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www.ildialogo.org La salute o la religione,di José María Castillo

La salute o la religione

di José María Castillo

Se c’è qualcosa di chiaro nel Vangelo è che per Gesù la salute e la vita venivano prima e avevano più importanza e più interesse dell’osservanza delle norme della religione. Basta leggere il racconto della guarigione di un uomo con il braccio atrofizzato nella sinagoga proprio in giorno di sabato, quando la religione proibiva proprio di fare questo (Mc 3, 1-6; Mt 12, 9-14; Lc 6, 6-11). Faccio riferimento alla religione più stretta e osservante. La religione che adempievano ed imponevano i farisei. E si sa che ai tempi di Gesù questa questione era così grave che il racconto evangelico termina dicendo che, quando sono usciti dalla sinagoga, i farisei si sono messi d’accordo con gli erodiani, non per rimproverarlo o denunciarlo, ma direttamente per ucciderlo.
Ed è risaputo che Gesù ha ripetuto questo comportamento quando ha curato il paralitico della piscina (Gv 5, 1-9), nel giorno in cui ha difeso i suoi discepoli perché avevano strappato alcune spighe per mangiare qualcosa (Mc 2, 23-26), proprio nel giorno in cui Gesù ha detto ai farisei: «Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27). In breve: è sorprendente che il capo della sinagoga, quando ha visto che era proprio il sabato il giorno in cui le persone portavano i loro malati perché Gesù potesse curarli, il funzionario religioso, indignato, ha detto al popolo: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato» (Lc 13,14). La cosa è chiara: se le persone portavano i propri ammalati proprio nel giorno in cui la religione lo proibiva, le persone lo facevano certamente perché sapevano che Gesù curava proprio nel giorno in cui la religione lo proibiva.
Non insisto su questo. I racconti evangelici sono abbondanti e sottolineano la convinzione di Gesù: nel Vangelo emerge chiaramente che la salute e la vita sono più importanti dell’osservanza dei riti della religione. Anzi, se la questione viene considerata in profondità, la conclusione deve essere che la religione deve essere al servizio della vita e non la vita al servizio della religione. Il giorno in cui durante la seconda guerra mondiale p. Massimiliano Kolbe in un campo di concentramento ha fatto un passo avanti per chiedere al soldato nazista di ucciderlo, per salvare la vita di un padre di famiglia che piangeva disperatamente per sua moglie e i suoi figli, in questo giorno san Massimiliano Kolbe ha messo in evidenza che la religione deve essere al servizio della vita.
Ma questa non è l’unica cosa che dobbiamo imparare. Casi limite, come quello di Kolbe, per fortuna non sono frequenti. Ciò che è frequente è il numero di volte in cui la stretta osservanza dei rituali religiosi ci inganna. Perché?
Proverò a dirlo il più chiaramente possibile. Come è stato detto molto bene, «i riti sono azioni che, a causa del rigore dell’osservanza delle norme, si costituiscono in un fine in sé» (Gerd Theissen). Voglio dire: il rituale, fedelmente osservato ed eseguito accuratamente, ci lascia lo spirito in pace. Chi va a messa, dice le sue preghiere, osserva le norme sacre alla lettera, ecc. ecc., sicuramente dirà di avere la coscienza tranquilla e le mani pulite. E non gli mancano motivi per sentirsi in pace.
Ma capita che il fedele osservante dei riti sacri spesso non si renda conto che il «rito» non procede necessariamente unito all’«éthos» all’etica, al retto ed irreprensibile comportamento dell’essere umano in tutti i settori della sua vita, nella sua professione, nei suoi rapporti con gli altri.
Ed non siamo in pochi quelli che, probabilmente senza accorgercene, viviamo nell’«incoerenza» dell’«osservanza» rituale, sacra e religiosa. Anzi, proprio per quello che ho appena detto e come è stato ben detto, «l’esperienza religiosa di tutti noi non è più degna di fiducia, perché rimanda alla falsa religione» (Thomas Ruster). Quando l’osservanza fedele tranquillizza la coscienza, può capitare che il nostro comportamento risulti incoerente e forse persino insopportabile. 
Finisco: non sono contro le messe o le preghiere. Sono contro coloro che, protetti da messe e preghiere, giustificano un comportamento in cui ci sono cose da nascondere.    
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Articolo pubblicato il 28.04.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI



Venerdì 01 Maggio,2020 Ore: 19:02
 
 
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