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www.ildialogo.org Domenica 6a di Pasqua C - 9 maggio 2010,a cura di Paolo Farinella, prete

Domenica 6a di Pasqua C - 9 maggio 2010

a cura di Paolo Farinella, prete

La liturgia della 6a domenica di Pasqua-C è così ricca di contenuti importanti che siamo costretti, a malincuore, a fare una scelta, limitandoci ad una breve sintesi delle prime due letture in questa introduzione e lasciando il commento del vangelo all’omelia. Oggi è la penultima domenica prima di Pentecoste e il ritmo liturgico lo segnala, quasi avesse fretta di giungere al nuovo Sinai per ricevere l’abbondanza del fuoco che purifica e rinnova.
La 1a lettura accenna a quello che comunemente viene definito «Concilio di Gerusalemme» celebrato tra il 49/50 per discutere la questione che lacerò la Chiesa delle origini: l’ammissione dei Pagani che chiedevano il battesimo nel Nome di Gesù. Due erano le posizioni che potremmo così sintetizzare: la scuola di Giacomo, espressione dell’ala tradizionalista dei Giudeo-cristiani che imponeva ai Pagani di diventare prima Ebrei attraverso la circoncisione e dopo potevano essere riconosciuti cristiani a pieno titolo. L’altra posizione, espressa da Paolo e Bàrnaba sosteneva che Dio chiama chi vuole indipendentemente dall’essere Ebrei o Pagani. Per essi i Pagani che accolgono Cristo non devono sottomettersi alle prescrizioni del Giudaismo che lo stesso Gesù combatté con forza.
Questo è il contesto in cui si svolse l’assemblea di Gerusalemme che più che un concilio fu un’importante riunione presieduta da Giacomo capo degli oppositori di Paolo dopo i fatti di Antiòchia che opposero Paolo anche a Pietro per il suo comportamento ambiguo[1]. Passò la linea di Paolo che affermò con forza la novità assoluta di Gesù e lo dimostrò con i risultati della sua missione: i Pagani sono sullo stesso piano degli Ebrei in forza dello Spirito Santo che senza differenza si dona agli uni e agli altri, operando in tutti gli stessi eventi. Il cristianesimo da setta giudaica divenne proposta di fede universale. La posta in gioco fu grande e il momento drammatico. Una sola condizione: evitare comportamenti, anche leciti, che possono scandalizzare i semplici. Giacomo non si fidava di Paolo e inviava suoi uomini fidati a spiarne la predicazione e il comportamento in ogni città dove Paolo andasse.
E’ ciò che stiamo vivendo ai nostri giorni a livello teologico, culturale e pastorale. La corrente «centralista» sostiene che vi è un solo modo di essere Chiesa e coincide, guarda caso!, con il modo «romano» per cui le esperienze di tutti gli altri popoli devono essere solo ripetitive di esso. Vi sono però altre correnti che più adeguatamente sostengono la necessità per ogni popolo di dovere esprimere la propria fede con il proprio genio, la propria cultura, i propri stili di vita. Non è una concessione di qualche papa benevolo, ma un diritto innato legato alla propria stessa esistenza. I primi vogliono un cristianesimo occidentalizzato e pianificato a livello mondiale, i secondi vogliono una sola fede nella multiformità della diversità. La storia insegna che non è mai esistito un solo cristianesimo, ma tanti modi di credere perché l’unità nasce sempre dalla diversità, mai dall’uniformità.
La 2a lettura è tratta dalla conclusione dell’Apocalisse che abbiamo introdotto nella domenica dopo Pasqua che riproduciamo parzialmente in nota[2]. La visione è grandiosa e rivoluzionaria. Si elimina ogni differenza tra terrestre e celeste. Scompare ogni imperfezione e tutto è armonico, simboleggiato dal numeri «12 – 3 e 4». La Dimora di Dio escatologica accoglie Ebrei e Pagani, Israele e la Chiesa che riflettono l’unità di Dio simboleggiata dal quadrato perché le sue mura hanno tre porte per lato, risultando ancora una volta il numero «12» (= 3 porte x 4 lati). Non esiste più separazione tra «sacro» e «profano» perché la luce dell’Agnello ammanta dello splendore di Dio ogni cosa. Ora si compie l’anelito del Prologo: le tenebre sono sconfitte e la luce di Dio illumina tutti i suoi figli che si lasciano accogliere dalla luce dello Spirito. Viene risanata la ferita dell’Eden, dove, secondo una tradizione giudaica, Adam ed Eva arano vestiti della luce della gloria di Dio che risplendeva nella loro pelle[3]. Ora l’Agnello ricrea le condizioni prima della caduta di Adam ed Eva: finalmente la creazione ritorna allo stato originario. La perfezione della Chiesa non sta nell’esteriorità, nel successo, nell’organizzazione, nella conformità, ma nell’adesione all’unità di Dio che significa vedere ogni cosa con gli occhi di Dio. L’Eucaristia è la nostra visione, dove noi impariamo a «dimorare» nella logica della Parola che si effonde, del Pane che si spezza e del Vino che si sparge per tutti e per ciascuno. Celebriamo la Shekinàh che c’invia nel mondo testimoni della Gerusalemme celeste.
Spirito Santo, tu porti alla chiesa la salvezza del Figlio senza condizioni,                 Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu annunci che il vangelo è spazio di libertà e di condivisione,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sproni Paolo e Bàrnaba a non cedere all’idolo del passato,                        Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu non imponi ai Pagani pesi diversi dalla gioia di incontrare il Cristo,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu susciti in ogni tempo santi profeti di grazia e di liberazione,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Benedizione che fa splendere il volto del Signore su di noi, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’esultanza dei popoli e delle genti che venerano il Signore,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Lode che i popoli tutti elevano al Padre nel Figlio risorto,      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’Angelo della nuova Alleanza che ci mostra la santa Gerusalemme, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’Amore che abita i confini della santa città, splendore di Dio,             Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Misura della perfezione divina della Gerusalemme celeste,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Lampada dell’Agnello che illumina la santa Madre Chiesa,   Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Forza che unisce le dodici tribù e i dodici apostoli,                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’Agàpē» che custodisce in noi la Parola del Padre che è il Figlio,         Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’Ascolto che risuona nei cuori redenti dei figli del Vangelo,     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il Consolatore che il Padre invia nel Nome del Figlio Unigenito,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Pace che il Signore Gesù lascia a noi come suo dono e impegno,     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’Allegrezza di coloro che credono senza vedere,                                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Promessa che scalda la speranza di chi va’ verso Pentecoste,            Veni, Sancte Spiritus.
 
Siamo nel mondo non per difendere un privilegio, ma per rendere testimonianza alla Presenza di Dio che in Gesù chiama ogni persona ad accogliere il suo Spirito. Come gli Ebrei pellegrini sostarono ai piedi del Sinai per purificarsi e ricevere la Toràh, così oggi noi siamo pellegrini che, docili alla chiamata dello Spirito Santo, siamo giunti ai piedi di questo monte/altare per essere purificati e ricevere il Nome del Signore Gesù, quel Nome che portiamo nel mondo dove siamo chiamati a vivere. L’Eucaristia non è un rito, ma una vocazione e l’assemblea che celebra è la risposta a questa vocazione che condivide l’anelito e la speranza. Siamo qui insieme, non per dovere, ma per amore e per amore accogliamo il mondo intero e facciamoci portavoce di ogni gioia e dolore, di ogni frattura e tensione, di ogni limite e di ogni tentativo di comunione che con fatica si compiono in ogni parte del mondo, tanto nella Chiesa quanto in chi non crede. Noi siamo un segno, un segno sacramentale che testimonia come Dio ama ciascuno e ciascuna di un amore unico e senza condizione. Esprimiamo questo compito nel segno della santa Trinità, facendo nostre le parole del profeta Isaia (cf Is 48,20): Con voce di giubilo date il grande annunzio, fatelo giungere ai confini del mondo: il Signore ha liberato il suo popolo, alleluia.
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Invochiamo il perdono di Dio per tutte le nostre omissioni, le nostre insufficienze, per ogni volta che pensiamo di non essere in grado di realizzare l’immagine impressa da Dio nella nostra anima. Noi sappiamo che la presenza dello Spirito Santo in noi ci dà la garanzia della nostra autenticità e anche del diritto di accedere al perdono di Dio. Lo facciamo per i meriti di Gesù Cristo che ha dato se stesso per noi, come continua a fare oggi nella Santa Eucaristia.
 
[alcuni momenti effettivi e congrui di silenzio]
 
Signore, tu non fai preferenze di persone: per tutte le volte che escludiamo qualcuno,                    Kyrie, elèison.
Cristo, Agnello di Dio, «Lumen Gentium»: per tutte le volte che siamo opachi e oscuri,                Christe, elèison.
Signore, tu sei la Dimora della Pace: per tutte le volte che non custodiamo la tua Parola,                 Kyrie, elèison.
 
Dio onnipotente che ha chiamato Israele e i Pagani, le tribù di Giacobbe e la Chiesa degli Apostoli, che illumina con il suo Spirito ogni uomo che viene in questo mondo, per i meriti dei santi Apostoli e le sante Apostole di tutti i tempi, per i meriti dell’Agnello che illumina la santa Gerusalemme, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in quanti ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il tuo Spirito, perché richiami al nostro cuore tutto quello che il Cristo ha fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e con le opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
MENSA DELLA PAROLA
Prima lettura At 15,1-2.22-29. Il brano riporta quello che comunemente, ma impropriamente viene definito «Concilio di Gerusalemme o Apostolico», databile 49/50 d. C. ad Antiòchia di Siria dover per la prima volta i seguaci del Nazareno furono chiamati «cristiani». Il cap. 15 di At ha un andamento molto composito oggi comunemente ammesso dagli studiosi. A noi oggi è sufficiente affermarne il contenuto, come testimoniato dal redattore finale. Un pericolo incombeva sulla chiesa nascente: o essere una setta giudaica, sottomessa a Cristo,ma attraverso le prescrizioni della tradizione scritta e orale. In sostanza non si può essere cristiani senza essere prima Giudei. Paolo si oppone fermamente e rivendica la libertà di annunciare ai non credenti (Greci) il Vangelo senza imporre altre condizioni che non siano l’adesione libera e gratuita alla proposta evangelica. Nasce un dissidio forte all’interno della Chiesa tra l’ala tradizionalista di Gerusalemme e quella progressista di Paolo. Ha il sopravvento quest’ultimo che deve concedere solo su alcune questioni alimentari (molto importanti per i Giudei) e di farsi carico dei poveri. Di questa assemblea Paolo non parla nelle sue lettere, rivendicando sempre la sua totale libertà di predicatore del Vangelo.
 
Dagli Atti degli apostoli At 15,1-2.22-29
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 22 Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: 23 «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! 24 Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. 25 Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, 26 uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27 Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. 28 È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29 astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 67/66, 2-3; 5; 6.8. Inno di ringraziamento collettivo, il Sal 67/66 veniva cantato per la fine del raccolto della mietitura. Si chiede la benedizione/fecondità a Dio, associando tutto il creato. Il tono è universalistico tipo dei momenti di gioia, quando tutto partecipa alla allegria di un gruppo che vede premiate le fatiche del proprio lavoro. L’Eucaristia è la Benedizione che si effonde sul mondo intero non più come auspicio, ma come redenzione che è garantita dalla vita stessa del Figlio che s’immola perché la gioia dell’umanità si compia fino ai confine del mondo.
 
Rit.Popoli tutti, lodate il Signore.
 


1. 2 Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
3 perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti. Rit.
2. 5 Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra. Rit.
3. 6 Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
8 Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra. Rit.


 
Seconda lettura Ap 21,10-14.22-23. L’autore del libro dell’Ap che potrebbe essere lo schema ideale di una solenne liturgia, conclude il libro con tre oracoli in cui canta il nuovo mondo dei redenti dall’Agnello. Il brano della liturgia di oggi è tratto dal 2° oracolo (21,9-27) che celebra la glorificazione della Gerusalemme celeste come proiezione di quella terrestre, senza più limiti e carenze. L’autore s’ispira ai profeti Ezechiele (40,1-5;K 48,30-35; 47,1-12) e Terzo Isaia (54,11-12; 60,1-4) per descrivere la «nuova Gerusalemme» dove è soppresso non solo il sacerdozio, ma anche lo stesso culto perché in Dio non vi è distinzione tra sacro e profano. La città celeste è fondata sul numero «12» simbolico delle tribù d’Israele e della Chiesa (apostoli). L’unità è garantita da Dio stesso che abolisce l’opposizione tra «mondo» e «chiesa» perché nel Nome dell’Agnello pasquale vive e e regna solo la comunione senza impedimenti. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi anticipiamo questa convergenza, camminando e sperimentando il regno dell’agàpē che non avrà mai fine
 
Dal libro dell’Apocalisse di Giovanni apostolo Ap 21,10-14.22-23
10 L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11 Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12 È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. 13 A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. 14 Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. 22 In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnellosono il suo tempio. 23 La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. - Parola di Dio.
 
Canto al Vangelo Gv 14,23
Alleluia.Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore, / e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.Alleluia.
Vangelo Gv 14,23-29. Il brano del vangelo di Gv è la conclusione dei «discorsi di addio» di Gesù durante la cena pasquale (Gv 13-16+17). La prima parte del brano è la risposta di Gesù a Giuda Taddeo che chiede: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (v. 22, qui assente). Giuda è deluso perché immaginava che Dio si sarebbe manifestato in forma strepitosa al modo del Sinai (Es 19) e come aveva descritto il profeta Ezechiele (43). Gesù risponde che Dio porrà la sua Shakinàh/Dimora in colui/colei che «osserverà/custodirà» la sua parola. Questa affermazione sul «custodire la parola» è una continua ripetizione nei discorsi di addio (Gv 14,15.21.23; 15,10.12.17). Il Dio di Gesù Cristo non ha più bisogno di un «luogo», ma ogni cuore libero diventa il nuovo Tempio della sua Presenza. Partecipando al banchetto eucaristico, noi diventiamo il Tabernacolo dell’incontro e il «luogo» dell’alleanza per chiunque incontriamo. Siamone degni.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,23-29
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: 23 «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26 Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27 Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29 Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate». - Parola del Signore.
 
Sentieri di omelia
Oggi tralasciamo le nozioni esegetiche del brano del vangelo che sono complicate ed esigerebbero un tempo congruo per spiegare il contesto dei «discorsi di addio» riportati da Gv nei capitoli 13-16+17 e che rispecchiano un genere letterario conosciuto dalla tradizione biblico-giudaica: un uomo in procinto di morire chiama attorno a se figli, discepoli o conoscenti e consegna loro gli ultimi suoi insegnamenti. Ne abbiamo un esempio classico negli scritti apocrifi che vanno sotto il genere di «testamenti» (di Adamo, di Abramo, dei Dodici Patriarchi, di Mosè, ecc.). Gesù, consapevole della sua ormai vicina morte, è attorniato non più dalle folle e nemmeno dai discepoli, ma solo dal piccolo gruppetto degli apostoli con i quali celebra la sua ultima Pasqua, nella quale egli stesso sarà il celebrante, l’Agnello del sacrificio e il Maestro che lascia in eredità «il suo comandamento».
Oggi vogliamo sostare al pozzo della parola e lasciarci afferrare dalle singole parole, facendole risuonare dentro di noi al modo sapienziale, secondo il metodo di lettura giudaico-patristico. Accettiamo cioè il testo così come è, senza chiederci nulla sulla sua formazione e struttura, ma immergendoci in esso con atteggiamento affettivo più che speculativo, rimandando ad altre occasioni l’approfondimento e lo studio. D’altra parte l’omelia deve attualizzare «oggi» e «qui» la risonanza dello Spirito come Gesù stesso ci ha insegnato nel modello di omelia che ha lasciato nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,16-21).
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola». Amare è osservare la parola della persona amata. Il verbo osservare ha due significati: guardare con attenzione e custodire/salvare. Noi siamo abituati ad «ascoltare» la parola, ma non a guardarla perché la consideriamo come uno strumento. La parola che noi pronunciamo è la nostra anima che risuona e si esprime e si rende accessibile. Essa è noi stessi, la misura della nostra identità. Bisogna avere rispetto per ogni parola che è un essere vivente, composta di corpo (le lettere) e di anima (il senso). La Mishnàh nel trattato di «Pirqè Avòt/Massime dei Padri» (V,6) insegna che prima ancora di creare il mondo, Dio aveva creato dieci cose, tra cui «le lettere dell’alfabeto» con cui avrebbe scritto le Tavole della Toràh. Gv (1,14) dirà ancora di più: Il Lògos eterno, il Verbo immortale prende «corpo» anzi «carne» per essere visibile e toccabile.
Guardare attentamente la parola significa entrare in sintonia di vita e di sentimenti con la persone che la contiene. Allo stesso modo custodire la parola significa farsi carico della comunicazione con l’altro, quasi il tabernacolo, lo scrigno in cui conservare il tesoro prezioso che è la persona amata fatta parola. In poche parole abbiamo un universo intero che esprime il mondo interiore di ciascuno di noi e anche dello stesso Signore. La parola, ogni parola che noi pronunciamo, è una realtà vivente, un evento essa stessa che ci colloca sul versante dell’amore come relazione e responsabilità. Amare è diventare la parola che è l’altro/a che a sua volta diventa la perla preziosa per la quale vale la pena vendere tutto come il mercante della parabola evangelica (Mt 13,45-46).
«Il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». L’amore che si fa custodia e contemplazione esplode in una relazione generativa: evoca la paternità/maternità che a sua volta si trasforma in «dimora», cioè accoglienza e riparo. Al tempo di Gesù, uno dei nomi con cui veniva sostituito il Nome santo Yhwh era Shekinàh che noi sinteticamente traduciamo con Presenza, ma che etimologicamente significa «Dimora», cioè il luogo dove Dio può essere incontrato e dove abita per srotolare la propria esistenza affettiva e paterna insieme al suo popolo. Dio assume le modalità umane: come noi ha bisogno di uno spazio dove rendere visibili gli affetti e le relazioni: la nostra dimora è parte di noi stessi, anzi essa è il prolungamento del nostro corpo perché diventa lo spazio vitale dove noi siamo e ci sentiamo al sicuro. La dimora è il simbolo dell’utero materno che si fa tenerezza generativa.
La liturgia di oggi potrebbe sintetizzarsi nella domanda: «Qual è l’abitazione di Dio? – Dove abita Dio?». Se guardiamo la storia della salvezza codificata nella Bibbia, assistiamo ad un processo straordinario di spiritualizzazione che va dalla povertà della Tenda del deserto alla sontuosità del Tempio di Salomone per giungere nell’AT alla presenza spirituale della Sapienza che si presenta come «casa» (Pr 9,1;14,1; cf Sir 21,18) che nel NT diventa la dimora spirituale di Dio stesso nel cuore degli uomini: «noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
1.      Nell’AT durante il pellegrinaggio dall’Egitto alla Terra Promessa, la dimora per eccellenza di Dio era la Tenda della Testimonianza o del Convegno (‘ohel mo’ed). Essa per necessità era mobile e provvisoria e quindi povera, espressione sacramentale della fede come abbandono e fiducia da una parte e dall’altra come protezione e garanzia di comunione tra Dio e il suo popolo.
2.      Quando Israele divenne sedentario, la Tenda fu sostituita dal Tempio di Gerusalemme, sognato da Davide e costruito da Salomone nel sec. X a.C. Il santuario è il segno sacramentale della Presenza di Dio in mezzo al suo popolo e dovunque un Israelita si trovi, per avere coscienza di sé basta che si volga in direzione di Gerusalemme per trovare la sua dimensione e la sua pace.
3.      Per l’Israelita Dio abita nel «Tempio» che è il Santuario della «Shekinàh-Dimora» (Gen 28,17; 1Sam 1,7.19; 5,4-5; Es 25,8; 1Re 6,8.11; 8,1-61), ma esso è troppo materiale per contenere lo Spirito di Dio. Dio trasferisce la sua Sapienza nell’anima dei giusti come afferma il Siracide (24,1-21).
4.      I primi cristiani infine superano l’idea anticotestamentaria di un Dio «localizzato» in una costruzione di pietra (cf At 2,46; 3,1; 5,21-42; Lc 24,53) e danno forma definitiva all’insegnamento sapienziale perché Dio ora è presente in ciascuna celebrazione liturgica (1Cor 6,19-20; Rm 8,9; 1Ts 4,4-8; 2Cor 6,16-17; Ef 2,19-22), dovunque si raduna la comunità orante. Dopo la risurrezione al Tempio di pietra e alla Sapienza succede lo Spirito del Risorto che è il garante della Shekinàh-Dimora di Dio nei suoi figli che lo rendono visibile nella condivisione del dono messianico della «pace-shalom» che è la somma di tutti di doni di Dio, il sacramento della sua presenza reale.
Amare è dimorare con la persona amata. Per noi questa dimora è la preghiera come «luogo» in cui Dio si rende visibile e chi prega si lascia contemplare da Dio. Un altro nome con cui gli Ebrei sostituiscono il Nome impronunciabile di Yhwh è «Luogo/Maqòm». Solo quando noi saremo questo luogo allargato in cui dimorare con il Padre e il Figlio, solo allora sapremo comprendere il valore delle parole e sapremo anche custodirle nel cuore e negli occhi.
«Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».Il termine «consolatore» è detto in greco «paràcleto/paràclito» e ricorre cinque volte e solo in Gv di cui quattro nei discorsi di addio: è dunque esclusivo di Gv (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7; 1Gv 2,1). Il verbo base è «kalèō – io parlo/chiamo». Da questo stesso verbo si formano sia la parola «paràcleto/consolatore» sia il termine «ekklesìa/chiesa»[4] hanno la stessa matrice e quindi un significato di fondo in comune che definisce anche le rispettive funzioni[5]. In una delle prossime domeniche vedremo qual’è la funzione propria dello Spirito «paràcleto» nel cammino storico della «ekklesìa/chiesa» che pertanto
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore». La pace è l’eredità di Gesù ai suoi discepoli, ma non nel senso che è una eredità morale: siate in pace tra voi, sforzandovi di superare le tensioni. Questo genere di pace è troppo povero e meschino che dura lo spazio di un proposito per essere immediatamente disatteso. In ebraico pace si dice «Shalòm» che è diventato anche il saluto corrente tra due che s’incontrano. Nella tradizione biblica, «Shalòm» è più di un augurio o di un saluto: è prima di tutto un «dono», qualcosa che non è frutto degli sforzi umani, ma qualcosa che si riceve in custodia. La «Pace» è un affido dato da Dio a coloro che vogliono essere «figli di Dio» come garantisce la 6a beatitudine di Matteo (5,9): essa è donata da Dio, ricevuta da noi e da noi deve essere riconsegnata alla fine della giornata terrena. In tutta la tradizione profetica, «Shalòm» è la somma di tutti i beni messianici: in essa è contenuta la vita, la salvezza, la redenzione, la liberazione, la gioia, il perdono, l’accoglienza, il servizio, l’amore (Is 2,2-4; 9,5-6; 11,1-9; 40,17-18; Zac 8,9-13; 9,9-10; ecc.). Lo stesso Messia è presentato come «Principe della Pace» (Is 9,5).
Lo «Shalòm» lasciato da Gesù ha una caratteristica ancora più intima: «vi do la mia pace» che nel contesto è la stessa persona del Signore per cui potremmo dire che «Pace» è il nome nuovo del Signore risorto o meglio la «dimora» dove Dio si rende presente nell’economia della nuova umanità da lui inaugurata. Essa si oppone alla pace «del mondo» come si oppone gratuità a interesse. Il mondo ha sempre un interesse che è di dominio e di potere: per esso la pace è l’equilibrio di opposti interessi, mentre lo «Shalòm» che è Gesù s’identifica con la propria vita donata per amore senza chiedere nulla in cambio. Solo nel dono non c’è turbamento perché la gratuità libera da ogni preoccupazione. Nell’interesse, invece, c’è calcolo e convenienza: «Nell’amore non c’è timore» (1Gv 4,17).
Partecipare e vivere l’Eucaristia è tutto questo. Noi siamo qui per accogliere il dono della Pace che la persona stessa di Gesù e per imparare che la Pace è fragile come il Pane, ma anche forte come il Vino: come il Pane deve essere spezzata e condivisa, come il Vino deve irrobustire e animare la speranza che è avanti a noi. Nell’Eucaristia impariamo la Pace per diventare uomini e donne che non vivono di Pace, ma che diventano essi stessi Pace-Shalòm. Con l’aiuto del Paràclito che di educa e c’insegna ad essere «costruttori di pace» cioè letteralmente «poeti di pace» (eirēnopoiòi: Mt 5,9). Con l’aiuto dello Spirito, andiamo nel mondo e siamo «poeti di pace».
 
Professione di fede
Facendo memoria della fede che la Chiesa ha professato nel nostro battesimo, accostiamoci idealmente alla sorgente della nostra fede e rinnoviamola con l’aiuto dello Spirito Santo, sapendo che Dio è fedele sempre a noi, anche quando la nostra fede è fragile.
 
Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.
 
Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.
 
Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna?     Credo.
 
Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa fede noi ci gloriamo di professare in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.
 
Preghiera universale [Intenzioni libere]
 
MENSA EUCARISTICA
Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, come insegna il vangelo (Mt 5,24), deponiamo la nostra offerta e riconciliamoci tra noi e con quanti abbiamo conti in sospeso per essere degni di presentare «l’offerta pura e santa di Melchìsedech perché diventi il pane santo della vita eterna e calice della nostra salvezza» (cf Canone romano).
 
La pace del Signore sia con tutti voi e con quanti toccherete con la vostra vita.
E’ con il tuo spirito. Il Signore della Pace sia con noi.
 
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiera (sulle offerte). Accogli, Signore, l’offerta del nostro sacrificio, perché, rinnovati nello spirito, possiamo rispondere sempre meglio all’opera della tua grande bontà. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio  Cristo, Agnello Pasquale
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
 
È veramente cosa buona e giusta,  nostro dovere e fonte di salvezza,  proclamare sempre la tua gloria, o Signore, e soprattutto esaltarti in questo giorno  nella quale Cristo, nostra Pasqua, si è immolato.
Non siamo salvati dalle opere della Legge, ma unicamente dalla fede nel Signore Gesù risorto per noi. (cf Rom 3,27; Gal 2,16; 1Cor 7,19-24).
 
È lui il vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo,  è lui che morendo ha distrutto la morte  e risorgendo ha ridato a noi la vita.
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. Osanna nell’alto dei cieli. Agnello di Dio che prendi su di te il peccato del mondo, accogli la nostra supplica.
 
Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale,  l’umanità esulta su tutta la terra,  e con l’assemblea degli angeli e dei santi  canta l’inno della tua gloria:
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, eliso. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.
 
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
Votiamo la nostra vita al Nome del Signore Gesù Cristo. Questa è l’opera della fede (cf At 15,26; Gv 6,29).
 
Egli, nella notte in cui, tradito, fu consegnato alla morte, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie,lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Lo Spirito ci trasporta in spirito e corpo sul monte alto che è l’altare dell’Eucaristia da dove contempliamo la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, splendente della gloria di Dio  (cf Ap 21,10).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA,VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
«Alzeremo il calice della salvezza e invocheremo il nome del Signore» (Sal 116/115, 13).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
La gloria di Dio illumina la Chiesa e la sua lampada è l’Agnello (cf Ap 21,23).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della sua venuta.
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
IL tuo Figlio, il Signore ci dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv,14,23).
 
Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Chi non ama, non osserva le tue parole e la parola che ascoltiamo è la tua, o Padre, che l’hai mandata a porre la sua dimora in mezzo a noi (cf Gv 14,24).
 
Memoria dei Volti e dei Nomi sulla terra
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: e qui convocata nella notte gloriosa della risurrezione del Cristo signore nel suo vero corpo: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… N.N. … e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Riceviamo la pace, Signore, accogliamo la tua pace perché siamo nel mondo, ma non appartiamo al mondo (cf Gv 14,27).
 
Memoria dei Volti e dei Nomi nella Gerusalemme celeste
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza … N.N. … ammettili a godere la luce del tuo volto. Insieme ricordiamo tutti i morti di violenza in ogni parte del mondo.
Non è turbato il nostro cuore perché il Consolatore che viene nel tuo Nome ci insegna ogni tua parola (cf Gv 14,27.26).
 
Memoria dei credenti di ogni tempo
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Rallegriamoci insieme perché il Signore Gesù è salito al Padre suo e Padre nostro nella Gerusalemme celeste (cf Gv 14,28).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Gv 14,23: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Alleluia.
 
Dopo la comunione
Da Sant’Agostino, Confessioni, V, 16-18
Dedicato a tutte le mamme che soffrono e pregano per i loro figli e le loro figlie
«Mia madre, pur ignara del mio male, tuttavia pregava, assente, per me; e tu, dovunque presente, dov’era lei l’esaudivi e dov’ero io t’impietosivi di me a tal segno, da farmi ricuperare la salute del corpo, benché fossi ancora malsano nel cuore sacrilego: anche in un pericolo così grave, infatti, non desiderai il tuo battesimo. [...] Eppure non permettesti che io morissi doppiamente in quello stato. Il cuore di mia madre, colpito da una tale ferita, non si sarebbe mai più risanato: perché non so esprimere adeguatamente i suoi sentimenti verso di me e quanto il suo travaglio nel partorirmi in spirito fosse maggiore di quello con cui mi aveva partorito nella carne.  Non vedo davvero come si sarebbe risanato, se la mia morte in quello stato avesse trafitto le viscere del suo amore. Dove sarebbero finite le preghiere così ferventi che ripeteva senza interruzione? Presso di te, non altrove; ma avresti potuto tu, Dio delle misericordie, sprezzare il cuore contrito e umiliato di una vedova casta e sobria, assidua nell’elemosina, devota e sottomessa ai tuoi santi; che non lasciava passare giornata senza recare l’offerta al tuo altare, che due volte al giorno, mattino e sera, senza fallo visitava la tua chiesa, e non per confabulare vanamente e chiacchierare come le altre vecchie, ma per udire le tue parole e farti udire le sue orazioni? Le lacrime di una tale donna, che con esse ti chiedeva non oro né argento, né beni labili o volubili, ma la salvezza dell’anima di suo figlio, avresti potuto sdegnarle tu, che cosi l’avevi fatta con la tua grazia, rifiutandole il tuo soccorso? Certamente no, Signore. Tu anzi le eri accanto e l’esaudivi, operando secondo l’ordine con cui avevi predestinato di dover operare. [...] Così mi guaristi da quella infermità e salvasti il figlio dell’ancella tua, allora e per allora fisicamente, per avere poi a chi porgere una salvezza più preziosa e sicura».
 
Preghiera dopo la comunione
O Dio grande e misericordioso, che nel Signore risorto riporti l’umanità alla speranza eterna, accresci in noi l’efficacia del mistero pasquale con la forza di questo sacramento di salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto
Il Signore che ha presieduto questa Eucaristia, sia con voi.               E con il tuo spirito.
Il Signore che convoca Giudei e Pagani alla mensa del Vangelo, ci benedica e ci protegga,                         Amen.
Il Signore che vuole l’adesione del cuore nella libertà dello Spirito, ci custodisca nella sua gloria, Amen.
Il Signore che dimora nel nostro cuore con il dono della Pace, sia sempre con noi.        
Il Signore che costruisce la città terrestre sul modello della Gerusalemme celeste, ci rinnovi nel cuore.
Il Signore risorto che, precedendoci, sale al Padre, sia davanti a noi per guidarci.
Il Signore risorto che ci consegna il comandamento dell’amore, sia dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore risorto che illumina il cuore e la volontà, sia accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
sia con tutti voi e con voi rimanga sempre. Amen
 
Termina qui la celebrazione del sacramento dell’Eucaristia, inizia ora l’Eucaristia nella vita, portate a tutti frutti di risurrezione e di pace. Andiamo in pace. Rendiamo grazie a Dio.
 
Antifona mariana del Tempo pasquale
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia; / Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia.
È risorto, come aveva promesso, alleluia. / Prega il Signore per noi, alleluia.
Rallegrati, Vergine Maria, alleluia. / Il Signore è veramente risorto, alleluia.
 
Preghiamo. O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo Figlio hai ridato la gioia al mondo intero, per intercessione di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia della vita senza fine. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
_______________________________
© Nota: Domenica 6a del Tempo pasquale –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 09/05/2010 – San Torpete – Genova
 


[1] Scrive Paolo: «11 Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. 12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”. 15 Noi, che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, 16 sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno» (Gal 2,11-16).
[2] «La parola “Apocalisse” oggi ha un senso catastrofico finale ed è sinonimo di distruzione totale. Nella Bibbia, invece ha il significato di “rivelazione”: è parola composta dalla preposizione di allontanamento “apò – da” e dal verbo “kalýptō – nascondo” da cui “faccio manifesto/svelo/rivelo” perché mi allontano da ciò che è nascosto o segreto. L’Apocalisse è l’ultimo libro del NT databile tra la fine del sec. I e l’inizio del sec. II. E’ una visione che l’autore ha “nel giorno del Signore” (Ap 1,10) e dunque durante una liturgia eucaristica» (v. Domenica 2a dopo Pasqua-C, Introduzione alla 2a lettura).
[3] In ebraico vi è un gioco di parole perché luce si dice «hor» (pronuncia senza aspirazione) e pelle si dice «’or» (pronuncia con aspirazione). Prima del peccato i progenitori non avevano bisogno di vestiti perché vestivano la luce della Gloria, dopo il peccato invece si spensero e la loro pelle divenne opaca tanto da avere bisogno di vestiti di pelle, cioè di animali morti.
[4] Aggiungendo a questo verbo la preposizione «parà-» che indica vicinanza, prospettiva, si ha il significato di «invito/conforto» da cui consolatore, mentre aggiungendo la preposizione «ek-» che indica origine/provenienza si ha il significa di «convoco/raduno», da cui deriva il termine «ekklesìa - chiesa».
[5] Nel sistema giudiziario semitico, il «consolatore» è una figura giuridica e richiama quella dell’AT del «go’el-vendicatore/riscattatore/redentore». Quando uno veniva deferito in giudizio davanti agli anziani radunati alla porta della città, se uno dei giudici, stimati e autorevole, si fosse alzato e andasse a collocarsi «accanto» all’imputato, senza nemmeno proferire una sola parola, quell’uomo era salvo sulla garanzia di colui che «ri-»vendicava la sua innocenza sul suo onore e la sua credibilità. In questo contesto il «consolatore/redentore» è anche «avvocato» perché prende le difese di qualcuno e testimonia in suo favore.


Mercoledì 05 Maggio,2010 Ore: 15:34
 
 
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