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www.ildialogo.org DOVE VANNO I VOTI DI CL? TRA I SEGUACI DI GIUSSANI EMERGONO DIVISIONI  ,da Agenzia Adista Notizie n. 3 del 26/01/2013

DOVE VANNO I VOTI DI CL? TRA I SEGUACI DI GIUSSANI EMERGONO DIVISIONI  

da Agenzia Adista Notizie n. 3 del 26/01/2013

37009. ROMA-ADISTA. La domanda che molti giornalisti e commentatori si stanno facendo in questi giorni, “come vota Cl a queste elezioni?”, nei termini in cui è posta ha poco senso. Comunione e Liberazione, infatti, più che un movimento ecclesiale è ormai soprattutto una potenza economica e finanziaria, che si articola attraverso la Compagnia delle Opere – circa 35mila aziende associate, per un giro d’affari complessivo di 70 miliardi l’anno – in settori diversi, come la sanità, la scuola, i trasporti, le mense, le banche e le assicurazioni, il privato sociale e l’assistenza, l’università, la cultura. Da quando, dopo Tangentopoli, Comunione e Liberazione non ha più avuto né un partito (la Democrazia Cristiana), né un leader (Andreotti) di riferimento, gran parte del movimento si è orientata verso Forza Italia, poi Popolo della Libertà, e Lega Nord. Di fatto, però, i seguaci di Giussani hanno sempre tenuto fede alla politica andreottiana dei “due forni”. E se il cuore è rimasto stabilmente a destra, a seconda dei rapporti di forza e della politica delle alleanze, i ciellini non hanno mai disdegnato di sostenere candidati un po’ in tutti gli schieramenti. O di farsi eleggere direttamente. L’obiettivo era e resta quello di stare sempre al governo, chiunque sia il vincitore. L’interrogativo rimbalzato sulla stampa nasce quindi da un fraintendimento. Il problema non è con chi sta Cl, dal momento che Cl è sempre stata con tutti coloro che avessero in mano le leve decisionali. Il punto, semmai, è che oggi il gruppo dirigente di Comunione e Liberazione appare piuttosto diviso al suo interno; e non pare in grado di indicare e far sostenere, compattamente e capillarmente, partiti e candidati “amici”, come avveniva in passato.

Finora, infatti, il movimento, che pure ha sempre giurato e spergiurato di essere solo un luogo di formazione delle coscienze cristiane, e che le scelte politiche dei propri militanti non impegnavano l’organizzazione, ha poi però sempre fatto campagna elettorale a favore dei candidati interni al movimento o degli “amici”, convogliando su di loro una massiccia quantità di preferenze, alle elezioni universitarie come in quelle amministrative, alle politiche come alle europee. E anche oggi non è un mistero che se alcuni esponenti ciellini restano nel PdL, altri sono trasmigrati verso la lista Monti (come il potente europarlamentare Mauro), non mancano gli esponenti di Cl che appoggiano l’Udc o il Pd. A Firenze molti dei discepoli di don Giussani collaborano con Renzi; a Bari con Emiliano. In Veneto, parecchi ciellini stanno con il Pd, a partire da un pezzo grosso del movimento, Graziano Debellini, imprenditore e amico personale di Bersani. Di Bersani, del resto, i ciellini sono estimatori (ricambiati) sin dai tempi in cui l’attuale segretario del Pd era presidente della Regione Emilia Romagna e varò, era il 1995, una legge regionale che apriva al finanziamento diretto alle scuole materne private, a tutto vantaggio delle strutture gestite dalla Fism, la Federazione Italiana Scuole Materne.

È sempre stato così: ad ogni tornata elettorale i dirigenti ciellini, a livello locale o nazionale, individuano il cavallo migliore su cui puntare, organizzano e mettono in moto la loro potente macchina elettorale e poi raccolgono i frutti. Direttamente, attraverso l’elezione di persone appartenenti al movimento. O indirettamente, ricevendo la ricompensa politica per i voti che sono riusciti a convogliare attorno al nome da loro indicato.

Partita difficile

La difficoltà del gruppo dirigente ciellino di accordarsi su nomi e liste, appare oggi piuttosto evidente nel cuore stesso della roccaforte del potere ciellino: la Lombardia, dove non solo si gioca una partita importantissima, dopo 17 anni di potere incontrastato di Formigoni come presidente della Regione, ma anche lo scontro forse decisivo per le elezioni politiche nazionali. In Lombardia, infatti, oltre al posto di nuovo “governatore”, si assegnano ben 49 dei 315 seggi del futuro Senato. Di questi, 27 andranno al partito o alla coalizione che riuscirà a prendere più voti. Se vince il Pd in Lombardia, Bersani potrebbe avere una maggiornaza sicura (dipenderà però anche dal risultato di altre Regioni incerte, come la Campania e la Sicilia). Se vince Berlusconi, si potrebbe creare una situazione di oggettiva ingovernabilità.

In una situazione così incerta, alcuni ciellini sono tentati di puntare ancora sull’asse Lega-PdL. Altri, reputando difficile l’impresa di mantenere la Regione al centrodestra, preferiscono invece il candidato di Monti, Gabriele Albertini. In principio sembrava che Berlusconi, per la presidenza della Regione, puntasse ad una alleanza con Albertini, lasciando che la Lega corresse da sola. Poi la ritrovata alleanza col Carroccio alle politiche ha imposto al Cavaliere un dietro front a livello locale, concedendo come contropartita alla Lega il sostegno alla candidatura di Maroni per il Pirellone. Formigoni, che punta ad un seggio sicuro al Senato, si è rapidamente adeguato al nuovo corso e, nonostante avesse già fatto pubbliche dichiarazioni a favore di Albertini, con una incredibile giravolta si è schierato a fianco di Maroni e della Lega, che pure gli ha dato più di un dispiacere negli ultimi controversi mesi della sua giunta. Rete Italia, la corrente ciellina del Popolo della Libertà, secondo Formigoni seguirà questa linea. Ma qualcuno, dentro Cl, ritiene invece che un’affermazione di Albertini in Lombardia rafforzerebbe il progetto di Monti, ritenuto ormai più affidabile, oltre che più presentabile, di Berlusconi. E comunque ha più possibilità Monti di condizionare Bersani di quante ne abbia Berlusconi di vincere le elezioni.

Con Formigoni, e Berlusconi, restano comunque pezzi grossi di Cl, come Maurizio Lupi, Raffaello Vignali, ex presidente della Compagnia delle Opere e Raffaele Cattaneo, attuale assessore alle Infrastrutture che molti dicono in pole position per la guida della Sanità (settore strategico per Cl) in caso di una vittoria di Maroni.

Cielle, in allarme, scricchiola

Quel che è certo è che, Monti o Berlusconi, Maroni o Albertini, a Cl preoccupa molto, dopo anni di dominio pressoché incontrastato, la possibile perdita della propria roccaforte, la regione più ricca e popolosa d’Italia. Questo stato di tensione all’interno del gruppo dirigente ciellino ha avuto anche una sua manifestazione pubblica sulle colonne del settimanale Tempi. Sul numero del 16 gennaio un articolo di Antonio Simone (proprio l’ex assessore lombardo alla Sanità, sostenitore di Formigoni, che con l’imprenditore Daccò è all’origine dello scandalo che ha coinvolto Formigoni) definisce «dolorosa» la «divisione» di cattolici in più partiti, insistendo sul dovere di cercare l’unità. Il consiglio di presidenza di Cl ha risposto sul numero successivo del settimanale, con un articolo firmato da Andrea Simoncini, che di quel consiglio è uno dei membri: «Di quale divisione stiamo parlando? Quella di non militare tutti nello stesso partito o di non suggerire di votare tutti lo stesso partito?». «Sarebbe negare tutta la nostra storia (personale e comunitaria) se, dal fatto che non facciamo la stessa cosa in politica come in ogni altro aspetto della vita, si desumesse che il movimento non c’è più o è diviso». (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA
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Sabato 26 Gennaio,2013 Ore: 17:23
 
 
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