangerai, sarai saziato e benedirai” (Dt 8, 10) non è una pia affermazione, ma il riconoscimento di un miracolo quotidiano e della gratitudine che deve suscitare nelle anime. Ma l’obbligo della riconoscenza va ben oltre. Secondo un modo di dire dei rabbini, la benedizione serve a ridestare gli angeli favorevoli, intercessori capaci di combattere gli spiriti cattivi che si frappongono tra l’alimento e gli affamati e che spiano e creano ogni occasione per impedire che il pane arrivi alle loro bocche. [...] Il problema della fame nel mondo può essere risolto solo se quanti sono riforniti di cibo cessano di vederlo come una loro proprietà inalienabile. L’alimento deve esser riconosciuto come dono ricevuto, di cui si deve ringraziare e a cui gli altri hanno diritto. La penuria è un problema morale e sociale, non soltanto un problema economico. [...] Bisogna che la collettività segua gli individui che prendono l’iniziativa di rinunciare ai propri diritti perché gli affamati possano mangiare. [...] Bisogna che ci sia un nazireato nel mondo – una fonte di disinteresse – perché gli esseri umani mangino. Dar da mangiare a quanti hanno fame suppone un’elevazione spirituale. Bisogna che il nazireato sia una possibilità concreta, perché il terzo mondo, l’umanità cosiddetta sottosviluppata, possa saziare la sua fame e perché l’Occidente non ritorni, nonostante la sua opulenza, allo stadio di umanità sottosviluppata.

 

Preghiamo. Il pane del cielo che ci hai dato, o Padre, alimenti in noi la fede, accresca la speranza, rafforzi la carità, e ci insegni ad avere fame di Cristo, pane vivo e vero, e a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca.. Per Cristo nostro Signore. Amen.

 

Benedizione e saluto finale

Il Signore condotto dallo Spirito nel deserto per esservi tentato, ci colmi della sua fortezza. Amen.

Il Signore guidato dalla sua fedeltà filiale alla volontà del Padre suo, vi doni la sua pace.

Signore che si fa sostegno della nostra debolezza ci rafforzi nella fedeltà a noi stessi,

Il Signore che sconfigge la logica del potere, vi ridoni lo spirito di servizio fatto con gioia.

Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.

Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.

Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.

 

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

 

La messa termina come rito perché «è finita/compiuta»; ora attende che si completi nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

_________________________

© Domenica 1a di Quaresima-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 13/03/2011 - San Torpete – Genova

 

1 Dal latino «quadragesima [dies]» significa «quarantesimo [giorno]», un periodo di quaranta giorni.

2 « “3Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. 4Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. 5E’ forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? 6Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? 7Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? 8Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. 9Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, 10se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. 11Ti guiderà sempre il Signore» (Is 58, 3-11).

3 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.

4 E’ la «teoria delle fonti» perché a partire dal sec. XVI gli studiosi hanno individuato quattro filoni o «fonti» nella Toràh/Pentateuco: la tradizione «Y» (o anche «J») perché chiama Dio col nome «Yhwh» (sec. X-IX a.C.); la tradizione «E» perché chiama Dio con il nome «Elohim» (sec. VIII-VII a.C.); la tradizione «D» o «Deuteronomica» perché si trova solo nel libro del Deuteronomio (sec. VII-VI a.C.) e infine la tradizione «P» [da tedesco Priestercodex] o «S» [Sacerdotale] perché formata nei secoli VI-V a.C. all’epoca dell’esilio e del dopo esilio. Questi quattro filoni indipendenti furono raggruppati insieme e strutturati come unico racconto nell’anno 444 a.C. al tempo del ritorno dall’esilio di Babilonia che troviamo nell’attuale Pentateuco cristiano o Toràh ebraica.

5 Per un approfondimento del numero 40 v. Introduzione a Mercoledì delle Ceneri-ABC



Mercoledì 09 Marzo,2011 Ore: 19:08
 
 
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