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www.ildialogo.org LA SCATOLA VUOTA DELLA DEMOCRAZIA,di Aldo Antonelli

LA SCATOLA VUOTA DELLA DEMOCRAZIA

di Aldo Antonelli

Chattano, twittano, cliccano, facebookano. Non più (se mai lo sono stati) vasi comunicanti, ma palloni gonfiati, pieni di vuoto, che appena vengono in contatto tra loro scoppiano in schiamazzi intraducibili alla ragione e in gesta scomposte impresentabili alla visione.

Riempiono le piazze delle Città al primo scambio di passaparola e intasano le strade di internet con mozziconi di parole tipo: “NOOOOO!”, “SIIIIIIII!”, “MAHAHAHAH!” e “VAFFAAA!”.

Parlano per monosillabi, a singhiozzo, esternando emotività e livori più che ragionamenti. Socialmente frammentato in fazioni o lobby, politicamente irreggimentato in quelli che una volta venivano chiamati partiti ed erano fucine di pensiero e di strategie ed oggi sono diventati macchine “acchiappa consenso”, come si fa a chiamarlo “Popolo”?

E come si fa, soprattutto, a chiamare democrazia questo schiamazzo vociante e gridato e “guidato”, anzi, “teleguidato”, senza popolo e senza soggetto?

«La democrazia. - scriveva Yves Mény su La Repubblica del 20 novembre 2007 - non esiste senza popolo. Ma l'esperienza democratica ci ha anche insegnato a diffidare dell'uso eccessivo di questa parola magica che piace tanto - e anche troppo - ai populisti di ogni tipo, ai demagoghi di strada e ai "dittatori" popolari di destra e di sinistra; una strana compagine unita soltanto dalla manipolazione politica per lo sfruttamento del potere “in nome del popolo”».

Sempre sullo stesso giornale gli faceva eco Francesco Merlo che scriveva testualmente:

«Chiunque partecipa al lento sfaldarsi del nostro ordine civile lo fa con il popolo dalla propria parte: tutti populisti senza popolo, tutti pronti a lusingare una parte di folla, a sfruttare le sue paure e ad alimentare i suoi pregiudizi, a trasformare il mal di pancia in macchina di consenso e di attrazione, in nome del popolo che non esiste, abusando di una parola che ormai suona peggio di una parolaccia»

E non c’è bisogno di ricorrere all’aiuto di Freidrich Hegel il quale, già nel 1816, nella sua Enciclopedia della scienze filosofiche scriveva che «l'aggregato dei privati suole spesso essere chiamato il popolo, ma, preso siffatto aggregato come tale, si ha “vulgus”, non “populus”».

Da cui abbiamo derivato l’aggettivo di “volgare”, che ben fotografa la situazione attuale.

Non mancano studi e denunce delle molteplici cause che ci hanno ricacciato in questo “cul de sac” da cui non riusciamo ad uscire.

Siamo piombati, come singoli e come partiti, nella schiavitù del consenso che ci immobilizza, ci irretisce, ci frantuma in mille frazioni, rendendo impossibile la “Democrazia”, che è un oggetto molto delicato e complesso.

Churchill la definì come un pessimo regime politico del quale non si è trovato però uno migliore!

Più che “Istituzione” noi possiamo dire che a tutt’oggi la democrazia non è altro che il tentativo di far coesistere “libertà e ordine, uguaglianza e differenze, poteri sociali e rigori istituzionali, spontaneità e procedure, partecipazione e rappresentanza, molteplicità e unità”, per dirla con le parole di Carlo Galli. In questo senso la Democrazia è sempre da costruire e la sua frontiera rimane sempre un orizzonte. Senza rendercene conto stiamo uccidendo la Democrazia in nome della democrazia…..

Forse anche perché la legge del mercato globale, e quindi della società dei consumi, ci trasforma in consumatori, ma soprattutto ci cambia dentro, nell'intimo.

E’ questa mutazione antropologica che ci rende incapaci al pensiero di cui, all’inizio, lamentavo la scomparsa. E’ questa mutazione antropologica a scaricarci come sacchi vuoti tra le braccia degli affabulatori e dei cantastorie,

E’ questa mutazione antropologica che ci fa estranei a noi stessi, incapaci al dialogo e inadatti al cambiamento.

In una relazione tenuta a Poggibonsi in un seminario di "Libertà e Giustizia”, il 24 e 25 Maggio 2008, Gustavo Zagrebelsky distingueva tra “Democrazia critica” e “Democrazia acritica”. In quest'ultima non c'è bisogno di maestri, ma di ideologi, di comunicatori, di propagandisti o di pubblicitari, cioè di quelle false maestre (televisione, pubblicità, moda ed internet) che al momento imperversano.




Venerdì 26 Aprile,2013 Ore: 18:38
 
 
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